Bon, dei, pazienza... Semo qua de novo e femose coragio.
Quanti de noi ga in casa dei quadri de cui no sa proprio niente?
Magari pol eser dei Michelangelo, dei Picasso... no eh?!
Va ben, ma saverghene de più su quel "capolavoro" o su quela "crosta" cha xe sora el nostro divano e che riscia sempre de cascarne in testa, magari pol far piazer. E poi no xe dito che l'autor sia proprio sconosudo.
Cusì gavevo pensado de rivar a trovar qualcosa con l'aiuto del vecio forum, e in effetti el bon e bravo Kasteliz gaveva identificado l'autor de due opere :
Enrico Hohenberger
Trieste 1843-1897
Iero alora riuscido a trovar qualcosa su de lui :
Enrico Hohenberger citato anche nel libro "Storia del Circolo Artistico di Trieste" di Carlo Wostry dove, a pag. 127, si legge:
«...nel 1891 era venuta formandosi una società chiamata degli "Americani", composta di buoni patriotti e buontemponi, che aveva per scopo, oltre a quello di tener desto il buon umore, l'altro di mantenere viva la fiamma del sentimento nazionale.
Si radunavano all'Osteria del Pappagallo in via dei Capitelli e vi facevano parte attiva: Francesco Beda, Ivan Rendic, Ettore Dell'Acqua, Hohenberger, Rosé, tutti artisti ai quali si univano Mengotti padre e figlio, fabbricante di carte da gioco, Federico barbiere, Ciodi, Guastalla, Galoppo, Tiozzo, Giovanni Werk e Augusto Levi tipografi, Borella, il dott. Camber e altri.
La prima cosa che fecero fu quella di raccogliere un buon numero di ferravecchi di ogni sorta per corredare quello che poi divenne il famoso museo americano di cui fecero più tardi una pubblica esposizione, stampando un catalogo esplicativo che consisteva in gran parte di una satira a molti cittadini di quel tempo.
Francesco Suppé, l'autore del "Boccaccio", di "Donna Juanita" e di molte altre celebri operette, che era dalmata di Spalato e amicissimo del Rendic, qiando si trovò a Trieste fu invitato una sera a partecipare a una cena in quel ritrovo. Gli "Americani" ne fecero di ogni colore per divertire l'ospite e il Suppé si impegnò di musicare il loro inno, su parole di Augusto Levi, che incominciava cos: "Noi semo una fameia, che no ne diol la testa", e mantenne la parola. Al posto dev'egli sedette quella sera fu murata una lapide commemorativa in suo omaggio che deve esistere ancora.»
Prosegue poi sul libro la storia matta di questa Società, ricordando come nel 1892 si trasferì nell'osteria di Marco Cumbat in via Crosada N.13 («che porta ancora il nome "Alla bella America"»), ma «verso il 1900 la società andò degenerando. Elementi nuovi si erano infiltrati, così che perdette il suo carattere originale.»