Da una Strenna Triestina del 1843
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Da una Strenna Triestina del 1843
Go visto che ve piaxi leger ste robete , cusì ve porterò qua (un poco per volta) uno scrito trato dala "Strenna Triestina per l'anno 1843", edito da Giovanni Cameroni editore ed ormai libero da problemi di copyright.
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di Colombo (no meio identificado):
RELAZIONE
d'una maravigliosa cura operata senza soccorso di medico e col semplice mezzo dell'acqua fresca.
E' una città in questo basso globo, la quale, dice il suo antico cronista, siede sulla pendice d'un monticello in luogo assai ameno e dilettevole, tiene a fronte Venezia coll'Italia, dietro le spalle la Germania, alla destra il Friuli ed a mancina l'Istria colla Dalmazia; una città che ab immemorabili contava pur qualche cosa nel mondo, ma che digradò poi mano mano siffattamente da non si poter in ultimo valutare più che una grama borgata. E fu solo, dirò così, sotto a' nostr'occhi medesimi ch'essa tornò a ringrandirsi per guisa che di sei mila centoventiquattro bocche ch'essa nodriva addi 20 Aprile 1758 ne nutre oggimai meglio che nove tante. Ed è questo un miracolo operato da quella sagacissima delle arti, che con util laccio annoda e affratella le nazioni. Da ciò può vedersi quanto gran torto s'abbian coloro che del continuo menano lamento perciò che di null'altro si parli quivi che di commercio e perché nei luoghi tutti di pubblico e privato convegno e perfin ne' teatri, convertiti pur essi in Bazzarri, commercio risonar s'oda commercio!
Da ciò stesso procede naturalmente che gli uomini sieno quì, più che altrove, affaccendati, e più naturalmente ancora che sentano essi bisogno di ricreazione. Laonde non accade mai ne' dì del riposo e nelle altre feste dell'anno, massime se due o tre giungano insieme accoppiate, che una gran parte di essi non si riversi nelle circostanti adjacenze a bervi dell'aria verginale ed un pochetto altresì del famoso loro nettare, vergine e puro ancor esso al pari dell'aria.
Appiè del monticello detto di sopra, dalla parte ove siede un'antico castello, è una specie di caverna scavata nel vivo sasso, un antro cupo e profondo che a prima vista si direbbe asilo d'un gran penitente, o meglio forse (chi presti attenzione all'ardente sete onde sono stimolati coloro che vi traggono il piede), officina alla posterità di colui che in Romena falsava la lega suggellata del Battista.
Sia comunque la cosa, ciò ch'è fuor d'ogni dubbio si è convenir quivi seralmente una cofrediglia dei meglio umori del mondo, la quale vi trova non solo di che rintegrare le forze prostrate, ma, ch'è più, d'avvivare lo spirito immelensito dal diurno lavoro.
Quivi appunto la sera di sabato 13 agosto dell'anno di Grazia 1842, il senno tutto dell'assemblea stava intento a considerare il come avesse a passarsi le quarantaott'ore festive ch'indi succedevano. Dopo lunga e profonta discussione, stabilirono tutti, nemine excepto, non poter queste meglio impiegarsi che nel visitare alcune grotte che s'affondano negli alpestri dintorni di quel loro paese, le quali mentre fanno la meraviglia dello straniero che avidamente le visita e le ricerca, erano da essi tutti, non senza propria vergogna, onninamente ignorate.
A sette pertanto, compreso io scrivente, ascendeva il numero di coloro che si disposero ardimentosi al glorioso pellegrinaggio, e quì gli scrivo giusta il pseudonimo che sin d'allora piacque loro rispettivamente di assumere. Colombo, Vespucci, Marco Polo, Ca da Mosto, Belzoni, Brocchi e Cabotto.
Il viaggio, oltre alla visita delle grotte sumemorate, doveva avere per ultima meta una caverna a tutto il mondo famosa per tre maravigliosi prodigii di natura che si compiono in essa.
Ciò fermato si passò alla compilazione dell'itinerario; si stabilì l'ora della partenza, il luogo di ritrovo, i punti tutti dove far sosta, il tempo da impiegarsi matematicamente a reintegrare le dispendiate potenze vitali sia all'osteria, sia in qualsivoglia altro luogo dove improvviso si venisse a piantare le mense, quello da destinarsi al riposo ed al sonno, nè si obbliò alla perfine di consecrarne anche un ritaglio alla contemplazione dei miracoli della natura, non computato però il possibile entusiasmo d'una qualche testa poetica cui per avventura quel termine non fosse a pezza bastante. Si nominò quindi un Capitano, cui diriger dovesse la spedizione; un Segretario, che tener dovesse del continuo l'itinerario spiegato agli occhi della brigata ed invigilarne l'indiminuta osservanza; un provvigioniere il quale pensar dovesse al procaccio di quanto tornava necessario al viatico, considerata l'inospitale natura dei luoghi che si dovea pedestramente percorrere, dove, per un tratto talvolta non minore d'un miglio, nient'altro ti è dato rinvenire, salvo che sterpi e sassi, cose ottimissime, se vogliamo, a saziare il poetico appetito dei botanici e dei geologi, ma non già quello tutto prosaico di noi giovani sani e ben complessi, i quali viaggiando non altro avevamo per iscopo che il darsi tempone. Si deputarono finalmente quattro dei meglio tarchiati ad incaricarsi a vicenda del trasporto d'una sacchetta contenente, oltrecchè le vettovaglie dette di sopra, una scacchiera, gli ossi del domino, carte da giuoco e non so che altre corbellerie; ché i vizii non sono cose ch'altri, partendo, possa a sua posta lasciare in città come vi si lasciano i teatri, i campanili e le fontane.
Non ti prenda spavento lettor mio dolcissimo, chè non è mia intenzione venirti adesso descrivere i singoli obbietti i costumi il terren le fronde i sassi che lunghesso il silvestre cammino ebbero a ferirci lo sguardo e più spesso ancora (con sopportazione) la punta dei piedi. So benissimo quanto si debba alla pazienza de' miei lettori, e come avrai scorto dal titolo imposto al presente chiacchieramento, egli è ben altro che impressioni di viaggi l'argomento ond'io bramo oggidì trattenermi alquanto con teco.
A luogo di comune ritrovo e quindi a punto di partenza, fu destinato un caffè sito nella piazza maggiore; un caffé che, avuto riguardo agli arnesi onde vanno decorate le sue pareti, potrebbe dirsi il tempio tella Vanità. Allo scoccare delle ore cinque antimeridiane, ch'era l'ora appuntata, l'allegra comitiva vi si trovava già tutta puntualmente raccolta, a riserva d'un solo che a sua perpetua vergogna registrerò in queste pagine; a riserva, dico, di Marco Polo.
La costui contumacia avrebbe di fermo mal disposto la comitiva s'ella non fosse stata per allora piacevolmente preoccupata nel considerare le foggie multiplici ma tutte straordinariamente bizzarre degli abiti da viaggio indossati da ciascheduno degli intervenuti. Più strane, più buffe, più grottesche figure non si viddero mai sulla scena, né stampate sul Chiarivari, nè dipinte su pe' ventagli chinesi. Vi basti che tutti dal più al meno eravamo camuffati per modo, che dove, per supposto, si fossimo trovati in quel luogo medesimo in ora ogni poco più tarda da quella sì mattutina, non saremmo certo scampati alle beffe e peggio fors'anche della ragazzaglia.
Da quella specie di rapimento in cui eravamo assorti alla vista di quello strano spettacolo che ognuno di noi formava di sè medesimo agli altri cinque, e direi quasi anco a sè stesso, fummo riscossi dallo scoccare che fecero le ore sei da tre diversi orologi.
E comeché Marco Polo non giungeva per anco, il Capitano, perduta in ultimo la pazienza, alzò la voce dicendo: non si dovesse dimorare più a lungo; le norme fissate dall'itinerario essere oramai di ben un'ora stravolte né s'era dato tuttavia il primo passo; se si procedesse di tal tenore neanchè sei giorni bastare al viaggio che s'era stabilito fornire in due solamente; non si badasse più oltre a Marco Polo; lo si avesse in tasca; incolpasse egli sè stesso della perdita che andava a fare della caparra di fiorini dieci e di quella d'un divertimento che ne varrà ben diecimila.- Un grido unanime applaudì alla concione del Capitano, ed un altro più sonoro di questi diede l'ambio alla comitiva.
.......... continua ..........
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di Colombo (no meio identificado):
RELAZIONE
d'una maravigliosa cura operata senza soccorso di medico e col semplice mezzo dell'acqua fresca.
E' una città in questo basso globo, la quale, dice il suo antico cronista, siede sulla pendice d'un monticello in luogo assai ameno e dilettevole, tiene a fronte Venezia coll'Italia, dietro le spalle la Germania, alla destra il Friuli ed a mancina l'Istria colla Dalmazia; una città che ab immemorabili contava pur qualche cosa nel mondo, ma che digradò poi mano mano siffattamente da non si poter in ultimo valutare più che una grama borgata. E fu solo, dirò così, sotto a' nostr'occhi medesimi ch'essa tornò a ringrandirsi per guisa che di sei mila centoventiquattro bocche ch'essa nodriva addi 20 Aprile 1758 ne nutre oggimai meglio che nove tante. Ed è questo un miracolo operato da quella sagacissima delle arti, che con util laccio annoda e affratella le nazioni. Da ciò può vedersi quanto gran torto s'abbian coloro che del continuo menano lamento perciò che di null'altro si parli quivi che di commercio e perché nei luoghi tutti di pubblico e privato convegno e perfin ne' teatri, convertiti pur essi in Bazzarri, commercio risonar s'oda commercio!
Da ciò stesso procede naturalmente che gli uomini sieno quì, più che altrove, affaccendati, e più naturalmente ancora che sentano essi bisogno di ricreazione. Laonde non accade mai ne' dì del riposo e nelle altre feste dell'anno, massime se due o tre giungano insieme accoppiate, che una gran parte di essi non si riversi nelle circostanti adjacenze a bervi dell'aria verginale ed un pochetto altresì del famoso loro nettare, vergine e puro ancor esso al pari dell'aria.
Appiè del monticello detto di sopra, dalla parte ove siede un'antico castello, è una specie di caverna scavata nel vivo sasso, un antro cupo e profondo che a prima vista si direbbe asilo d'un gran penitente, o meglio forse (chi presti attenzione all'ardente sete onde sono stimolati coloro che vi traggono il piede), officina alla posterità di colui che in Romena falsava la lega suggellata del Battista.
Sia comunque la cosa, ciò ch'è fuor d'ogni dubbio si è convenir quivi seralmente una cofrediglia dei meglio umori del mondo, la quale vi trova non solo di che rintegrare le forze prostrate, ma, ch'è più, d'avvivare lo spirito immelensito dal diurno lavoro.
Quivi appunto la sera di sabato 13 agosto dell'anno di Grazia 1842, il senno tutto dell'assemblea stava intento a considerare il come avesse a passarsi le quarantaott'ore festive ch'indi succedevano. Dopo lunga e profonta discussione, stabilirono tutti, nemine excepto, non poter queste meglio impiegarsi che nel visitare alcune grotte che s'affondano negli alpestri dintorni di quel loro paese, le quali mentre fanno la meraviglia dello straniero che avidamente le visita e le ricerca, erano da essi tutti, non senza propria vergogna, onninamente ignorate.
A sette pertanto, compreso io scrivente, ascendeva il numero di coloro che si disposero ardimentosi al glorioso pellegrinaggio, e quì gli scrivo giusta il pseudonimo che sin d'allora piacque loro rispettivamente di assumere. Colombo, Vespucci, Marco Polo, Ca da Mosto, Belzoni, Brocchi e Cabotto.
Il viaggio, oltre alla visita delle grotte sumemorate, doveva avere per ultima meta una caverna a tutto il mondo famosa per tre maravigliosi prodigii di natura che si compiono in essa.
Ciò fermato si passò alla compilazione dell'itinerario; si stabilì l'ora della partenza, il luogo di ritrovo, i punti tutti dove far sosta, il tempo da impiegarsi matematicamente a reintegrare le dispendiate potenze vitali sia all'osteria, sia in qualsivoglia altro luogo dove improvviso si venisse a piantare le mense, quello da destinarsi al riposo ed al sonno, nè si obbliò alla perfine di consecrarne anche un ritaglio alla contemplazione dei miracoli della natura, non computato però il possibile entusiasmo d'una qualche testa poetica cui per avventura quel termine non fosse a pezza bastante. Si nominò quindi un Capitano, cui diriger dovesse la spedizione; un Segretario, che tener dovesse del continuo l'itinerario spiegato agli occhi della brigata ed invigilarne l'indiminuta osservanza; un provvigioniere il quale pensar dovesse al procaccio di quanto tornava necessario al viatico, considerata l'inospitale natura dei luoghi che si dovea pedestramente percorrere, dove, per un tratto talvolta non minore d'un miglio, nient'altro ti è dato rinvenire, salvo che sterpi e sassi, cose ottimissime, se vogliamo, a saziare il poetico appetito dei botanici e dei geologi, ma non già quello tutto prosaico di noi giovani sani e ben complessi, i quali viaggiando non altro avevamo per iscopo che il darsi tempone. Si deputarono finalmente quattro dei meglio tarchiati ad incaricarsi a vicenda del trasporto d'una sacchetta contenente, oltrecchè le vettovaglie dette di sopra, una scacchiera, gli ossi del domino, carte da giuoco e non so che altre corbellerie; ché i vizii non sono cose ch'altri, partendo, possa a sua posta lasciare in città come vi si lasciano i teatri, i campanili e le fontane.
Non ti prenda spavento lettor mio dolcissimo, chè non è mia intenzione venirti adesso descrivere i singoli obbietti i costumi il terren le fronde i sassi che lunghesso il silvestre cammino ebbero a ferirci lo sguardo e più spesso ancora (con sopportazione) la punta dei piedi. So benissimo quanto si debba alla pazienza de' miei lettori, e come avrai scorto dal titolo imposto al presente chiacchieramento, egli è ben altro che impressioni di viaggi l'argomento ond'io bramo oggidì trattenermi alquanto con teco.
A luogo di comune ritrovo e quindi a punto di partenza, fu destinato un caffè sito nella piazza maggiore; un caffé che, avuto riguardo agli arnesi onde vanno decorate le sue pareti, potrebbe dirsi il tempio tella Vanità. Allo scoccare delle ore cinque antimeridiane, ch'era l'ora appuntata, l'allegra comitiva vi si trovava già tutta puntualmente raccolta, a riserva d'un solo che a sua perpetua vergogna registrerò in queste pagine; a riserva, dico, di Marco Polo.
La costui contumacia avrebbe di fermo mal disposto la comitiva s'ella non fosse stata per allora piacevolmente preoccupata nel considerare le foggie multiplici ma tutte straordinariamente bizzarre degli abiti da viaggio indossati da ciascheduno degli intervenuti. Più strane, più buffe, più grottesche figure non si viddero mai sulla scena, né stampate sul Chiarivari, nè dipinte su pe' ventagli chinesi. Vi basti che tutti dal più al meno eravamo camuffati per modo, che dove, per supposto, si fossimo trovati in quel luogo medesimo in ora ogni poco più tarda da quella sì mattutina, non saremmo certo scampati alle beffe e peggio fors'anche della ragazzaglia.
Da quella specie di rapimento in cui eravamo assorti alla vista di quello strano spettacolo che ognuno di noi formava di sè medesimo agli altri cinque, e direi quasi anco a sè stesso, fummo riscossi dallo scoccare che fecero le ore sei da tre diversi orologi.
E comeché Marco Polo non giungeva per anco, il Capitano, perduta in ultimo la pazienza, alzò la voce dicendo: non si dovesse dimorare più a lungo; le norme fissate dall'itinerario essere oramai di ben un'ora stravolte né s'era dato tuttavia il primo passo; se si procedesse di tal tenore neanchè sei giorni bastare al viaggio che s'era stabilito fornire in due solamente; non si badasse più oltre a Marco Polo; lo si avesse in tasca; incolpasse egli sè stesso della perdita che andava a fare della caparra di fiorini dieci e di quella d'un divertimento che ne varrà ben diecimila.- Un grido unanime applaudì alla concione del Capitano, ed un altro più sonoro di questi diede l'ambio alla comitiva.
.......... continua ..........
.......... continuazione ..........
Fatti appena un tredici passi s'ode dalla lunge una voce che si rende mano a mano sempre più chiara, cosicché potevamo ciascuno udirci chiamare pei celebri nomi da noi assunti. A questa voce succede un frastuono orrendo d'urla e di fischi che salgono su su fino alle stelle. La voce partiva, come il lettore può immaginarsi, da Marco Polo il quale per essa davaci avviso del giunger suo; partivano le urla ed i fischi dal nostro coro, ed erano come una specie di salva con cui veniva per noi accolto e festeggiato il pigro compagno. E non avendo costui altra scusa da addurre in discolpa della sua così lunga tardanza salvo quella dell'essersi addormentato in letto, vi so dir io che la gli sarebbe passata troppo più amara se la foggia stessa del suo vestire mille volte più strana che quelle stranissime per noi usate, non lo avesse salvo dall'ire nostre ch'erano già imminenti per iscattare. Egli aveva in testa, figuratevi, un cappellonaccio di paglia scaccato rosso e nero con tale una tesa, che, nonché la compagnia tutta, una mandria intera avrebbe potuto a grand'agio raccogliervisi sotto, vuoi a schermo dei raggi solari, vuoi d'un improvviso aquazzone. Vestiva o, per dir più giusto, era insaccato a casaccio in una specie di blouse color cagnazzo, raccenciata sotto la destra ascella, con risvolte rigogliose foderate di verde, e certi bottoni di vetro color marrone i quali nè d'un pelo differivano in circonferenza da un tallero di Maria Teresa. La gorgiera o bavero che dir si voglia, rigogliosa anch'essa al pari delle risvolte ed orlata tutt'all'intorno da una foglia d'alloro, ornamento alquanto logoro se vogliamo per decrepitezza, ma di molto appropriato al soggetto, conciossiaché dovete sapere che il nostro Marco Polo è un dottore in ambo le leggi. Quello poi di quest'abito che suscitava maggiormente le risa era un numero considerevole (ne abbiamo contate insino a sette) di tasche, taschine, tascone e tasconaccie, e queste turgide tutte per modo, che non lo è tanto (diria Baretti) una femmina dopo otto mesi di buon matrimonio. Questa veste era poi tenuta aderente ai fianchi da una zona o centurone di pelle di dante con chiavacuore d'acciajo. Pantaloni calzava stretti alla dragona e singolari per non so che stoffa addogata a spinapesce, e per una bottoniera che dal fianco scendeva giù quinci e quindi sino alla cavicchia. Gilet non aveva ma sibbene una camicia di tela cenerugiola a occhiuzzi bianchi e bleu lavorata allo sparato con molto magistero di piegoline e dottorali trippette. Recava in mano, per finirla, un bordòne appetto al quale il bambucchetto del furioso all'isola di S. Domingo sembrerebbe appena appena un gambo di miglio.
Da questo piccolo abbozzo, ch'è solo un ombra del vero, puoi figurarti lettor mio carissimo di che riso ridemmo al veder capitare fra noi una figura cotanto bislacca. Nè noi soli ridemmo, ma io credo che le statue financo d'una fontana che ci stava di fronte ed i cavalli marini nuotanti su pegli embrici d'un novello casamento che ci stava di costa, ne scompisciassero anch'essi per le risa grossissime.
Le quali non cessarono punto da parte nostra che un miglio e mezzo lontano dalla città, mangiando al di fuori d'una osteria situata rimpetto a un obelisco che sorge in cima d'un alto monte, daddove furono per noi squadrate le fiche alla sottoposta città che per due giorni lasciavamo con tutte le penaci e avare sue cure, per essere, quelle poc'ore almeno, liberi ed assoluti padroni di noi medesimi.
Rifocillati quivi alla fuggiasca, procedemmo con maggior lena il divisato cammino, che s'andava facendo più e più ognora selvaggio ed aspro e forte, talchè bene spesso e piedi e man voleva il suol di sotto.
Erano le due ore pomeridiane allorchè sazii della vista d'una grotta, d'un castello in essere, d'un altro diruvinato, dei pochi famosi ruderi d'un antico aquedotto romano; sazii della contemplazione d'infinite svariatissime scene della natura, sazii d'un desinare, se non isquisito, abbondoso, e, più che tutto, sazii di camminare, ci abbandonammo tutti con somma gioja al riposo, che il Capitano, in virtù della facoltà impartitagli dall'itinerario, concedeva a sè stesso e ad altrui per due ore.
Scorse di poco le quali, la comitiva s'era già di bel nuovo adunata giù nel cortile e stava intenta a rinfrescarsi la faccia ad un zampilletto d'acqua perenne sgorgante dalla costa d'un monte che vi forma parete. E mentre, indi a poco, il Capitano stava per intimare la marcia, s'accorge egli, e noi con lui, della mancanza di una recluta. Lettor mio dilettissimo! Indovina mo' chi mancava?.. Bravo davvero! hai dato giusto nel segno. Marco Polo per l'appunto. -- Corremmo tutti in traccia di lui, rovistammo tutte ad una ad una le poche stanze di quel maghero albergo, nè ci vien fatto trovarlo. Il mozzo di stalla, stando all'uscio di questa, accortosi dell'oggetto di quella nostra perquisizione, per via d'un certo suo ghigno ci fece avvertiti starsi l'amico nostro appunto là dentro. In men che nol dico entrammo tutti la stalla ed eccoti Marco Polo , corcate le poltre membra sur un monticello di fieno, schiacciare un sonno intenso e profondo, ronfando in modo da emulare, non ch'altri, quei benigni e graziosi animaletti che lo avevano sì cortesemente ospitato nello stesso loro presepio. Non vi so dire quali e quanti scotimenti fosse mestieri impiegare per richiamarlo alla vita; questo so bene che la Pila galvanica non ne diede mai di più gagliardi e che tanti non ne sarebbero occorsi ad atterrare una quercia. Lo prendemmo anche pel naso, ch'era di que' cardinali e sì il dimenammo pazzamente ma tutto indarno. -- Quando, come a Dio piacque, Marco aprì gli occhi: Qual negligenzia, quale stare è questo? gli gridò il Capitano, mentre due di noi venivamo rizzandolo in piedi. Rizzato in piedi sbadigliò sconcio e reiteratamente, stiracchiò gambe e braccia movendo finalmente il passo com' uom che va nè sa dpve riesca. Un nuovo e più solenne complimento di grida suonategli agli orecchi gli ridestarono i cinque sentimenti del corpo ch'erano in lui tuttavia occupati e sepolti. Dopo di che, a nuova intimazione del Capitano, procedemmo di conserva nel prefinito cammino non senza però bisticciare di putto in punto il povero Marco Polo cogli epitteti di poltronaccio, infingardo, dormalfuoco e altrettali.
Cammina cammina cammina, sull'abbrunir della notte, giungemmo in un grosso paesotto sotto la giurisdizione del quale s'apre la più famosa di tutte le grotte. Quivi era stabilito di passare la notte per condurci poi l'indomani di buon mattino a visitare anche questo portento della natura. Sostammo pertanto, e non occorre quasi ch'io il dica, all'osteria, dove in pochissimi istanti fu lesta una cenetta che si merita l'aggettivo di lauta più presto che di copiosa. Tolte le mense, ci fu chi propose una partita di giuoco; proposizione che fu accolta generalmente, avvegnachè non da tutti per uguale impulso: chè alcuno il facea per mal abito, altri per mera compiacenza, altri per semplice passatempo, e diletto. Se non che, mentre si stava dividendo i campioni della partita, ci accorgemmo di essere solamente in sei, quindi mancarne un compagno. Fa duopo oramai ch'io ti dica, o lettore, chi si foss'egli, il disertore? -- Ti basti che corremmo tutti chi quà chi là in traccia di lui e che l'abbiamo trovato... sai tu dove? in una cameruccia bell'e coricato sotto le lenzuola, anzi sepolto in profondissimo sonno. A tal vista ci fu più d'uno che macchinò di far lui qualche bruttissimo scherzo ed alcun altro che applaudì alla proposta. Ma il più vi si oppose per compassione, cosicchè, lasciato che russasse a sua posta, ritornammo là donde ci eravamo tolti e demmo principio alla partita di giuoco. Si giuocò un pajo d'ore, indi, alle 11 pom., ci recammo tutti sei al riposo in una stanza comune, ma divisi in tre letti, mentre Marco Polo che ci avea preceduti fu così fortunato da rimanersi tutto solo e padrone assoluto d'una comoda stanza e d'un comodo letto.
.......... continua ..........
Fatti appena un tredici passi s'ode dalla lunge una voce che si rende mano a mano sempre più chiara, cosicché potevamo ciascuno udirci chiamare pei celebri nomi da noi assunti. A questa voce succede un frastuono orrendo d'urla e di fischi che salgono su su fino alle stelle. La voce partiva, come il lettore può immaginarsi, da Marco Polo il quale per essa davaci avviso del giunger suo; partivano le urla ed i fischi dal nostro coro, ed erano come una specie di salva con cui veniva per noi accolto e festeggiato il pigro compagno. E non avendo costui altra scusa da addurre in discolpa della sua così lunga tardanza salvo quella dell'essersi addormentato in letto, vi so dir io che la gli sarebbe passata troppo più amara se la foggia stessa del suo vestire mille volte più strana che quelle stranissime per noi usate, non lo avesse salvo dall'ire nostre ch'erano già imminenti per iscattare. Egli aveva in testa, figuratevi, un cappellonaccio di paglia scaccato rosso e nero con tale una tesa, che, nonché la compagnia tutta, una mandria intera avrebbe potuto a grand'agio raccogliervisi sotto, vuoi a schermo dei raggi solari, vuoi d'un improvviso aquazzone. Vestiva o, per dir più giusto, era insaccato a casaccio in una specie di blouse color cagnazzo, raccenciata sotto la destra ascella, con risvolte rigogliose foderate di verde, e certi bottoni di vetro color marrone i quali nè d'un pelo differivano in circonferenza da un tallero di Maria Teresa. La gorgiera o bavero che dir si voglia, rigogliosa anch'essa al pari delle risvolte ed orlata tutt'all'intorno da una foglia d'alloro, ornamento alquanto logoro se vogliamo per decrepitezza, ma di molto appropriato al soggetto, conciossiaché dovete sapere che il nostro Marco Polo è un dottore in ambo le leggi. Quello poi di quest'abito che suscitava maggiormente le risa era un numero considerevole (ne abbiamo contate insino a sette) di tasche, taschine, tascone e tasconaccie, e queste turgide tutte per modo, che non lo è tanto (diria Baretti) una femmina dopo otto mesi di buon matrimonio. Questa veste era poi tenuta aderente ai fianchi da una zona o centurone di pelle di dante con chiavacuore d'acciajo. Pantaloni calzava stretti alla dragona e singolari per non so che stoffa addogata a spinapesce, e per una bottoniera che dal fianco scendeva giù quinci e quindi sino alla cavicchia. Gilet non aveva ma sibbene una camicia di tela cenerugiola a occhiuzzi bianchi e bleu lavorata allo sparato con molto magistero di piegoline e dottorali trippette. Recava in mano, per finirla, un bordòne appetto al quale il bambucchetto del furioso all'isola di S. Domingo sembrerebbe appena appena un gambo di miglio.
Da questo piccolo abbozzo, ch'è solo un ombra del vero, puoi figurarti lettor mio carissimo di che riso ridemmo al veder capitare fra noi una figura cotanto bislacca. Nè noi soli ridemmo, ma io credo che le statue financo d'una fontana che ci stava di fronte ed i cavalli marini nuotanti su pegli embrici d'un novello casamento che ci stava di costa, ne scompisciassero anch'essi per le risa grossissime.
Le quali non cessarono punto da parte nostra che un miglio e mezzo lontano dalla città, mangiando al di fuori d'una osteria situata rimpetto a un obelisco che sorge in cima d'un alto monte, daddove furono per noi squadrate le fiche alla sottoposta città che per due giorni lasciavamo con tutte le penaci e avare sue cure, per essere, quelle poc'ore almeno, liberi ed assoluti padroni di noi medesimi.
Rifocillati quivi alla fuggiasca, procedemmo con maggior lena il divisato cammino, che s'andava facendo più e più ognora selvaggio ed aspro e forte, talchè bene spesso e piedi e man voleva il suol di sotto.
Erano le due ore pomeridiane allorchè sazii della vista d'una grotta, d'un castello in essere, d'un altro diruvinato, dei pochi famosi ruderi d'un antico aquedotto romano; sazii della contemplazione d'infinite svariatissime scene della natura, sazii d'un desinare, se non isquisito, abbondoso, e, più che tutto, sazii di camminare, ci abbandonammo tutti con somma gioja al riposo, che il Capitano, in virtù della facoltà impartitagli dall'itinerario, concedeva a sè stesso e ad altrui per due ore.
Scorse di poco le quali, la comitiva s'era già di bel nuovo adunata giù nel cortile e stava intenta a rinfrescarsi la faccia ad un zampilletto d'acqua perenne sgorgante dalla costa d'un monte che vi forma parete. E mentre, indi a poco, il Capitano stava per intimare la marcia, s'accorge egli, e noi con lui, della mancanza di una recluta. Lettor mio dilettissimo! Indovina mo' chi mancava?.. Bravo davvero! hai dato giusto nel segno. Marco Polo per l'appunto. -- Corremmo tutti in traccia di lui, rovistammo tutte ad una ad una le poche stanze di quel maghero albergo, nè ci vien fatto trovarlo. Il mozzo di stalla, stando all'uscio di questa, accortosi dell'oggetto di quella nostra perquisizione, per via d'un certo suo ghigno ci fece avvertiti starsi l'amico nostro appunto là dentro. In men che nol dico entrammo tutti la stalla ed eccoti Marco Polo , corcate le poltre membra sur un monticello di fieno, schiacciare un sonno intenso e profondo, ronfando in modo da emulare, non ch'altri, quei benigni e graziosi animaletti che lo avevano sì cortesemente ospitato nello stesso loro presepio. Non vi so dire quali e quanti scotimenti fosse mestieri impiegare per richiamarlo alla vita; questo so bene che la Pila galvanica non ne diede mai di più gagliardi e che tanti non ne sarebbero occorsi ad atterrare una quercia. Lo prendemmo anche pel naso, ch'era di que' cardinali e sì il dimenammo pazzamente ma tutto indarno. -- Quando, come a Dio piacque, Marco aprì gli occhi: Qual negligenzia, quale stare è questo? gli gridò il Capitano, mentre due di noi venivamo rizzandolo in piedi. Rizzato in piedi sbadigliò sconcio e reiteratamente, stiracchiò gambe e braccia movendo finalmente il passo com' uom che va nè sa dpve riesca. Un nuovo e più solenne complimento di grida suonategli agli orecchi gli ridestarono i cinque sentimenti del corpo ch'erano in lui tuttavia occupati e sepolti. Dopo di che, a nuova intimazione del Capitano, procedemmo di conserva nel prefinito cammino non senza però bisticciare di putto in punto il povero Marco Polo cogli epitteti di poltronaccio, infingardo, dormalfuoco e altrettali.
Cammina cammina cammina, sull'abbrunir della notte, giungemmo in un grosso paesotto sotto la giurisdizione del quale s'apre la più famosa di tutte le grotte. Quivi era stabilito di passare la notte per condurci poi l'indomani di buon mattino a visitare anche questo portento della natura. Sostammo pertanto, e non occorre quasi ch'io il dica, all'osteria, dove in pochissimi istanti fu lesta una cenetta che si merita l'aggettivo di lauta più presto che di copiosa. Tolte le mense, ci fu chi propose una partita di giuoco; proposizione che fu accolta generalmente, avvegnachè non da tutti per uguale impulso: chè alcuno il facea per mal abito, altri per mera compiacenza, altri per semplice passatempo, e diletto. Se non che, mentre si stava dividendo i campioni della partita, ci accorgemmo di essere solamente in sei, quindi mancarne un compagno. Fa duopo oramai ch'io ti dica, o lettore, chi si foss'egli, il disertore? -- Ti basti che corremmo tutti chi quà chi là in traccia di lui e che l'abbiamo trovato... sai tu dove? in una cameruccia bell'e coricato sotto le lenzuola, anzi sepolto in profondissimo sonno. A tal vista ci fu più d'uno che macchinò di far lui qualche bruttissimo scherzo ed alcun altro che applaudì alla proposta. Ma il più vi si oppose per compassione, cosicchè, lasciato che russasse a sua posta, ritornammo là donde ci eravamo tolti e demmo principio alla partita di giuoco. Si giuocò un pajo d'ore, indi, alle 11 pom., ci recammo tutti sei al riposo in una stanza comune, ma divisi in tre letti, mentre Marco Polo che ci avea preceduti fu così fortunato da rimanersi tutto solo e padrone assoluto d'una comoda stanza e d'un comodo letto.
.......... continua ..........
.......... continuazione ..........
La domane alle ore sei precise, giusta l'incarico che avevamo lasciato all'ostiere, fummo da questi puntualmente ridesti o, per dir meglio, avvisati esser l'ora assegnata, dappoichè nessuno di tutti noi in tutta quanta la notte potè mai chiuder palpebra a cagione d'un'immensa e maladetta moltitudine di mosche, moscherini zanzare scarabei vespe e mosconi, i quali zuffolandoci in coro dentro gli orecchi, su per le nari, sulle guancie, su per le mani esercitarono dappertutto crudelmente il loro crudelissimo assillo e ci tennero del continuo in tormentosa smania e in martirio.
Indossati gli abiti strani sortimmo tutti ad un tempo di stanza e ci adunammo nella salotta comune. In questo dal lato opposto entrava pure l'ostiere recandoci di che far colazione. E ministrandoci questa: "Le avverto, Signori, prese a dire, ch'io non ho mancato all'ora assegnatami di recarmi a svegliare anco quel signore che occupa l'altra stanza, e voleva intendere Marco Polo, ma dopo aver faticato un buon quarto d'ora per rifarlo vivo: -- va al diavolo, mi gridò egli come un frenetico: va al diavolo, e non mi seccare... e giratosi dall'altro canto, quasi nel punto medesimo tornò a russare come un... come un papasso.
Il racconto dell'oste concitò tutta la compagnia contro del dormiglione, non tanto pel tempo ch'egli ci faceva pur questa volta sprecare, quanto perchè quel suo così saporito dormire era, in faccia all'oste, come una specie d'accusa della nostro troppo squisita e direi quasi arcidonnesca sensibiltà, stante i gran lagni che avevamo fatti verso costui a cagione della fiera tortura che ci toccò di soffrire nel malaugurato suo albergo.
Epperò tutti d'accordo stabilimmo di volerci rivendicare di Marco Polo con una qualche burla solenne. E comecchè temperatissimi per benignità di natura erano gli animi dei congiurati, temperatissimo fu del pari il supplizio proposto accettato e messo tosto ad esecuzione. Consistette questo nell'avvoltolare il dormiente in quel lenzuolo medesimo su cui stava corcato e cucirvelo dentro; torlo quindi bel bello dal letto, collocarlo lungo disteso sur una specie di treggia o civèa che ci fu al bell'uopo fornita dall'oste, fattovi prima una specie di materassa co' suoi stessi vestiti affinchè il poveraccio non s'ammaccasse le costole, e sì a quattro mani condurlo nosco in viaggio fin tanto ch'ei si sviluppasse dal sonno. Avevamo di tal maniera percorso lungo tratto di strada senza ch'egli (se si prescinda dal sonoro russare) dèsse mai il benchè menomo segno di vita; anzi pareva che quel legger cullamento ch'era imposto alla treggia dal camminare dei portatori sur un piano ineguale, e l'aria libera e fresca della mattina, giovassero mirabilmente, anziché a rompere, a mettere il sonno con maggior forza nei di lui sentimenti.
.......... continua ..........
La domane alle ore sei precise, giusta l'incarico che avevamo lasciato all'ostiere, fummo da questi puntualmente ridesti o, per dir meglio, avvisati esser l'ora assegnata, dappoichè nessuno di tutti noi in tutta quanta la notte potè mai chiuder palpebra a cagione d'un'immensa e maladetta moltitudine di mosche, moscherini zanzare scarabei vespe e mosconi, i quali zuffolandoci in coro dentro gli orecchi, su per le nari, sulle guancie, su per le mani esercitarono dappertutto crudelmente il loro crudelissimo assillo e ci tennero del continuo in tormentosa smania e in martirio.
Indossati gli abiti strani sortimmo tutti ad un tempo di stanza e ci adunammo nella salotta comune. In questo dal lato opposto entrava pure l'ostiere recandoci di che far colazione. E ministrandoci questa: "Le avverto, Signori, prese a dire, ch'io non ho mancato all'ora assegnatami di recarmi a svegliare anco quel signore che occupa l'altra stanza, e voleva intendere Marco Polo, ma dopo aver faticato un buon quarto d'ora per rifarlo vivo: -- va al diavolo, mi gridò egli come un frenetico: va al diavolo, e non mi seccare... e giratosi dall'altro canto, quasi nel punto medesimo tornò a russare come un... come un papasso.
Il racconto dell'oste concitò tutta la compagnia contro del dormiglione, non tanto pel tempo ch'egli ci faceva pur questa volta sprecare, quanto perchè quel suo così saporito dormire era, in faccia all'oste, come una specie d'accusa della nostro troppo squisita e direi quasi arcidonnesca sensibiltà, stante i gran lagni che avevamo fatti verso costui a cagione della fiera tortura che ci toccò di soffrire nel malaugurato suo albergo.
Epperò tutti d'accordo stabilimmo di volerci rivendicare di Marco Polo con una qualche burla solenne. E comecchè temperatissimi per benignità di natura erano gli animi dei congiurati, temperatissimo fu del pari il supplizio proposto accettato e messo tosto ad esecuzione. Consistette questo nell'avvoltolare il dormiente in quel lenzuolo medesimo su cui stava corcato e cucirvelo dentro; torlo quindi bel bello dal letto, collocarlo lungo disteso sur una specie di treggia o civèa che ci fu al bell'uopo fornita dall'oste, fattovi prima una specie di materassa co' suoi stessi vestiti affinchè il poveraccio non s'ammaccasse le costole, e sì a quattro mani condurlo nosco in viaggio fin tanto ch'ei si sviluppasse dal sonno. Avevamo di tal maniera percorso lungo tratto di strada senza ch'egli (se si prescinda dal sonoro russare) dèsse mai il benchè menomo segno di vita; anzi pareva che quel legger cullamento ch'era imposto alla treggia dal camminare dei portatori sur un piano ineguale, e l'aria libera e fresca della mattina, giovassero mirabilmente, anziché a rompere, a mettere il sonno con maggior forza nei di lui sentimenti.
.......... continua ..........
te sa che no rivo a capir indove che i sta andando? ...
xe dopo che no me trovo piu` ...
ben, ben ... bel e interesante
grassie tante de sta sorprexa
le sait toi? Je n'arrive pas à comprendre où ils sont en train d'aller ...
c'est après cela que je ne suis pas plus avec eux ...
bien, bien: ... c'est une belle et intéressante histoire
merci beaucoup pour cette surprise
do you know? I can't understand where they are going ...
it's after this that I'm not longer with them ...
well, well ... it is a beautiful and interesting story
thank you very much for this surprise
e fin cua pol eser 'l obelisco de opcina ... me bati per 'l alto monte e forsi anca per la distanza .. dixemo che 'l miglio 'l sia de 1.8 km, vol dir circa 5 km ... no go mai mixurado, ma de piaza granda che i xe partidi (el cafe` de i speci el xe evocado sai ben) se i xe andadi su per via comercial i pol gaver fato cuela stradarofizal ha scritto:[...]un miglio e mezzo lontano dalla città, mangiando al di fuori d'una osteria situata rimpetto a un obelisco che sorge in cima d'un alto monte[...]
xe dopo che no me trovo piu` ...
no go idea de che castei e de che grota che i gabi visto ... e gnanca de che albergo (o locanda o simile) che pol eser intacado contro de 'l monte e gaver una sorgente in corterofizal ha scritto:[...]Erano le due ore pomeridiane [...]
e anca cua no me xe ciaro ... per rivar a postumia no ghe gavesi bastado 'l tempo (sara` piu` de 50 km) e in 7 ore vol dir andar de corsa ... che i sia rivadi a san canzian? ... ma alora no capiso perche` pasar per opcina e no per baxovizarofizal ha scritto:[...]grosso paesotto sotto la giurisdizione del quale s'apre la più famosa di tutte le grotte[...]
ben, ben ... bel e interesante
grassie tante de sta sorprexa
le sait toi? Je n'arrive pas à comprendre où ils sont en train d'aller ...
ceci peut être l'obélisque de opcina ... je reconnais la haute montagne, et peut-être la distance est compatible ... si nous disons qu'un mille il est 1,8 kilomètres, cela veut dire environ 5 km ... je n'ai pas mesuré, mais à partir de piaza granda, d'où ils sont partis (le café des miroirs est évoqué très bien), s'ils ont poursuivi par "rue commercial" ils peuvent avoir parcouru cette distancerofizal ha scritto:[...]Un mille et demi loin de la ville, en mangeant dehors d'une taverne située en face d'un obélisque qui s'élève au sommet d'une haute montagne[...]
c'est après cela que je ne suis pas plus avec eux ...
je n'ai aucune idée de quels châteaux ni de quelle grotte qu'ils ont vu ... et même pas quel hôtel (ou d'auberge ou équivalent) peut être construit contre la montagne et ont un ressort dans la courrofizal ha scritto:[...]Il était deux heures après-midi [...]
même ici, il n'est pas claire pour moi ... pour atteindre Postumia ils n'auraient pas eu assez de temps (ils sont plus de 50 km) et 7 heures par les pieds il signifie courir vite ... ils sont arrivés à St. Canziano? ... mais alors je ne comprends pas pourquoi passer pour Opcina et non pas pour Basovizzarofizal ha scritto:[...]gros village dans laquelle jurisdition s'ouvre de la plus célèbre des grottes[...]
bien, bien: ... c'est une belle et intéressante histoire
merci beaucoup pour cette surprise
do you know? I can't understand where they are going ...
this can be the obelisk of opcina ... I recognize the high mountain and perhaps the distance is consistent ... if we say that one mile is 1.8 km: this means about 5 km ... I haven't measured but from piaza granda, from which they departed (the mirror's coffee is evoked very well) if they went on to via commerciale they may have walked that distancerofizal ha scritto:[...]A mile and a half away from the city, eating outside of a tavern located in face of an obelisk that rises to the top of a high mountain[...]
it's after this that I'm not longer with them ...
I have no idea about what castles nor what cave they have seen ... and not even what hotel (or inn or similar) can be built against the mountain and have a spring in the yardrofizal ha scritto:[...]It was two hours of the afternoon [...]
and here it's again unclear to me ... to reach Postumia they would not have had enough time (they are more than 50 km) and 7 hours by feet it means to run fast ... They arrived in St. Canziano? ... but then I don't understand why to pass into opcina and not into basovizzarofizal ha scritto:[...]Big village under which jurisdition opens the most famous of all the caves[...]
well, well ... it is a beautiful and interesting story
thank you very much for this surprise
Eh, quel dei loghi lo stavo studiando anche mi e go fato più o meno le stese tue ipotesi con le stese obiezioni. Vederemo dopo se riveremo a capir qualcosa.
Intanto continuemo.
.......... continuazione ..........
Pervenuti in mezzo ad una piccola vallea, due tiri circa d'archibugio dall'osteria onde eravamo partiti, c'incontrammo in un villanzone che recava in capo un corbello di fichi badalòni testè spiccati dall'albero.
Inesprimibile fu l'appetito eccitato in noi da que' fichi. Laonde domandato il villano s' e' gli vendesse e dettoci quegli che ne eravamo padroni, fu presto stretto il contratto con soddisfazione reciproca e massime del venditore, il quale, come discreto ch'ei fu nella sua pretesa, n'ebbe una metà di più di quello ch'ei ne chiedesse. Quando viaggiando s'assume certi gran nomi bisogna poi all'occasione trinciarla anco alla grande.
Ed eccoci seduti agiatamente sul verde attorno al corbello dei fichi, tranne i due che barellavano Marco Polo; i quali, vogliosi essi pure di prender parte a quell'imbandigione ch'eraci come piovuta dal cielo; "Ebbene, richiesero ad una, che farem noi del cadavere?" -- A ciò uno dei compagni (Vespucci) un giovanotto dall'occhio di fuoco, dal pelo nero folto e rigoglioso, si rizzò in piedi, inchinò l'assemblea, fece la barba indietro alle mascelle e parlò in tal sentenza "Se di mezzo a tanto senno non è soverchia temerità esporre un'umile mia opinione, io vorrei proporre di collocare messer Dormi (che così, e non altrimenti quind'innanzi vuolsi appellare costui) là sull'orlo estremo di quel monticellino che ci sorge di cospetto, in guisa però, che, com'ei si risvegli o faccia comecchessia il minimissimo moto, debba venirci bellamente ruotolon ruotoloni sin quaggiù a valle. La dolce inclinazione della pendice e la bell'erba ond'è smaltata ci sono garanti che l'amico nostro non porterà pericolo alcuno, salvo forse un cotal po' di spavento."
La proposizione fu accolta e plaudita con un generale sorriso e squassamento del capo, e lo sarebbe stata bennanco con alte grida e con fragor di palme se non si fosse temuto (certo a gran torto) non una più clamorosa manifestazione, ridestando il dormente, avesse a rapirne il diletto che dall'avvisata esperienza ci eravamo promesso. In men che nol dico, Marco Polo fu traggettato appunto, come corpo morto, sul ciglio estremo del collicello detto di sopra, ed assestato quivi artatamente per guisa, che al più leggero suo movimento, accader dovesse quanto l'amico Vespucci avea divisato.
Scendemmo poscia dal monticello e, a prevenire qualsivoglia sinistro, con occhio attento e con pietosa sollecitudine venimmo investigando minutamente quel calle che l'amico nostro, volere o non volere, dovea percorrere in quella guisa sì comica, e ne rimovemmo quinci ogni sasso, sterpo, sarmento od altro che potuto avesse recargli impedimento od offesa.
Dopo di che ci assidemmo nuovamente tutti d'intorno al cesto dei fichi, e tenendo l'occhio ognora confitto sul fastigio della collina, demmo a quelli di becco prendendone ciascuno una corpacciata. -- In questo s'odon più voci -- Veh! veh! il telegrafo gioca... veh! veh! il morto risorge! Ed infatti Marco Polo aveva sonnacchioni stirato una gamba, il che fu più che bastante a dargli l'avviamento da noi desiderato. Lettori! vi ricorda del masso di Manzoni, che dal vertice d'erto monte, precipitando a valle, batte sul fondo e stà? Tale avvenne appunto di Marco Polo. -- Non sì tosto fu questi al piano, balzammo in piedi e in un baleno gli fummo tutti d'attorno per intonargli la berta. Senonchè oh maraviglia! oh spavento!... il caduto si giaceva supino appiedi del colle, immobile al tutto come l'inerte mole manzoniana. Mille strani pensieri sconvolsero allora le nostre menti, un tremito ci assalse tutte le membra ed un freddo raccapriccio ci corse per le ossa e per le vene. Stemmo così buona pezza fermi siccome a candelier candelo, o se meglio vi piace, come altrettante prefiche scolpite attorno un sarcofago. Alla perfine io scrittore, fattomi alquanto coraggio, trassi di tasca un coltellino, e chinatomi sul corpo di Marco Polo ad oggetto di tagliare la basta del lenzuolo in cui stava egli ravvolto, odo con mio sommo stupore (il dico o il taccio?) odo che l'amico russava saporitissimamente. Ad un mio cenno si chinarono pure gli altri compagnì, e udito il russo, ricovrarono anch'essi gli spiriti smarriti, ed "Oh portento ben nuovo!" esclamarono tutti con tal concordia di voci, che non udii mai l'uguale in teatro dal miglior coro d'artisti.
-- Su su riportiamolo in cima, disse Vespucci. In cima in cima replicarono Brocchi e Colombo. Se non che due dei compagni (Ca da Mosto e Belzoni) i quali avevano intanto concertato fra loro di tentare sul poveretto una novella mariuoleria, afferratolo uno sotto le ascelle l'altro pei piedi; levaronlo suso di peso, riadagiaronlo dolcemente sulla barella, e presa questa quinci e quindi a due mani, s'incamminarono via pel destro fianco della collina mentre noi altri tutti venivamo in filo dietro di loro, curiosissimi di vedere come e dove la faccenda sarebbe andata a finire. Scaturiva da quella costa una venuccia d'acqua perenne, povera sì ma preziosa per quel villaggio che ne patisce estrema penuria. Quivi fecero sosta i cattivelli, e dando esecuzione all'efferato loro progetto, deposero la benna sottesso il fonte e sì l'aggiustarono furbescamente che lo zampillo veniva a battere dritto dritto sul badialissimo naso del dormiglione.
Come si frange il sonno ove di butto
Nuova luce percuote il viso chiuso
Che fratto guizza pria che muoja tutto;
Così l'alto sonno di Marco Polo cui nè luce alcuna, nè fragore di sorte, nè gli aghi stessi delle vespe avevano mai, nonchè rotto, minimamente sturbato, fu franto dal percuotere che faceva l'onda freschissima sul maschio arnese, non così tosto però, che non guizzasse lunga e stranamente pria che vanire del tutto. Imperocchè si riscosse egli dapprima come fan bestie spaventate e poltre, fece quindi non so quali e quanti stiracchìamenti e sberleffe, si fregò gli occhi, s'alzò sul sedere e sì ristette tuttavia tacito, immoto, girando solo lo sguardo tutt'all' intorno com'uom che sonnolento vana.
-- Drizza le gambe e lèvati su frate, disse Colombo porgendogli nel tempo stesso mano, perch'egli vi si appigliasse. Si appigliò egli diffatti, e non senza reciproca fatica fu ritto in piedi. In questo Belzoni coadunate le di lui vesti ch'erano disperse via pel terreno gliele venne cortesemente porgendo. E quegli tuttavia zitto, cortesemente le tolse, adagiossi bellamente sul verde ed allo specchio del sole che limpidissimo gli sorgeva di fronte, cominciò garbatamente a far toilette. Puoi figurarti lettore, se non ridemmo a crepapelle nell'essere spettatori di tali e tante scene tutte stracomiche. Se non ci accadde quello che a Zeusi pittore fu certamente un prodigio, e se ne pagheremo lo scotto con qualche giorno soltanto di doglie ai precordi, vorrà dire che madre natura ci ha organizzati in modo molto privilegiato -- Vestite ch'ebbe l'amico le strane vesti, con viso lieto e giocondo se ne venne difilato di mezzo a noi, e come quegli il quale non si tenea pago ch'altri potesse vantare d'essersi preso giuoco di lui: -- Grammercè buon' amici, diss'egli baldanzosetto : grammercè che mi avete menato a bere dell'aria mattutina e mi risparmiaste anco la briga di lavarrni il mostaccio.
- In tal caso, saltò su Cabotto, devi ringraziarci eziandio per un'altro diletto che ti abbiamo procurato, quale si è quello dell'averti fatto correre voltolon-voltoloni dalla cima insino al fondo del collicello che ci sta presso!
- Eh! via corbellate, esclamò Marco Polo, questa poi non la bevo!..
E non la credette diffatti, e non la crede tuttora, e non la crederà forse in eterno.
Ma la crediamo ben noi, e la crediamo per modo che ogni qual volta ce ne risveglia il pensiero, siam costretti ricorrere al sarto per farci rattaccare i bottoni o rifare le cuciture a' vestiti; siffatto è il riso che ne agita i fianchi!
Cominciata così deliziosamente, terminammo di egual maniera anche la seconda giornata, cosicchè il nostro viaggetto fu uno spasso, un trastullo, un rapimento continuo. E se di nulla abbiamo a dolerci, un tantino e' fu solo del Sole che troppo rapido, per noi, corse l'un dì e l'altro all'occaso. Ma di necessità è mestieri far cortesia. Laonde siano rese grazie anche al magno pianeta dell'esserci stato sempremai generoso dell'alma sua luce, ad appreggiar degnamente la quale, è uopo peregrinare, come noi femmo entro le viscere della terra.
Se non che le ragioni dell'itinerario andarono sovvertite. La visita delle ultime maraviglie ci costò più tempo che non era nostra intenzione di spendere, epperò la partenza di ritorno, che doveva aver luogo nel dopo pranzo del lunedì, fu necessario differirla al martedì mattina. Preso pertanto alloggiamento nell'Osteria ultima nominata, e dato incarico all'oste di ridestarci all'ore cinque antimeridiane, ci recammo tutti al riposo di cui avevamo in vero piucchemmai di bisogno, essendo stati altresì avventurati per modo da ottenere una stanza ed un buon letto per ciascheduno.
L'indomani ad ora grandissima, e molto prima di quella deputata alla partenza, s'ode un fracasso infernale come se l'albergo andasse tutto sossopra. Era Marco Polo che col pome del suo baston mostro picchiava alle porte delle nostre stanze... per risvegliarci! --
Colombo
.......... FINE ..........
Intanto continuemo.
.......... continuazione ..........
Pervenuti in mezzo ad una piccola vallea, due tiri circa d'archibugio dall'osteria onde eravamo partiti, c'incontrammo in un villanzone che recava in capo un corbello di fichi badalòni testè spiccati dall'albero.
Inesprimibile fu l'appetito eccitato in noi da que' fichi. Laonde domandato il villano s' e' gli vendesse e dettoci quegli che ne eravamo padroni, fu presto stretto il contratto con soddisfazione reciproca e massime del venditore, il quale, come discreto ch'ei fu nella sua pretesa, n'ebbe una metà di più di quello ch'ei ne chiedesse. Quando viaggiando s'assume certi gran nomi bisogna poi all'occasione trinciarla anco alla grande.
Ed eccoci seduti agiatamente sul verde attorno al corbello dei fichi, tranne i due che barellavano Marco Polo; i quali, vogliosi essi pure di prender parte a quell'imbandigione ch'eraci come piovuta dal cielo; "Ebbene, richiesero ad una, che farem noi del cadavere?" -- A ciò uno dei compagni (Vespucci) un giovanotto dall'occhio di fuoco, dal pelo nero folto e rigoglioso, si rizzò in piedi, inchinò l'assemblea, fece la barba indietro alle mascelle e parlò in tal sentenza "Se di mezzo a tanto senno non è soverchia temerità esporre un'umile mia opinione, io vorrei proporre di collocare messer Dormi (che così, e non altrimenti quind'innanzi vuolsi appellare costui) là sull'orlo estremo di quel monticellino che ci sorge di cospetto, in guisa però, che, com'ei si risvegli o faccia comecchessia il minimissimo moto, debba venirci bellamente ruotolon ruotoloni sin quaggiù a valle. La dolce inclinazione della pendice e la bell'erba ond'è smaltata ci sono garanti che l'amico nostro non porterà pericolo alcuno, salvo forse un cotal po' di spavento."
La proposizione fu accolta e plaudita con un generale sorriso e squassamento del capo, e lo sarebbe stata bennanco con alte grida e con fragor di palme se non si fosse temuto (certo a gran torto) non una più clamorosa manifestazione, ridestando il dormente, avesse a rapirne il diletto che dall'avvisata esperienza ci eravamo promesso. In men che nol dico, Marco Polo fu traggettato appunto, come corpo morto, sul ciglio estremo del collicello detto di sopra, ed assestato quivi artatamente per guisa, che al più leggero suo movimento, accader dovesse quanto l'amico Vespucci avea divisato.
Scendemmo poscia dal monticello e, a prevenire qualsivoglia sinistro, con occhio attento e con pietosa sollecitudine venimmo investigando minutamente quel calle che l'amico nostro, volere o non volere, dovea percorrere in quella guisa sì comica, e ne rimovemmo quinci ogni sasso, sterpo, sarmento od altro che potuto avesse recargli impedimento od offesa.
Dopo di che ci assidemmo nuovamente tutti d'intorno al cesto dei fichi, e tenendo l'occhio ognora confitto sul fastigio della collina, demmo a quelli di becco prendendone ciascuno una corpacciata. -- In questo s'odon più voci -- Veh! veh! il telegrafo gioca... veh! veh! il morto risorge! Ed infatti Marco Polo aveva sonnacchioni stirato una gamba, il che fu più che bastante a dargli l'avviamento da noi desiderato. Lettori! vi ricorda del masso di Manzoni, che dal vertice d'erto monte, precipitando a valle, batte sul fondo e stà? Tale avvenne appunto di Marco Polo. -- Non sì tosto fu questi al piano, balzammo in piedi e in un baleno gli fummo tutti d'attorno per intonargli la berta. Senonchè oh maraviglia! oh spavento!... il caduto si giaceva supino appiedi del colle, immobile al tutto come l'inerte mole manzoniana. Mille strani pensieri sconvolsero allora le nostre menti, un tremito ci assalse tutte le membra ed un freddo raccapriccio ci corse per le ossa e per le vene. Stemmo così buona pezza fermi siccome a candelier candelo, o se meglio vi piace, come altrettante prefiche scolpite attorno un sarcofago. Alla perfine io scrittore, fattomi alquanto coraggio, trassi di tasca un coltellino, e chinatomi sul corpo di Marco Polo ad oggetto di tagliare la basta del lenzuolo in cui stava egli ravvolto, odo con mio sommo stupore (il dico o il taccio?) odo che l'amico russava saporitissimamente. Ad un mio cenno si chinarono pure gli altri compagnì, e udito il russo, ricovrarono anch'essi gli spiriti smarriti, ed "Oh portento ben nuovo!" esclamarono tutti con tal concordia di voci, che non udii mai l'uguale in teatro dal miglior coro d'artisti.
-- Su su riportiamolo in cima, disse Vespucci. In cima in cima replicarono Brocchi e Colombo. Se non che due dei compagni (Ca da Mosto e Belzoni) i quali avevano intanto concertato fra loro di tentare sul poveretto una novella mariuoleria, afferratolo uno sotto le ascelle l'altro pei piedi; levaronlo suso di peso, riadagiaronlo dolcemente sulla barella, e presa questa quinci e quindi a due mani, s'incamminarono via pel destro fianco della collina mentre noi altri tutti venivamo in filo dietro di loro, curiosissimi di vedere come e dove la faccenda sarebbe andata a finire. Scaturiva da quella costa una venuccia d'acqua perenne, povera sì ma preziosa per quel villaggio che ne patisce estrema penuria. Quivi fecero sosta i cattivelli, e dando esecuzione all'efferato loro progetto, deposero la benna sottesso il fonte e sì l'aggiustarono furbescamente che lo zampillo veniva a battere dritto dritto sul badialissimo naso del dormiglione.
Come si frange il sonno ove di butto
Nuova luce percuote il viso chiuso
Che fratto guizza pria che muoja tutto;
Così l'alto sonno di Marco Polo cui nè luce alcuna, nè fragore di sorte, nè gli aghi stessi delle vespe avevano mai, nonchè rotto, minimamente sturbato, fu franto dal percuotere che faceva l'onda freschissima sul maschio arnese, non così tosto però, che non guizzasse lunga e stranamente pria che vanire del tutto. Imperocchè si riscosse egli dapprima come fan bestie spaventate e poltre, fece quindi non so quali e quanti stiracchìamenti e sberleffe, si fregò gli occhi, s'alzò sul sedere e sì ristette tuttavia tacito, immoto, girando solo lo sguardo tutt'all' intorno com'uom che sonnolento vana.
-- Drizza le gambe e lèvati su frate, disse Colombo porgendogli nel tempo stesso mano, perch'egli vi si appigliasse. Si appigliò egli diffatti, e non senza reciproca fatica fu ritto in piedi. In questo Belzoni coadunate le di lui vesti ch'erano disperse via pel terreno gliele venne cortesemente porgendo. E quegli tuttavia zitto, cortesemente le tolse, adagiossi bellamente sul verde ed allo specchio del sole che limpidissimo gli sorgeva di fronte, cominciò garbatamente a far toilette. Puoi figurarti lettore, se non ridemmo a crepapelle nell'essere spettatori di tali e tante scene tutte stracomiche. Se non ci accadde quello che a Zeusi pittore fu certamente un prodigio, e se ne pagheremo lo scotto con qualche giorno soltanto di doglie ai precordi, vorrà dire che madre natura ci ha organizzati in modo molto privilegiato -- Vestite ch'ebbe l'amico le strane vesti, con viso lieto e giocondo se ne venne difilato di mezzo a noi, e come quegli il quale non si tenea pago ch'altri potesse vantare d'essersi preso giuoco di lui: -- Grammercè buon' amici, diss'egli baldanzosetto : grammercè che mi avete menato a bere dell'aria mattutina e mi risparmiaste anco la briga di lavarrni il mostaccio.
- In tal caso, saltò su Cabotto, devi ringraziarci eziandio per un'altro diletto che ti abbiamo procurato, quale si è quello dell'averti fatto correre voltolon-voltoloni dalla cima insino al fondo del collicello che ci sta presso!
- Eh! via corbellate, esclamò Marco Polo, questa poi non la bevo!..
E non la credette diffatti, e non la crede tuttora, e non la crederà forse in eterno.
Ma la crediamo ben noi, e la crediamo per modo che ogni qual volta ce ne risveglia il pensiero, siam costretti ricorrere al sarto per farci rattaccare i bottoni o rifare le cuciture a' vestiti; siffatto è il riso che ne agita i fianchi!
Cominciata così deliziosamente, terminammo di egual maniera anche la seconda giornata, cosicchè il nostro viaggetto fu uno spasso, un trastullo, un rapimento continuo. E se di nulla abbiamo a dolerci, un tantino e' fu solo del Sole che troppo rapido, per noi, corse l'un dì e l'altro all'occaso. Ma di necessità è mestieri far cortesia. Laonde siano rese grazie anche al magno pianeta dell'esserci stato sempremai generoso dell'alma sua luce, ad appreggiar degnamente la quale, è uopo peregrinare, come noi femmo entro le viscere della terra.
Se non che le ragioni dell'itinerario andarono sovvertite. La visita delle ultime maraviglie ci costò più tempo che non era nostra intenzione di spendere, epperò la partenza di ritorno, che doveva aver luogo nel dopo pranzo del lunedì, fu necessario differirla al martedì mattina. Preso pertanto alloggiamento nell'Osteria ultima nominata, e dato incarico all'oste di ridestarci all'ore cinque antimeridiane, ci recammo tutti al riposo di cui avevamo in vero piucchemmai di bisogno, essendo stati altresì avventurati per modo da ottenere una stanza ed un buon letto per ciascheduno.
L'indomani ad ora grandissima, e molto prima di quella deputata alla partenza, s'ode un fracasso infernale come se l'albergo andasse tutto sossopra. Era Marco Polo che col pome del suo baston mostro picchiava alle porte delle nostre stanze... per risvegliarci! --
Colombo
.......... FINE ..........
Ecco intanto alcune informazioni sulle grotte turistiche dell'epoca.
Le grotte - almeno quelle più accessibili - sono visitate a scopo turistico già dall'inizio del '700, ma anche prima.
Grotte di Postumia
Nella loro prima parte, conservano sulle pareti le firme di innumerevoli visitatori che le frequentano - a scopo turistico - già nel XIII e XIV secolo.
Grotta di Corgnale
Chiamata in sloveno Vilenica jama (=grotta delle fate), si trova presso Lokev (Corgnale), vicino a Sesana. Dicono sis stata la prima cavità naturale in Europa ad essere attrezzata per le visite turistiche. Fu infatti nel lontano anno 1633 che il suo proprietario, il conte Petazzi le diede in amministrazione alla comunità di Lokev. Fino alla meta del XIX secolo fu considerata la più bella, grande, e più visitata grotta del Carso. Fu attrezzata turisticamente nel 1707.
Grotta Gigante
La prima esplorazione ufficiale avviene nel 1840. Nel 1908 viene aperta al pubblico.
Grotta di Padriciano
Viene attrezzata turisticamente nei primi dell'800. Vi svolge l'attività di guida un oste triestino, certo Joseph Eggenhöffner, che conduce - dietro compenso - i suoi ospiti a visitare le meraviglie del mondo sotterraneo.
Grotte di San Canziano
In sloveno: Skocjanske jame.
Non sono riuscito a trovare l'anno dell'apertura turistica di queste grotte, ma non credo risalga al XIX secolo, vista la mole di lavori fatti per permetterne la visita.
LINKS:
http://www.spin.it/speleo/FedReg/regione/storia.html
http://blog.vacanze-slovenia.com/grotta-vilenica/
http://www.vilenica.com/_wsn/page2.html
Le grotte - almeno quelle più accessibili - sono visitate a scopo turistico già dall'inizio del '700, ma anche prima.
Grotte di Postumia
Nella loro prima parte, conservano sulle pareti le firme di innumerevoli visitatori che le frequentano - a scopo turistico - già nel XIII e XIV secolo.
Grotta di Corgnale
Chiamata in sloveno Vilenica jama (=grotta delle fate), si trova presso Lokev (Corgnale), vicino a Sesana. Dicono sis stata la prima cavità naturale in Europa ad essere attrezzata per le visite turistiche. Fu infatti nel lontano anno 1633 che il suo proprietario, il conte Petazzi le diede in amministrazione alla comunità di Lokev. Fino alla meta del XIX secolo fu considerata la più bella, grande, e più visitata grotta del Carso. Fu attrezzata turisticamente nel 1707.
Grotta Gigante
La prima esplorazione ufficiale avviene nel 1840. Nel 1908 viene aperta al pubblico.
Grotta di Padriciano
Viene attrezzata turisticamente nei primi dell'800. Vi svolge l'attività di guida un oste triestino, certo Joseph Eggenhöffner, che conduce - dietro compenso - i suoi ospiti a visitare le meraviglie del mondo sotterraneo.
Grotte di San Canziano
In sloveno: Skocjanske jame.
Non sono riuscito a trovare l'anno dell'apertura turistica di queste grotte, ma non credo risalga al XIX secolo, vista la mole di lavori fatti per permetterne la visita.
LINKS:
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Come disevo nel post specifico su Postumia e San Canzian, l'apertura turistica avvien per la visita in zona dell'imperator Francesco I.rofizal ha scritto: Grotte di Postumia
Nella loro prima parte, conservano sulle pareti le firme di innumerevoli visitatori che le frequentano - a scopo turistico - già nel XIII e XIV secolo.
Grotte di San Canziano
In sloveno: Skocjanske jame.
Non sono riuscito a trovare l'anno dell'apertura turistica di queste grotte, ma non credo risalga al XIX secolo, vista la mole di lavori fatti per permetterne la visita.