La balla della beffa di Buccari
Inviato: mar 13 lug 2010, 11:29
I ricordi di un vecchio lupo di mare, Bepi Forempoher e fonti croate
da: http://www.edit.hr/lavoce/2005/inpiu/storia050507.pdf
Nella sua Canzone del Quarnaro, un tempo celeberrima, Gabriele D’Annunzio ci rimanda sin dalla data posta sotto il titolo (11 febbraio 1918) alla cosiddetta “Beffa di Buccari”. Rievocando l’impresa, il poeta soldato l’af? dò alla storia con un vivace resoconto: “Via un siluro contro l’albero maestro, via l’altro al centro sotto la prua della terza! Ancora un siluro verso il camino della quarta unità!(...) I siluri trovano gli sbarramenti antisommergibili, ma uno riesce a sfondare la rete in un punto, e l’altro che lo segue trova via libera. Ma ecco che l’aria è lacerata da una potente esplosione. Colonne d’acqua immani si innalzano dalla tranquilla super?cie del mare e gli equipaggi dei Mas sono schiaffeggiati dall‘onda di ritorno. I motosca? iniziano una frenetica danza, mentre girano le prue e ripartono con i motori al massimo per guadagnare l’uscita della baia e passano sotto le batterie di Fortore prima che sia dato l’allarme e si scateni il ?nimondo”.
Avvenne nella notte fra il 10 e l’11 febbraio 1918 - al comando di Costanzo Ciano, parteciparono i Mas 96 (con Luigi Rizzo e Gabriele D’Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere una notte di nebbia, un mese prima che gli equipaggi della ?otta da guerra austro-ungarica innalzassero sui pennoni le bandiere rosse della rivolta dei marinai nelle Bocche di Cattaro e a Pola, chiedendo la ?ne della guerra, la pace.
Fu veramente una beffa quella di Buccari? Lo fu, ma ai danni dell’opinione pubblica italiana e della storia. Perché nella baia di Buccari non erano presenti navi da guerra e nemmeno navi mercantili ef?cienti. Il porto in fondo alla baia, ai piedi della cittadina raggruppata sulla collina, ospitava, insieme a una ?ottiglia di barche da pesca, vecchi pirosca? da trasporto in disarmo, destinati ai ferrivecchi. E nessuno di essi venne affondato.
Nessuno saltò in aria. Nessuna potente esplosione lacerò l’aria quella notte a Buccari. O nessuno se ne accorse. Non esistevano reti di sbarramento contro i sommergibili. Nel primo dei volumi della Pomorska Enciklopedija, l’enciclopedia marittima dell’Istituto lessicogra?co di Zagabria (1954), lo storico Petar Mardešic ha scritto (traduciamo): “Nel corso della prima guerra mondiale, gli italiani, mediante ricognizioni aeree, accertarono che a Buccari avevano trovato rifugio alcuni pirosca? , e
decisero di affondarli. Nella notte fra il 10 e l’11 febbraio 1918 due cacciatorpediniere rimorchiarono tre Mas (...) lasciandoli a sudovest di Punta Promontore (al largo dell’estremo promontorio meridionale dell’Istria, ndt). I caccia si trattennero nel mare aperto per riagganciare i Mas a missione conclusa, mentre i tre battelli siluranti, sotto il comando di Costanzo Ciano, proseguirono la navigazione attraverso il Canale della Faresina (fra la costa istriana e l’isola di Cherso, ndt) in direzione del Golfo di Fiume. Ben presto penetrarono nella baia di Buccari che, fatta eccezione per una batteria a Portoré, non disponeva di alcuna difesa...”.
La verità sulla “beffa di Buccari” è contenuta in un comunicato uf?ciale delle autorità militari austriache dell’epoca, mai fatto conoscere all’opinione pubblica italiana dai nostri mass-media e nemmeno dagli storici, ?nora. Un comunicato nel quale si cita fra i testimoni il marittimo Josip Forempoher che in quella notte era di guardia a bordo della carcassa del piroscafo “affondato”.
Bepi Forempoher era ancora vivo e vegeto nella sua Buccari quando lo conobbi nel 1974; era un pensionato che si avvicinava alla bella età di 83 anni. Quegli anni Bepi se li portava benissimo sulle spalle; aveva ancora una memoria di ferro, disse di ricordare limpidamente quell’episodio della sua gioventù. Figlio di marittimi, era stato compagno del mare per tutta la vita, aveva un ?glio capitano marittimo e un nipote che, terminato il Nautico, ha continuato la tradizione di una famiglia di navigatori. Il vecchio, quando lo incontrai, aveva già letto più volte il“resoconto” di D’Annunzio. E, ancora una volta, sbottò in un vivace dialetto veneto: “Bale, le xe tute bale!”. Da vecchio lupo di mare quale era, tuttavia, riconosceva un grande coraggio agli uomini dei tre Mas comandati da Costanze Ciano e Luigi Rizzo, e anche a D’Annunzio che era con loro.
All’inizio di febbraio, pochi giorni prima della “beffa”, un aereo italiano da ricognizione aveva creduto di avvistare, sorvolando la baia a sud-est di Fiume, una grossa nave da guerra austriaca ormeggiata accanto ad altre unità minori. D’Annunzio e compagni, dunque, erano convinti di andare nella tana del leone. Inoltre, non era facile passare inosservati al largo di Pola, una delle più munite basi navali del nemico, penetrare poi nel Canale della Faresina dominato dalle alture istriane, e in? ne nel Golfo del Quarnero, costeggiare ?no a Portoré sotto l’occhio delle batterie, e inoltrarsi in una baia a forma ellittica larga alla bocca appena 300 metri, all’interno da 600 a 700 metri e lunga 4,6 chilometri, profondità massima 8 metri. Ci voleva del fegato per rimanere lunghissime ore in acque nemiche.
Buccari, in mano austriaca dal 1692, porto franco dal 1778 al 1880, nel primo con?itto mondiale servì da rifugio per pirosca? in disarmo. Il 10 febbraio 1918 erano quattro i pirosca? in disarmo ormeggiati alle rive: il “Bellona” e il “Chlumetzky” nel Mandracchio, al molo di un vecchio cementi?cio abbandonato; il “Burma” e il “Višegrad” al molo dirimpettaio.
Nella baia c’era pure la bella navescuola “Villa Velebit”, vanto del Nautico di Buccari, quella sì una possibile preda preziosa. I tre Mas italiani, dopo avere superato ilCapo Promotore sull’estrema punta meridionale dell’Istria, si avvicinarono all’isola di Unìe nell’arcipelago dei Lussini, doppiarono Punta Sottile, entrarono nel Canale della Faresina tra l’isola di Cherso e la costa istriana, raggiunsero in?ne il Golfo di Fiume in formazione a cuneo. A quel punto D’Annunzio scrisse: “Scorgo illuminata tutta la costa da Volosca a Žurkovo”. Ed era la verità. La ?ottiglia dei Mas navigava ormai da quattordici ore; da cinque ore sì trovava nelle acque territoriali austriache.
Buccari non era difesa da alcun cannone, nemmeno da un fucile; ma Ciano, Rizzo e compagni lo ignoravano. C’era però una batteria a occidente del Castello dei Frangipani a Portoré, e i soldati addetti a quei pezzi scorsero le tre piccole unità mentre passavano a poche centinaia di metri. Ritennero però che fossero dei pescherecci locali e non diedero l’allarme.
All’una e venti minuti dell’11 febbraio i Mas si trovarono nella baia di Buccari e lanciarono sei siluri in rapida successione. D’Annunzio, che aveva portato delle bottiglie contenenti bandiere tricolori italiane, lanciò in mare quei biglietti da visita che non saranno mai ritrovati. Quindi lasciò la baia
indisturbata.Qualcuno nell’abitato di Buccari aveva visto o sentito qualcosa? Nel Narodni Dom, la Casa del popolo, la gente festeggiava il Carnevale. Nel porto erano di guardia soltanto due marittimi, uno sul “Chlumetsky” e l’altro sul “Višegrad”. Su quest’ultimo faceva la guardia Forempoher. Racconterà di avere sentito un forte urto, un colpo sordo sotto la nave, e il ribollire dell’acqua; non era riuscito però a spiegarsene la ragione. L’unica guardia civica del paese, in servizio davanti al Narodni Dom, credette di sentire un rombo di aeroplano. Avvertì perciò la gente e alcuni dei danzatori in maschera uscirono dalla sala da ballo per scrutare curiosi il cielo. Non si vide né si sentì nulla, la gente rientrò nella sala, riprese a ballare ?no al mattino. Alle prime luci dell’alba, sceso dalla nave per fare due passi sul molo, Forempoher scrutò a lungo l’acqua che lo lambiva e scorse la sagoma di un siluro inesploso; era adagiato sul fondo alla profondità di due metri, accanto alla nave. Corse ad avvertire le autorità e, qualche ora dopo, arrivò da Fiume il rimorchiatore “Elore” con alcuni sommozzatori. I palombari ispezionarono per alcuni giorni l’intera baia e il fondo marino, rinvenendo altri tre siluri. Ad uno degli ordigni, recuperato a pochi metri dal “Chlumetzky”, mancava la spoletta che fu ritrovata in fondo al mare presso la banchina; la banchina risultava leggermente danneggiata dall’urto. Un terzo siluro era ? nito a pochi metri di distanza dal piroscafo “Burma” ed aveva la spoletta difettosa. Un quarto venne trovato vicino al “Bellona”, non gli era stata tolta neppure la sicura prima del lancio, forse per la fretta. Di altri due siluri, nessuna traccia. Praticamente, nessuno dei siluri colpì gli obiettivi a eccezione di uno, ed
anche quello esplose soltanto nella fantasia del poeta-soldato, il quale si inventò pure le reti di sbarramento inesistenti sia all’imboccatura che dentro la baia.
da: http://www.edit.hr/lavoce/2005/inpiu/storia050507.pdf
Nella sua Canzone del Quarnaro, un tempo celeberrima, Gabriele D’Annunzio ci rimanda sin dalla data posta sotto il titolo (11 febbraio 1918) alla cosiddetta “Beffa di Buccari”. Rievocando l’impresa, il poeta soldato l’af? dò alla storia con un vivace resoconto: “Via un siluro contro l’albero maestro, via l’altro al centro sotto la prua della terza! Ancora un siluro verso il camino della quarta unità!(...) I siluri trovano gli sbarramenti antisommergibili, ma uno riesce a sfondare la rete in un punto, e l’altro che lo segue trova via libera. Ma ecco che l’aria è lacerata da una potente esplosione. Colonne d’acqua immani si innalzano dalla tranquilla super?cie del mare e gli equipaggi dei Mas sono schiaffeggiati dall‘onda di ritorno. I motosca? iniziano una frenetica danza, mentre girano le prue e ripartono con i motori al massimo per guadagnare l’uscita della baia e passano sotto le batterie di Fortore prima che sia dato l’allarme e si scateni il ?nimondo”.
Avvenne nella notte fra il 10 e l’11 febbraio 1918 - al comando di Costanzo Ciano, parteciparono i Mas 96 (con Luigi Rizzo e Gabriele D’Annunzio), 95 e 94, rimorchiati ciascuno da una torpediniera e con la protezione di unità leggere una notte di nebbia, un mese prima che gli equipaggi della ?otta da guerra austro-ungarica innalzassero sui pennoni le bandiere rosse della rivolta dei marinai nelle Bocche di Cattaro e a Pola, chiedendo la ?ne della guerra, la pace.
Fu veramente una beffa quella di Buccari? Lo fu, ma ai danni dell’opinione pubblica italiana e della storia. Perché nella baia di Buccari non erano presenti navi da guerra e nemmeno navi mercantili ef?cienti. Il porto in fondo alla baia, ai piedi della cittadina raggruppata sulla collina, ospitava, insieme a una ?ottiglia di barche da pesca, vecchi pirosca? da trasporto in disarmo, destinati ai ferrivecchi. E nessuno di essi venne affondato.
Nessuno saltò in aria. Nessuna potente esplosione lacerò l’aria quella notte a Buccari. O nessuno se ne accorse. Non esistevano reti di sbarramento contro i sommergibili. Nel primo dei volumi della Pomorska Enciklopedija, l’enciclopedia marittima dell’Istituto lessicogra?co di Zagabria (1954), lo storico Petar Mardešic ha scritto (traduciamo): “Nel corso della prima guerra mondiale, gli italiani, mediante ricognizioni aeree, accertarono che a Buccari avevano trovato rifugio alcuni pirosca? , e
decisero di affondarli. Nella notte fra il 10 e l’11 febbraio 1918 due cacciatorpediniere rimorchiarono tre Mas (...) lasciandoli a sudovest di Punta Promontore (al largo dell’estremo promontorio meridionale dell’Istria, ndt). I caccia si trattennero nel mare aperto per riagganciare i Mas a missione conclusa, mentre i tre battelli siluranti, sotto il comando di Costanzo Ciano, proseguirono la navigazione attraverso il Canale della Faresina (fra la costa istriana e l’isola di Cherso, ndt) in direzione del Golfo di Fiume. Ben presto penetrarono nella baia di Buccari che, fatta eccezione per una batteria a Portoré, non disponeva di alcuna difesa...”.
La verità sulla “beffa di Buccari” è contenuta in un comunicato uf?ciale delle autorità militari austriache dell’epoca, mai fatto conoscere all’opinione pubblica italiana dai nostri mass-media e nemmeno dagli storici, ?nora. Un comunicato nel quale si cita fra i testimoni il marittimo Josip Forempoher che in quella notte era di guardia a bordo della carcassa del piroscafo “affondato”.
Bepi Forempoher era ancora vivo e vegeto nella sua Buccari quando lo conobbi nel 1974; era un pensionato che si avvicinava alla bella età di 83 anni. Quegli anni Bepi se li portava benissimo sulle spalle; aveva ancora una memoria di ferro, disse di ricordare limpidamente quell’episodio della sua gioventù. Figlio di marittimi, era stato compagno del mare per tutta la vita, aveva un ?glio capitano marittimo e un nipote che, terminato il Nautico, ha continuato la tradizione di una famiglia di navigatori. Il vecchio, quando lo incontrai, aveva già letto più volte il“resoconto” di D’Annunzio. E, ancora una volta, sbottò in un vivace dialetto veneto: “Bale, le xe tute bale!”. Da vecchio lupo di mare quale era, tuttavia, riconosceva un grande coraggio agli uomini dei tre Mas comandati da Costanze Ciano e Luigi Rizzo, e anche a D’Annunzio che era con loro.
All’inizio di febbraio, pochi giorni prima della “beffa”, un aereo italiano da ricognizione aveva creduto di avvistare, sorvolando la baia a sud-est di Fiume, una grossa nave da guerra austriaca ormeggiata accanto ad altre unità minori. D’Annunzio e compagni, dunque, erano convinti di andare nella tana del leone. Inoltre, non era facile passare inosservati al largo di Pola, una delle più munite basi navali del nemico, penetrare poi nel Canale della Faresina dominato dalle alture istriane, e in? ne nel Golfo del Quarnero, costeggiare ?no a Portoré sotto l’occhio delle batterie, e inoltrarsi in una baia a forma ellittica larga alla bocca appena 300 metri, all’interno da 600 a 700 metri e lunga 4,6 chilometri, profondità massima 8 metri. Ci voleva del fegato per rimanere lunghissime ore in acque nemiche.
Buccari, in mano austriaca dal 1692, porto franco dal 1778 al 1880, nel primo con?itto mondiale servì da rifugio per pirosca? in disarmo. Il 10 febbraio 1918 erano quattro i pirosca? in disarmo ormeggiati alle rive: il “Bellona” e il “Chlumetzky” nel Mandracchio, al molo di un vecchio cementi?cio abbandonato; il “Burma” e il “Višegrad” al molo dirimpettaio.
Nella baia c’era pure la bella navescuola “Villa Velebit”, vanto del Nautico di Buccari, quella sì una possibile preda preziosa. I tre Mas italiani, dopo avere superato ilCapo Promotore sull’estrema punta meridionale dell’Istria, si avvicinarono all’isola di Unìe nell’arcipelago dei Lussini, doppiarono Punta Sottile, entrarono nel Canale della Faresina tra l’isola di Cherso e la costa istriana, raggiunsero in?ne il Golfo di Fiume in formazione a cuneo. A quel punto D’Annunzio scrisse: “Scorgo illuminata tutta la costa da Volosca a Žurkovo”. Ed era la verità. La ?ottiglia dei Mas navigava ormai da quattordici ore; da cinque ore sì trovava nelle acque territoriali austriache.
Buccari non era difesa da alcun cannone, nemmeno da un fucile; ma Ciano, Rizzo e compagni lo ignoravano. C’era però una batteria a occidente del Castello dei Frangipani a Portoré, e i soldati addetti a quei pezzi scorsero le tre piccole unità mentre passavano a poche centinaia di metri. Ritennero però che fossero dei pescherecci locali e non diedero l’allarme.
All’una e venti minuti dell’11 febbraio i Mas si trovarono nella baia di Buccari e lanciarono sei siluri in rapida successione. D’Annunzio, che aveva portato delle bottiglie contenenti bandiere tricolori italiane, lanciò in mare quei biglietti da visita che non saranno mai ritrovati. Quindi lasciò la baia
indisturbata.Qualcuno nell’abitato di Buccari aveva visto o sentito qualcosa? Nel Narodni Dom, la Casa del popolo, la gente festeggiava il Carnevale. Nel porto erano di guardia soltanto due marittimi, uno sul “Chlumetsky” e l’altro sul “Višegrad”. Su quest’ultimo faceva la guardia Forempoher. Racconterà di avere sentito un forte urto, un colpo sordo sotto la nave, e il ribollire dell’acqua; non era riuscito però a spiegarsene la ragione. L’unica guardia civica del paese, in servizio davanti al Narodni Dom, credette di sentire un rombo di aeroplano. Avvertì perciò la gente e alcuni dei danzatori in maschera uscirono dalla sala da ballo per scrutare curiosi il cielo. Non si vide né si sentì nulla, la gente rientrò nella sala, riprese a ballare ?no al mattino. Alle prime luci dell’alba, sceso dalla nave per fare due passi sul molo, Forempoher scrutò a lungo l’acqua che lo lambiva e scorse la sagoma di un siluro inesploso; era adagiato sul fondo alla profondità di due metri, accanto alla nave. Corse ad avvertire le autorità e, qualche ora dopo, arrivò da Fiume il rimorchiatore “Elore” con alcuni sommozzatori. I palombari ispezionarono per alcuni giorni l’intera baia e il fondo marino, rinvenendo altri tre siluri. Ad uno degli ordigni, recuperato a pochi metri dal “Chlumetzky”, mancava la spoletta che fu ritrovata in fondo al mare presso la banchina; la banchina risultava leggermente danneggiata dall’urto. Un terzo siluro era ? nito a pochi metri di distanza dal piroscafo “Burma” ed aveva la spoletta difettosa. Un quarto venne trovato vicino al “Bellona”, non gli era stata tolta neppure la sicura prima del lancio, forse per la fretta. Di altri due siluri, nessuna traccia. Praticamente, nessuno dei siluri colpì gli obiettivi a eccezione di uno, ed
anche quello esplose soltanto nella fantasia del poeta-soldato, il quale si inventò pure le reti di sbarramento inesistenti sia all’imboccatura che dentro la baia.