Per i pozzi importanti, quelli che hanno dietro la storia o l'arte c'è una pagina wiki
https://www.atrieste.eu/Wiki/doku.php?id ... _triestini
Ma ce ne sono tanti altri, meno nobili, forse, ma meritevoli di una menzione soprattutto adesso che siamo abituati a pensare che l'acqua nasca dal rubinetto, e che, con la loro presenza silenziosa, ci ricordano l'importanza dell'acqua e la fatica che l'uomo ha fatto, sempre, per procurarsela. Potremmo documentarli, se vogliamo, qua di seguito.
Ricopio, anche qua, una parte della pagina web http://digilander.libero.it/speleologia ... acqua.html che ho già citato integrale altrove per la parte che riguarda i pozzi.
Paolo Guglia ha scritto: LA RACCOLTA DELL’ACQUA NELLA PROVINCIA DI TRIESTE
[omissis]
I pozzi
Analizzando i documenti e gli atti pubblici degli ultimi 250 anni, escludendo le grandi realizzazioni legate agli acquedotti, la categoria delle opere idrauliche più spesso citata è quella dei pozzi. Questi scavi nel terreno hanno, infatti, risolto il problema dell’approvvigionamento idrico per un vastissimo periodo: dall’antichità fino ai nostri giorni. Si tratta di costruzioni relativamente semplici da realizzare, che possono essere di grandi dimensioni ma anche di profondità ridotta, che non necessitano di grandi conoscenze tecniche per l’escavazione ma che assolvono brillantemente al loro scopo.
Tecnicamente un pozzo è formato da una camera di captazione, dove si raccoglie l’acqua; da una canna, scavo verticale che congiunge la camera alla superficie, e da una bocca, passaggio attraverso il quale è possibile accede al pozzo stesso.
La camera di captazione è normalmente priva di rivestimento, al fine di facilitare la fuoriuscita dell’acqua dalle fessure della roccia; la sua profondità è ovviamente legata alle condizioni idrogeologiche del luogo. La canna è solitamente di forma cilindrica, rivestita con muratura per rinforzare le pareti e d’altezza variabile in relazione alla profondità della camera di captazione. La bocca del pozzo, spesso munita di vera, è realizzata in funzione di vari scopi: deve proteggere le persone durante la fase di prelievo dell’acqua, prevenire possibili inquinamenti ed evitare la caduta di oggetti e animali all’interno. La vera può essere realizzata in semplice muratura, oppure in un solo blocco monolitico di roccia.
I pozzi più antichi sono normalmente di forma cilindrica, cioè mantengono una sezione più o meno costante dalla bocca alla camera di raccolta: sono più facili da realizzare ed hanno una resistenza maggiore. Quelli più recenti (seconda metà del 1800) assumono invece una forma “a bottiglia”, con una bocca di diametro ridotto ed una canna con una sezione che inizialmente aumenta all’aumentare della profondità, per poi diventare costante fino al fondo.
Se analizziamo le dimensioni di queste opere sotterranee, la profondità dello scavo di un pozzo può, secondo le caratteristiche locali, partire da pochi metri
giungere fino a profondità ragguardevoli. Nella città di Udine, ad esempio, il pozzo di San Cristoforo, sito nell’omonima piazza, raggiunge la profondità di 54,5 m (SELLO, 1993, pp. 40-44).
Per quanto riguarda il territorio urbano triestino, la profondità massima riscontrata durante le esplorazioni è stata di 18 m, ma probabilmente sono stati realizzati anche scavi più profondi. Per quanto riguarda il diametro della canna (escludendo la bocca che normalmente è di sezione più ridotta), si riscontrano valori che vanno da un minimo di 1,2 m ad un massimo di 5,4 m, con una media di 2,6 m. In relazione alle varie morfologie, il volume d’acqua disponibile in ogni pozzo poteva quindi variare da poche decine di metri cubi a volumi anche considerevoli.
I pozzi presenti in ambito urbano possono essere divisi in due grandi gruppi: quelli pubblici e quelli privati. Nel primo gruppo possiamo includere tutti i pozzi, normalmente di grandi dimensioni e di sicura resa idrica, adibiti ad uso collettivo, dove l’onere della costruzione e della manutenzione era a carico dell’amministrazione cittadina. Nel secondo gruppo sono incluse invece tutte le opere d’uso famigliare, o comunque rivolte ad un numero limitato di persone. In questo caso la costruzione e la manutenzione dell’opera era a carico della ristretta comunità che ne usufruiva. Talvolta questa suddivisione è abbastanza relativa, in quanto certi pozzi privati erano spesso utilizzati, durante i periodi di siccità, anche a fini pubblici.
Bisogna inoltre evidenziare la presenza di una categoria particolare di pozzi: i fontanoni. Anche in questo caso si tratta di scavi nel terreno per la raccolta dell’acqua, ma con precise caratteristiche morfologiche e sempre d’uso pubblico. Molto spesso dei semplici pozzi venivano, con il passare degli anni, modificati ed ingranditi, passando così alla “categoria superiore”. Per questo motivo alcune cavità sono riportate nei vari documenti con le due diverse definizioni. Dei fontanoni si tratterà più estesamente nel paragrafo appositamente dedicato.
È difficile quantificare quanti pozzi siano stati scavati nel territorio urbano della città. Una stima elaborata dall’ACEGAS cita 700 pozzi, mentre un recente lavoro dedicato alla geologia della zona di Trieste ne indica 1.800 (BALLARIN & SEMERARO, 1997, p. SI). Bisognerebbe ovviamente definire esattamente i limiti del territorio urbano, ma è probabile che queste valutazioni siano da ritoccare in eccesso.
Una stima del 1882, indica che la disponibilità totale d’acqua della città ammontava a 2.254 mc giornalieri, di cui 1.100 mc fornita da pozzi e fontanoni (ACEGA, 1988, p. 5). Ciò significa che, fino a circa cento anni fa, Trieste dipendeva quasi al 50% da questi tipi d’opere idrauliche.
I pozzi trattati nella presente ricerca, sono delle semplici opere di escavazione che intercettano l’acqua presente nel sottosuolo, che necessitano quindi di particolari sistemi di sollevamento per il trasporto all’esterno della stessa. Non bisogna quindi confonderli con i pozzi artesiani che nel territorio triestino, nonostante numerosi tentativi, non hanno mai portato a grandi risultati e che non rientrano nell’indagine effettuata.
I pozzi pubblici
Per definire quali pozzi erano considerati pubblici a Trieste, è possibile fare riferimento a varie relazioni, ma due di queste possono considerarsi particolarmente esaurienti. La prima elenca 27 cavità (fra pozzi e fontanoni) ed è stata formulata dal medico de Garzarolli e dal farmacista Boara nel 1822 (Archivio di Stato di Trieste, IRLL AO Busta 2236, Rapporto della commissione per la rilevazione dello stato dei pozzi, Trieste 24 giugno 1822). La seconda ne elenca solo 19 ed è stata redatta dalle autorità cittadine in occasione della siccità del 1868 (Verbali della delegazione municipale di Trieste, Trieste 10 agosto 1868, citati in De Vecchi et al, 1994, p. 49).
Sulla base di questi documenti si possono ricordare i seguenti pozzi cittadini: Bianco, davanti alla Cattedrale di San Giusto, del Ghetto Vecchio, del Lavatojo, del Mare, dell’Amore, dell’Annunziata, dell’Ospedale, della Chiesa dei Gesuiti, della Marinella, di Crosada di San Lorenzo, di San Silvestro, di Sporca Villa, dietro Casa Fister, in androna Brainech, in androna della Fontanella, in androna Jasbezza, in Barriera Vecchia, in contrada Malcanton, in Guardiella, in piazza del Fieno, in piazza della Dogana Nuova, in piazza della Dogana Vecchia, in piazza Lipsia, in piazza Santa Lucia, in Pozzacchera, presso Casa Baiardi, presso Casa Baraunz, presso Casa Cosmatz, presso Casa Porta, sotto il Corpo di Guardia di Rena Vecchia e Sotto il Monte.
All’interno di questo elenco, alcuni pozzi sono facilmente identificabili, in particolare modo quelli che fanno riferimento ad una chiara collocazione (in androna della Marinella, in piazza Santa Lucia, ...). Altri sono invece indicati con delle definizioni meno precise (presso Casa Baraunz, presso Casa Cosmatz ) e presentano quindi delle notevoli difficoltà per la determinazione della loro esatta posizione.
Consultando vari documenti, è stato possibile seguire l’evoluzione di alcuni pozzi ed i lavori di modifica che, nel tempo, li hanno interessati. È il caso del pozzo antistante la Cattedrale di San Giusto: esso è stato realizzato in tempi antichi e per lunghi anni ha svolto la sua funzione. Nel 1884, il pozzo è stato infine chiuso e, in molti testi, si riporta che al suo posto fu eretta la nota colonna sormontata dall’alabarda. Consultando le piante che riportano l’esatta posizione del pozzo, è facilmente visibile, però, come esso risulti alquanto spostato rispetto alla colonna e che quindi non vi sia stata alcuna “interferenza” fra le due costruzioni. In un progetto del 1846, è stato previsto l’allacciamento di quest’opera sotterranea con il sottostante edificio allora adibito a manicomio (un tempo sede episcopale, quindi Ospitale), sito in via del Castello n. 2, che non disponeva d’acqua a sufficienza nonostante le due grandi cisterne di cui era dotato. Non ci sono dati sicuri sulla realizzazione di questo collegamento, ma è stata ritrovata un’intervista rilasciata dallo storico Silvio Rutteri (SAN1oito, 1981), nella quale si accenna all’avventurosa esplorazione di queste canalizzazioni.
I pozzi privati
Se i documenti ufficiali trattano spesso dei pozzi pubblici, poche indicazioni sono riservate invece a quelli di carattere privato. La realizzazione di queste opere, infatti, interessava solamente i proprietari del terreno in cui il manufatto si apriva e molto spesso non rimaneva traccia della costruzione in alcun atto o progetto ufficiale. L’identificazione di numerose cavità appartenenti a questa categoria risulta però facile consultando le varie mappe, antiche e moderne, che descrivono il territorio urbano. Le planimetrie, che ritraggono sia il centro che le aree di periferia, riportano spesso dei piccoli simboli circolari, che identificano la posizione dei pozzi presenti nelle varie proprietà private. F possibile così vedere come sul colle di San Giusto, ma anche in Cittavecchia ed in generale in tutto il territorio urbano e di periferia,
vi sia una considerevole presenza di pozzi di costruzione privata. Basta poi consultare la cartografia del piano Müller in scala 1:1.000 per notare particolari concentrazioni: una di queste si riscontra nella zona periferica retrostante il cimitero di S. Anna (BALLARIN & SEMERARO, 1997, p. 82) dove, in un’area quadrangolare di 250 m dilato, sono presenti più di 16 cavità di questo tipo.
Quasi tutte le ville padronali erano dotate di pozzi per l’approvvigionamento idrico. L’esempio più interessante è quello di villa Bazzoni, pregevole edificio neoclassico sito all’inizio dell’omonima via. Durante recenti sopralluoghi, svolti dalla Sezione Ricerche e Studi su Cavità Artificiali del Club Alpinistico Triestino, è risultato che nel parco sono presenti ben 4 pozzi, di dimensioni variabili, usati sia per le esigenze del parco stesso, sia come riserve idriche per la villa.
Allo stesso modo, erano sempre dotati di pozzi le principali fortificazioni militari, come il castello di San Giusto o il Forte della Sanza (SERI & DEGLI IVANISSEVICH, 1980, pp. 98-100), ed i vari edifici di carattere religioso. A tale proposito basti ricordare il convento di San Cipriano che presenta ancora oggi, negli orti circostanti, due ampi manufatti per la raccolta dell’acqua.
Esplorazione dei pozzi
Indagando sul sottosuolo della città di Trieste, spesso è stato possibile imbattersi in pozzi di dimensioni più o meno grandi. Nei primi anni di ricerca non è stata rivolta particolare attenzione a questa categoria di cavità, ma poi, con il tempo, è stata compresa l’importanza che anche queste risorse idriche minori potevano rivestire.
I pozzi più antichi che sono stati rinvenuti risalgono al periodo romano. Si tratta di due opere ipogee ancora visitabili sul colle di San Giusto. Il primo è posto lungo la rampa d’accesso al castello (n0 CA 21), dove è facilmente visibile la botola in pietra che ne chiude la bocca (Gttc,IIÀ & HALUPCA, p. 82). Questa è stata posta nell’anno 1930. Si tratt di un pozzo profondo 5 m, di forma cilindrica con un diametro di circa I m. Un altro manufatto, sempre d’epoca romana, è stato rinvenuto all’interno del battistero della Cattedrale (n0 CA 23):
uno scavo di piccole dimensioni, di costruzione cilindrica, con una profondità di 3 m ed un diametro di circa 80 cm. Tutte le due cavità sono rivestite in conci di pietra e s’interrompono a contatto con gli strati di roccia marnoso-arenacea (GUGLIA & HALUPCA, 1988, p. 95). In entrambi i casi, si tratta d’importanti testimonianze relative ai pozzi che, assieme ai tre acquedotti, hanno permesso la sopravvivenza e l’espansione dell’antica città di Tergeste.
Se affrontiamo invece l’argomento dei pozzi più recenti di carattere pubblico, l’esempio più rilevante è sicuramente quello dell’opera idraulica presente nei sotterranei della chiesa di Santa Maria Maggiore: il pozzo dei Gesuiti (n0 CA 19). Nato inizialmente come fonte idrica privata, presenta le seguenti caratteristiche: la canna in muratura scende in profondità per 5 m, mentre la camera di raccolta si sviluppa per ulteriori 1,5 m nella roccia marnoso-arenacea.
Come si può constatare, si tratta di un pozzo con limitate dimensioni (profondità totale 6,5 m), ma che possiede interessanti particolarità. La canna, infatti, si presenta a sezione variabile: inizia con forma ottagonale, che diventa poi quadrata ed infine circolare. Anche i materiali di costruzione sono diversi. Il pozzo è inizialmente realizzato con mattoni, per poi presentare, in profondità, pareti rivestite con pietre squadrate d’arenaria. Si tratta, molto probabilmente, di una stratificazione morfologica indicante fasi diverse di costruzione. La parte profonda del pozzo, quella formata dalla camera di captazione e dalla prima parte della canna realizzata in pietre con sezione circolare, è quasi certamente preesistente al resto della costruzione ed è stata inglobata nelle fondamenta della chiesa al momento della sua edificazione (GUGLIA & HALUPCA, 1988, p. 32).
Sono stati visitati pozzi di carattere privato in quasi tutto il territorio urbano. Fra i tanti localizzati e documentati, si possono citare due pozzi in via degli Artisti e numerosi altri nella zona di via Commerciale, in via Carpaccio, in via Virgilio, in vicolo dell’Ospedale, in piazzale Rosmini, in via Crispi, in via Giustinelli, sul colle di San Giusto, nel parco dalla Rimembranza e nell’Orto Lapidario. Si tratta di costruzioni di dimensioni medio-piccole, con profondità massima di 13 in ed un volume medio d’acqua pari a 42 mc.
Alcuni interessanti sopralluoghi sono stati fatti anche all’interno dei parchi d’alcune ville appartenute a famiglie nobili cittadine. Come esempio dalle particolari caratteristiche, si può citare il manufatto idraulico costruito nei pressi della villa Sartorio, oggi sede dell’omonimo civico museo. Nel giardino sono ancora oggi visitabili alcuni ambienti sotterranei, probabilmente appartenenti ad una costruzione preesistente all’attuale edificio. Procedendo lungo questi vani, è stato possibile localizzare un ampio pilastro a sezione circolare: dopo opportune indagini, è emerso che lo stesso non è una struttura di sostegno della volta, come inizialmente interpretato. Si tratta invece della parete esterna della canna di un ampio pozzo (n0 CA 129) che, aprendosi all’esterno, scende in profondità attraversando, dal soffitto al pavimento, tutta la sezione della galleria.
[omissis]
Paolo Guglia
(Sezione di Speleologia Urbana della Società Adriatica di Speleologia, Catasto delle Cavità Artificiali SSI del EVO)
tratto da gli Atti dell'VIII convegno Regionale di speleologia del Friuli-Venezia Giulia (1999)