(questa la scrivo in italian perché pol interessar anche ai foresti)
Ho cercato di approfondire il discorso degli spostamenti della popolazione nel contesto della prima guerra mondiale perché ritengo che sia una pagina poco conosciuta: non è stato infatti facile perché i testi in merito non sono tanti.
Chiariamo innanzi tutto che la parola “regnicolo” (Reichsitaliener in tedesco) significava “suddito del regno d’Italia” e quindi non comprendeva i triestini di lingua italiana: i regnicoli erano pricipalmente (e nell'ordine) veneti, friulani, emiliani, pugliesi e lombardi.
Viste le tensioni precedenti al maggio 1915, si calcola che già in marzo ed aprile circa 35.000 regnicoli chiesero al consolato del Regno d’Italia in via Torrebianca il visto per il rientro.
Tra l’altro, per la legge vigente, una donna triestina che avesse sposato un regnicolo assumenva la "pertinenza", oggi cittadinanza, del marito, qui si crearono dei casi come quello di Elena Morpurgo, di buona famiglia triestina, costretta ad andarsene perché aveva sposato un suddito italiano.
Uno dei problemi fu che alcuni di questi regnicoli vivevano talmente da tanto tempo a Trieste e vi si trovavano così bene ( da noi esisteva l'assicurazione obbligatoria per malattie ed infortuni già dalla fine dell'ottocento, in italia no) che, nonostante i sentori di guerra, non vollero abbandonare la città, ma al momento della
dichiarazione di guerra da parte dell’Italia, permettere o gestire il rimpatrio di questi regnicoli oltre il confine austro-italico significava alimentare le fila dell’esercito avversario: donne, bambini e vecchi furono rimpatriati coercitivamente via Svizzera, mentre i maschi tra i 18 ed i 50 anni rimasti sul suolo austriaco vennero internati: tra l'altro ciò portò anche ad effetti collaterali impensati e paradossalmente buffi, come la mancanza quasi totale di barbieri e camerieri nei bar. Inoltre può sembrare buffo al moderno lettore il fatto che tra anarchici, irredentisti, garibaldini e repubblicani venissero internate anche diverse prostitute, nell'ottica che queste potessero essere delle ottime spie. (Per l'esattezza il parametro 18-50 era concordato tra belligeranti, ma non era uguale tra tutte le parti in causa: tra alcuni paesi vigevano limiti leggermente spostati verso l'alto o verso il basso).
Sempre nello stesso momento in città ci furono i famosi attacchi ai negozi gestiti da regnicoli, che secondo i dati dell'Archivio di Stato di Trieste furono 17. Parallelamente, anche se meno noti, sono documentati attacchi a negozi gestiti da cittadini austro-ungarici in italia.
Le misure cautelari prese dall'I.R. Governo sono da distinguere in tre livelli: allontanamento (o rimpatrio), confino ed internamento: il primo era appunto riservato a donne, minori e vecchi e ne risultano circa 10.000 (per tutto il periodo di guerra e per tutto il Litorale). Il confino consisteva nel trasferimento della persona in zone lontane dal fronte di guerra, con obbligo di permanervi, senza però particolari restrizioni alla libertà personale, ed era riservata ai soggetti, non rimpatriabili, ma meno pericolosi: ne risultano circa 2.000 (per tutto il periodo di guerra e per tutto il Litorale). L'internamento consisteva invece nel concentramento di persone in campi di lavoro e permanenza ed era riservato ai soggetti in piena età da militare o comunque considerati più pericolosi: si stima fossero circa 3000 persone (per tutto il periodo di guerra e per tutto il Litorale).
Da notare che gli internamenti cessarono sul fronte austriaco già nel 1917, su intercessione dell'Imperatore
Carlo I d'Asburgo che concesse agli internati lo status di confinati, sollevado quindi molti di questi uomini da un regime di vita assolutamente insostenibile. (A differenza di quanto avvenne in Austria-Ungheria, molti cittadini austriaci dispersi nelle isole non poterono rientrare nelle proprie terre neanche a guerra finita).
Sul fronte opposto, invece, il sistema preferito dagli italiani era la dispersione degli uomini in età da soldato, o comunque pericolosi, nelle ampie zone rurali
(ma non solo) di Sicilia e Sardegna (come d'altronde anche dopo la fine della guerra, nel periodo di pulizia etnica del Litorale). Alla conclusione del conflitto, i regnicoli allontanati dal Trieste, Goriziano ed Istria rientrarono in massa, per un numero di circa 39.000 nel corso del 1919: a questo punto si pose il problema dei beni abbandonati: molti cittadini del Regno d'Italia aveva lasciato i propri averi presso case di proprietà di cittadini austriaci che, per rientrare dalle spese del mancato affitto, vendettero il mobilio in giacenza, tanto che in via del Pozzo Bianco si venne ad istituire un'associazione denominata "Regnicoli danneggiati dalla guerra", con grande preoccupazione dellle neonate istituzioni pubbliche di Trieste.
(se la matematica non xe un opinion, xe 4000 de più quei vignudi su che quei scampadi via: d'altronde ve go za contado che mio nono, che el 1918 lo gaveva vissudo, me contava che jera risapudo in città che tanti de quei che xe andai a ricever l'Audace jera vignudi da fora e non tutti triestini doc).
Purtroppo, per quei paradossi tipici delle guerre, vi fu anche il caso di persone considerate sospette da entrambi gli schieramenti, con il triste destino di essere malviste da entrambi: bastava essere uno sloveno che parlasse italiano con un cognome tedesco (non per niente raro dalle nostre parti) per non poter essere considerato, specie dagli attaccanti, "al di sopra delle parti".
Per quel che riguarda invece l'evacuazione di civili austriaci al fine della protezione degli stessi, l'ordine per Pola e l'Istria del sud avvenne il 17 maggio 1915; per l'isontino il 22 e successivamente per la zona verso Doberdò. Alla fine di Maggio, si erano riversati verso l'interno 100.000 abitanti della zona di confine che, sommati a quelli che giungevano dal confine orientale, crearono una vera e propria emergenza sociale, logistica e sanitaria.
Si stima che lo Stato diede assitenza a circa 500.000 persone, delle quali circa 115.000 erano abitanti del Litorale di lingua italiana. Delle 31.000 persone residenti a Gorizia nel 1910, gli italiani ne trovarono al loro ingresso circa 3.500. Per Trieste, quando si capì che il fronte si sarebbe mantenuto ad una distanza ragionevole, la fuga rallentò.
[continua...]
Testo di riferimento: "1914-1918, un esilio che non ha pari" di Franco Cecotti, Libreria Editrice Goriziana