Giacomo Casanova

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ClaireS

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E QUELLA DEL FILM SONORIZZATO
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rofizal
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Messaggio da rofizal »

Sempre col dubio del copyright (la traduzion de del 1922, quindi xe pasadi nen 82 anni, ma con sete legi no xe mai ciaro), ve posto ancora un tocheto del Casanova.

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Sbrigatomi delle visite più urgenti, e dopo aver annunciato agli amici di Venezia il mio arrivo a Trieste, passai una decina di giorni, chiuso nella mia camera, occupato ad ordinare tutti gli appunti che avevo raccolti a Varsavia, riguardanti i fatti avvenuti nella Polonia dalla morte di Elisabetta Petrowna, poiché volevo scrivere la storia delle turbolenze di quel disgraziato paese dalla loro origine alla prima divisione del regno; divisione ingiusta, che a quei tempi minacciava d'infiammare tutta l'Europa.

Io avevo predetto quest'avvenimento in un breve scritto, stampato quando la dieta, col mettere Poniatowski sul trono, aveva riconosciuto la fu Zarina come imperatrice di tutte le Russie, e l'Elettore di Brandeburgo, come re di Prussia. Il mio scopo principale era di far conoscere al mondo le conseguenze che codesta divisione doveva avere; il lavoro fu svolto conformemente al piano, ma non mi fu possibile di dare al pubblico che i primi tre volumi, causa la bricconeria dello stampatore, che non mantenne le condizioni da noi stipulate.

Dopo la mia morte si troveranno i quattro ultimi volumi manoscritti; e colui che entrerà in possesso delle mie carte potrà pubblicarli, se ne avrà voglia. Ciò mi è diventato indifferente, come tante altre cose, da che ho visto l'impero della sciocchezza giunto al suo apogeo. lo non mi sono mai preoccupato dell'avvenire; perché dovrei preoccuparmene oggi?

Il primo dicembre, il barone Pittoni, per mezzo del suo servitore, mi invitò a passare da lui per affare di premura. L'avviso, venendomi dalla polizia, mi fece rizzar le orecchie, poiché lei ed io, non fummo mai buoni amici. Mi vesto in fretta, e temendo qualche fastidio, giungo da Pittoni. Il servitore mi avverte che di là c'è qualcuno, venuto espressamente da Venezia per vedermi. Entro, e scorgo un bell'uomo, fra i trentacinque e i quarant'anni, vestito con suprema eleganza, che con faccia ridente e col maggior interesse mi osserva.

- Il cuore mi dice che Vostra Eccellenza è il N.H. Zagurt, esclamo.

Egli mi apre le braccia, fra le quali io subito mi precipito.

- Siete proprio voi, gli dico, molto commosso, poiché ritrovo nei vostri bei tratti il sentimento delle vostre care lettere.

- Sì, mio caro Casanova, è il vostro amico Zaguri. Quando seppi dal mio amico Dandolo, tre giorni fa, che voi eravate qui, decisi di venirvi ad abbracciare e felicitare per il vostro prossimo ritorno in seno alla patria, ciò che sarà, se non quest'anno, al più tardi l'anno venturo, poiché per allora spero di veder nominati inquisitori di stato due uomini che conosco non essere né sordi, né muti. Intanto ciò che deve provarvi sicuramente la mia amicizia, è che sono venuto a trovarvi nonostante la legge che proibisce ad un avogador in carica d'allontanarsi dalla dominante. Passeremo assieme la giornata d'oggi e quella di domani; dopo di che mi rimetterò in viaggio per Venezia.

Gli risposi in conformità, notando il grande onore che mi faceva la sua visita. Testimonio del modo col quale mi accoglieva il N.H. Zaguri, il barone mi parve confuso; balbettò qualche scusa, lagnandosi della sua mancanza di memoria e mi promise una sua visita. Il disgraziato era infatti così smemorato, che non mi riconosceva più.

Udii poi un bel vecchio, che aveva assistito alla scena, chiedere a Sua Eccellenza d'impegnarmi a pranzare da lui, quantunque non avesse l'onore di conoscermi.

- Come! esclamò il N.H. Zaguri, il celebre Casanova è in questa piccola città da una decina di giorni, e il console di Venezia non lo conosce?

Mi affrettai a prender la parola.

- È colpa mia, dissi; temevo che la mia visita fosse mal accolta. Voi sapete che spesso sono considerato dai vostri delegati di Venezia come un articolo di contrabbando.

- In quanto a me, rispose spiritosamente il console, a partire da questo momento, io vi considero come merce di transito, in quarantena a Trieste, prima d'andare a Venezia e la mia casa vi è aperta come vi fu quella del console d'Ancona.

Con questa risposta il console mi fece capire che la vera posizione gli era nota, ciò che non mi dispiacque. Marco Monti era un uomo di spirito e d'esperienza, al quale le avversità che lungamente lo avevano messo alla prova, nulla avevano tolto della gaiezza naturale. Egli discorreva meglio d'un libro ben scritto, sapeva far la burletta a proposito, senza offendere alcuno, e possedeva l'inapprezzabile dono di divertir tutti con le sue narrazioni, ed il talento più raro ancora di non ridere mai di ciò che raccontava. Se io stesso ho un talento, è questo. Era una gara fra di noi, a chi raccontasse le cose più piacevoli e con maggior serietà. Benché più vecchio di me di trent'anni, egli mi teneva testa dovunque, eccetto al gioco, che detestava. Ma quando noi due ci trovavamo assieme in qualche circolo, nessuno parlava più di gioco per ammazzare il tempo.

Mi seppi cattivare l'amicizia di questo brav'uomo, il quale mi fu di grande utilità nei due anni che passai a Trieste; è stata sempre la mia opinione che egli abbia molto contribuito a farmi ottenere la grazia, allora unico oggetto dei miei voti, perché ero colto da quello che dalla voce greca si dice nostalgia, e che gli Svizzeri ed i Tedeschi chiamano Heimweh, male di casa propria, male di patria.
Per gli Svizzeri e gli Schiavoni il Heimweh è una malattia mortale, una vera peste, che li rapisce se non vengono restituiti al più presto ai loro penati. I Tedeschi sono del pari assai sensibili, perché sono casalinghi; ma di tutti i popoli i Francesi, e dopo di essi, gli Italiani, sono i meno soggetti alla nostalgia.

Ma non vi è regola senza eccezione; ed io ne ero una.

Mettendola in non cale [= lasciandola da parte] non ne sarei morto forse, e non sarei andato a perdere nove anni della mia vita in grembo alla mia crudele matrigna.

Pranzai dunque col N.H. Zaguri e in grande compagnia dal console e all'indomani dal governatore della città, un conte d'Aversberg.

Codesta visita d'un Avogador veneto mi procacciò subito un credito straordinario. Nessuno poteva più calcolarmi come un esiliato: venni considerato come uno che lo stesso Governo di Venezia non poteva reclamare, posto che mi ero assentato dalla mia patria soltanto per fuggire ad una prigionia illegale; né il governo poteva considerarmi colpevole, non avendo io violata alcuna sua legge.

Il posdomani mattina accompagnai il N.H. Zaguri a Gorizia dove rimase tre giorni, non potendo rifiutarsi agli ossequi che a lui voleva tributare il ceto nobile, colà molto cospicuo.
Io ebbi la mia parte, o meglio, la metà delle attenzioni che gli furono usate, e vidi che un forestiero poteva vivere a Gorizia con grande libertà, godendo di tutti i piaceri della società. Vi conobbi un conte di Cobentzel, che forse vive ancora; uomo saggio, generoso, di vasta erudizione, senza la minima superbia. Egli offerse un gran pranzo al N.H. Zaguri ; in tale occasione feci la conoscenza di quattro signore, degne d'ogni omaggio, sotto tutti i rapporti e feci anche quella del conte Torres, il cui padre, spagnolo di nascita, era tenente generale al servizio dell'Austria. All'età di sessant'anni, questi aveva sposato una donna spiritosa e leggiadra, che gli aveva regalato cinque bambini tutti brutti come lui. La figlia più vecchia aveva un'educazione perfetta; nonostante la sua bruttezza era amabilissima, perché per lo spirito ed il carattere assomigliava a sua madre. Il maggiore era brutto, losco, e più matto che spiritoso; di più, libertino, fanfarone, mentitore, sfrontato, cattivo, indiscreto. Pure, con tutti i suoi vizi e i suoi difetti, era desiderato nelle società, perché era un buon narratore e faceva ridere.

Sarebbe stato dottissimo se avesse studiato, perché era fornito d'una memoria prodigiosa.

Nel contratto che stipulai con lo stampatore Valerio VaIeri per la pubblicazione dell'Istoria della Polonia, egli si rese garante, ma inutilmente. Conobbi pure in quei due giorni un conte Coronini che s'era fatto un nome nel Journal des Savans. Era uno di quei vecchi sgobboni, ai quali la gente s'affretta d'accordare il titolo di sapiente, per risparmiarsi la pena di leggere i loro scritti. Le opere del Coronini erano scritte in latino, e trattavano di diritto delle genti e di diplomazia.

Feci pure la conoscenza d'un giovane gentiluomo, chiamato Morelli, che aveva scritto la storia di Gorizia, della quale stava per pubblicare il primo volume. Egli mi diede il suo manoscritto, esprimendo il desiderio che io lo leggessi nelle mie ore di ozio a Trieste, e che vi correggessi tutto ciò che mi sarebbe parso difettoso. Lo feci contento, restituendogli il suo lavoro senza avervi nulla aggiunto, né levato e in questo modo me lo resi amico. Non sarebbe stato così, se mi fossi preso la pena di scrivergli delle note critiche.

Concepii una grande amicizia per il conte Francesco Carlo Coronini, uomo pieno di talento, che non rassomigliava al sapiente che di nome. Era figlio unico e aveva sposato una belga; ma non potendo vivere con lei, si era ritirato nei suoi possedimenti e passava il suo tempo coltivando amoretti, cacciando, e leggendo una quantità di giornali, tanto politici che letterari. Viveva da epicureo [= ozioso e dedito ai piaceri] moderato e si burlava di coloro che sostengono che non vi è persona felice al mondo, poiché egli lo era, ed appoggiava la sua asserzione con queste inconfutabili parole: Io mi sento tale. Pretendeva che codesta felicità non gli sarebbe mai mancata. Ciò nondimeno la morte è venuta ben presto a disingannarlo: egli morì per un ascesso al capo, fra sofferenze orribili, nel trentacinquesimo anno della sua fortunata vita.

Un uomo costantemente felice o costantemente infelice non esiste al mondo. Nessuno può determinare il più o il meno della felicità o dell'infelicità, poiché l'una e l'altra sono relative e dipendenti dal carattere, dal temperamento dell'individuo e dalle circostanze, nelle quali si trova.

Neppur è vero che la virtù renda l'uomo felice; bisogna lasciar questa credenza consolante, ma assurda, ai pitagorici incalliti, perché ci sono virtù, che nel loro esercizio devono far soffrire; ora, ogni sofferenza esclude la felicità.

Come i miei lettori ben comprenderanno, io non sono di quelli che mettono la felicità morale al disopra di tutto. Noi siamo troppo corpo, perché la soddisfazione intellettuale mi possa sembrare sufficiente a tutto, e per quanto tranquilla sia la coscienza, non capisco come essa possa dare la felicità, quando si ha fame, o quando le viscere si torcono per l'effetto di una colica.

Accompagnai il mio adorabile Avogador Zaguri sino ai confini dello stato veneto assieme al barone Pittoni, col quale ritornai a Trieste. Il N.H. Zaguri aveva con sé l'abate Pini, un avvocato ecclesiastico abilissimo nello sciogliere matrimoni, che lo aveva seguito nel suo viaggio a Trieste. L'amabile veneziano venne così a dar il tono ai riguardi che tutti i Triestini mi usarono fino alla mia partenza.

In tre o quattro giorni, Pittoni mi presentò in tutte le case, come pure al casino, dove non avevano accesso che le persone più notabili. Codesto casino si trovava nell' albergo stesso dove io alloggiavo.

Fra le signore che vidi là, quella che maggiormente mi sembrò degna d'attenzione, fu una Veneziana luterana, figlia d'un banchiere tedesco e moglie di Davide Piquelin, negoziante, nato in lsvevia e stabilito a Trieste. Pittoni ne era innamorato e continuò ad esserlo fino alla di lei morte. L'amò così per dodici anni di seguito, come Petrarca amò Laura, sempre sospirando, sperando senza fine e senza mai conseguir nulla. Questa donna straordinaria, più conosciuta sotto il nome di Zanetta, della quale il marito era la stessa confidenza, mi parve assai bella; cantava, in modo da lasciar estatici, accompagnandosi al clavicembalo e faceva col miglior garbo gli onori di casa, due qualità che di rado si trovano riunite. Ma ciò che la distingueva assai più che tutti i doni ricevuti dalla natura o dall'educazione, era la perfetta dolcezza di carattere e un umore inalterabilmente eguale.

Volli assicurarmi da me stesso, se la sua virtù fosse così rigorosa come si diceva. Mi bastò vederla per tre giorni, per esser certo che quella donna era inespugnabile. Confidai al povero Pittoni il risultato delle mie osservazioni, predicendogli che da lei non avrebbe mai ottenuto nulla. Egli non ne fece caso. È vero che essa lo distingueva sempre fra tutti gli altri suoi sospiranti, ma senza allontanarsi mai dalla fedeltà che aveva giurata al suo sposo, senza dubbio, più fermamente ancora, a sè stessa.

Ciò che certamente le rendeva la virtù meno difficile, era la sua salute delicatissima: il che non si sarebbe creduto vedendola; ma la cosa era nota in tutta la città. Infatti, questa vezzosa donna si spense ancora giovane, placidissimamente.


Ognuno sta solo sul cuor della terra
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ClaireS

Messaggio da ClaireS »

rofizal ha scritto:Sempre col dubio del copyright (la traduzion de del 1922, quindi xe pasadi nen 82 anni, ma con sete legi no xe mai ciaro), ve posto ancora un tocheto del Casanova.

Ecco una scheda sul problema (ma non affronta la questione della durata) :

http://www.aiti.org/diritto_autore.html

Credo che diritti morali ed economici siano estinti, in tutta C.E., 70 anni (+ l'anno in corso) dopo la morte dell'autore-traduttore.
Si estinguono i diritti dell'editore A SECONDO DEL CONTRATTO FIRMATO CON L'AUTORE O I SUOI EREDI (dove la durata generalmente non supera 30 anni) tranne particolari casi (che non conosco bene) che allungano questa durata (guerre, impossibilità di stampare) o la accorciano (l'editore non ha fatto nulla o ha fatto poco per diffondere l'opera).

Sul Journal des Sçavans a cui accena il Nostro, dice Wiki in italiano :
"Il Journal des Sçavans fu fondato da Denis de Sallo sotto il patronato di Jean-Baptiste Colbert. Pubblicato come settimanale (per quanto fosse pubblicato in modo irregolare) fino al 1723, divenne poi mensile fino al 1792, anno in cui venne soppresso. Sul primo numero venne pubblicata una presentazione dei fini di questo giornale: spiegare i principali lavori presentati in Europa, pubblicare necrologi di personaggi famosi, mettere a conoscenza delle ultime scoperte in campo scientifico (compresa fisica e chimica), delle invenzioni nel campo della meccanica, pubblicare notizie sulle ultime osservazioni celesti e meteorologiche, sulle scoperte anatomiche, per esaminare le decisioni dei tribunali e, in definitiva, di trattare di tutto ciò che era suscettibile di interesse per un uomo di cultura. Tra i dieci articoli che comparirono nel primo numero si poteva leggere una relazione sulla nascita di un mostro ad Oxford, una nota sui nuovi telescopi di Giuseppe Campani e un commento sul trattato di René Descartes dell'uomo. Se il suo contenuto portava più a pensare ad un gazzettino letterario che ad una rivista scientifica, il journal des sçavans svolse un ruolo considerevole nella divulgazione delle conoscenze scientifiche e nella comunicazione tra gli scienziati. Con il tempo il numero di articoli pubblicati riguardanti le scienze aumentarono.
Rinacque nel 1816 con il nome di Journal des Savants..."

Davvero questo giornale accoglieva corrispondenti da tutta Europa e particolartmente numerosi furono le opere di italiani e tedeschi pubblicate.

Bien à vous, Rofizal. (questo suo pseudo a un senso in lingua triestina ?)

Claire
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Se non la prima, una delle prime edizioni.
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rofizal
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Messaggio da rofizal »

Grazie per le delucidazioni sul copyright, anch'io ho letto un sacco, ma come dici tu (che alla fine ne sai più di me) ci sono un sacco di eccezioni. La morte del Curiel non so quando è stata e comunque su tratta solo di una traduzione, non di un'opera letteraria, chissà se valgono le stesse regole...

Interessanti le notizie sul Journal des Sçavans.

Quanto al mio pseudonimo, no non ha alcun senso in italiano, è una cosa particolare che al momento non ci tengo a spiegare su internet. :wink: (in privato se vuoi te lo dico, ma non aspettarti grandi cose :wink: )


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ClaireS

Messaggio da ClaireS »

rofizal ha scritto:Grazie per le delucidazioni sul copyright, anch'io ho letto un sacco, ma come dici tu (che alla fine ne sai più di me) ci sono un sacco di eccezioni. La morte del Curiel non so quando è stata e comunque su tratta solo di una traduzione, non di un'opera letteraria, chissà se valgono le stesse regole...
Valgono le stessissime regole che per un autore, purchesia una traduzione vera ; ossia l'offerta di un contenuto (italiano) come giusto equivalente culturale di un contenuto (francese), non la mesa in italiano dell'elenco telefonico francese... Ad esempio se il testo originale usa parole del settecento in francese, per essere "giusta" la traduzione italiana deve usare parole del settecento italiano.

Le Journal des Sçavans fu presto (e molto) imitato. Personne colte con amici in Europa crearono altre "Gazettes". Bisognava avere amici in Europa per dare un taglio "universale" alle notizie (ciò che rendeva la Gazzetta più affidabile) e i saggi proveniente dalle numerose accademie italiane (Accademia della Crusca ed Accademie bolognesi particolarmente) furono apprezzatissimi. Anche gli scriti dell'Algarotti. Ma bisognava avere perdipiù amici intellettuali e/o altolocati (e ricchi) in Europa che acquistassero gli abbonamenti ! Ovviamente quando la margrava di Bayreuth si annoiava l'arrivo della Gazetta parigina era un grande piacere, e occasione di fare bella figura nelle cene...
Quello che preferisco è il giornale creato da Melchior Grimm, amico degli enciclopedisti : la "Correspondance Littéraire, Philosophique et Critique" (non molto scientifica e un po' pettegola ma che rende bene l'ambiente dell'epoca) scritta quasi esclusivamente prima da Grimm e Diderot, poi da Grimm solo fino al 1812 (credo) poi ripresa da altri e ri-edita ; potrebbe contenere qualche testo sul Nostro (lo cercherò la settimana prossima).

Sono come Egon Schiele : sogno di Trieste, quindi forse me lo dirai, chi sà? faccia a faccia, ciò che significa Rofizal.

Buona notte

Claire


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AdlerTS
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Messaggio da AdlerTS »

Dal momento che hai chiesto di correggere:

"un saggio proveniente"

oppure

"alcuni saggi provenienti"

:wink:


Mal no far, paura no gaver.
ClaireS

Grazie

Messaggio da ClaireS »

faccio confusione tra adverbi (invariabili) e participi presenti. :?

L'interesse di essere corretta publicamente è... che ti ricordi bene della cosa :lol: :lol: :lol:

Claire


ClaireS

niente

Messaggio da ClaireS »

Contrariamente a ciò che immaginavo, non trovo niente nella letteratura critica francese del Settecento su Casanova (ho cercato anche Seingalt...). Niente di niente. Un pò nelle gazette si parla del fratello, pittore, quando espone a Parigi.
Bisogna dire che, vivo, in Francia il Casanova godeva di pessima fama per essere stato considerato come un imbroglione che cercava di sottrarre soldi alla marchesa d'Urfé (promettendole l'eterna gioventù tra altri mezzi).
Eppure Casanova divenne molto amico di un enciclopedista di grande cuore, Jean le Rond d'Alembert, matematico. Si conobbero nel 1757 a Parigi. In una decina di scritti diversi Casanova fa riferimento al pensiero filosofico-scientifico di d'Alembert. Quindi un legame forte ci fu.

Invece a metà Ottocento un certo interesse critico nasce in Francia, partendo dalla lettura dell' Histoire de ma Vie. Per prima queste memorie sono dette apocrife e pieni di errori storici (il Casanova è reputato non essere stato in grado di scrivere in francese, Histoire... sarebbe stato scritto verso 1815, a partire da note del Casanova in italiano riunite da... Henri Beyle (ossia da Stendhal) !!

Verso 1880 si comincia però a pensare che (a parte 5 o 6 sbagli di anni come 1744 al posto di 1740 ad esempio... tutte imputabili al fatto che la trascrizione dal manoscritto piò essere stata errata perchè fatta da una persona che non aveva vissuto nel secolo dell'autore) la stragrande maggioranza dei fatti storici è riportata benissimo dal Casanova.
Ma l'interesse più forte sarà quello del secondo '900 (fine anni '50) che sbocca sulla scrittura e l'edizione di numerosissimi saggi, trattati, traduzioni di altri scritti, film etc sul veneziano.

Recentemente si è scoperto un carteggio veramente sorprendente :
Cecilia von Roggendorff, una ragazza austriaca di cinquant'anni più giovane di lui iniziò a scriverle un giorno del 1797. Orfana, senza fortuna personale, suo fidanzato morto in guerra, ricercava un sostegno, un padre-amante, quasi si offre a lui. E lui predica per la ragione, per un matrimonio "saggio", contro le "ragioni del cuore" anzi della passione che la ragazza espone... La corrispondenza dura per più di un anno e si interrompe con la morte di lui. Non so se il libro fu tradotto in italiano. Vi do i riferimenti in francese per chi legge questa lingua:

Lettres d'amour à Casanova di Cécile de Roggendorff
Éditeur Zulma - 2005 - Collection Zulma Dilecta - ISBN 2843043433 (8€?)

Ecco un ritratto di Casanova eseguito dal fratello:
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Casanova-Casanova.jpg (14.21 KiB) Visto 1639 volte


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babatriestina
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Messaggio da babatriestina »

non lo sapevo, che Casanova fosse stato anche abate! almeno così sembra dal ritratto :-D
mi sa che si fanno abati quelli che da giovani se la sono ben spassata , vedi in vecchiaia Liszt !


"mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente" ( La Cittadella)
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McFriend
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Messaggio da McFriend »

In un vechio film su Casanova credo girato da un regista italiano si raccontava anche la l'infanzia e la gioventù di Giacomo. Dal film sembra che per un breve periodo sia stato un giovane prete e proprio in questo periodo avrebbe incominciato la sua carriera di libertino. Sarebbe però da verificare. :wink: Da qualche parte ho letto che era stato anche una spia. 8)


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ClaireS

Messaggio da ClaireS »

babatriestina ha scritto:non lo sapevo, che Casanova fosse stato anche abate! almeno così sembra dal ritratto :-D
mi sa che si fanno abati quelli che da giovani se la sono ben spassata , vedi in vecchiaia Liszt !
Casanova, dopo gli studi a Padova (e qualche anno a Pisa e Roma ?) riceve gli ordini minori dal Patriarco di Venezia (ha 18-19 anni). Ma non prosegue la "carriera" che avrebbe dovuto (potuto) portarlo alla vita ecclesiastica e si ferma qui. Quindi il percorso è l'opposto di quello del musicista :P


ClaireS

Messaggio da ClaireS »

McFriend ha scritto:... Da qualche parte ho letto che era stato anche una spia. 8)
Spia (non esageratamente efficace) il Nostro lo diventò dopo il suo ritorno a Venezia alla fine del 1774; documenti in materia nell'archivio della SSma sono stati trovati da vari ricercatori negli anni '70-80 del Novecento.


ClaireS

Messaggio da ClaireS »

ClaireS ha scritto:...Casanova, dopo gli studi a Padova (e qualche anno a Pisa e Roma ?) riceve gli ordini minori dal Patriarco di Venezia (ha 18-19 anni). Ma non prosegue la "carriera" che avrebbe dovuto (potuto) portarlo alla vita ecclesiastica e si ferma qui...
Comunque vari mesi a seguire vescovi veneziani in Calabria ed a Roma, li ha passati... Poi a Roma si occupa di una ragazza romana fuggita dalla propria casa, la porta al palazzo dell'arcivescovo veneziano, se ne accorgono e questo l'avrebbe fatto cacciare dal vescovile seguito (sarebbe stato nel 1744-45); dopo di che lo si ritrova suonando il violino a Venezia per campare. Fine della carriera ecclesiastica. Ma col colletto C. si poteva sempre vestire : conferiti gli ordini minori, rimaneva un abatino a vita, senza benefici però, fin quando non chiedeva alla Chiesa di uscirne ufficialmente.
Era comunque comodo per tanti ragazzi essere "abati": potevano vivere vicino alle donne e lontano dal matrimonio :twisted:


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