Bosnia-Erzegovina: architettura

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Rawa Ruska
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Messaggio da Rawa Ruska »

Grazie. Scusa ma go visto solo ogi la risposta.

Rawa Ruska


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1382-1918
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Messaggio da 1382-1918 »

Per proseguire coi luoghi di culto più importanti nella città di Sarajevo, continuiamo con la "Moschea Imperiale" (Careva Džamija).

Si tratta di una delle prime moschee della Bosnia e la prima a Sarajevo. L'originale del 1462 venne fatta costruire sulle rive del fiume Miljacka, da Isabeg Isaković, il quale viene considerato il fondatore della città di Sarajevo. Già nel 1480 però andò distrutta in un incendio. Nel 1566 venne ricostruita sulle rovine della precedente, su commissione di Solimano il Magnifico, proprio nel suo ultimo anno di sultanato.

La moschea si compone di un salone per le preghiere sormontato da una grande cupola rotonda, tipica dell'architettura ottomana classica, mentre altre piccole cupole circondano il chiostro interno. Naturalmente è presente anche un minareto, e dietro alla moschea un cimitero islamico con tombe secolari.
Col passaggio della Bosnia all'amministrazione asburgica nel 1878, è stato regolato il corso del fiume Miljacka, che attraversa la città, e sono stati costruiti nuovi argini. Di conseguenza, il livello del pavimento della moschea si trova ora leggermente più in basso rispetto al livello stradale della riva del fiume.
Ha acquistato ancora più importanza da quando nel 1912 sono stati aggiunti ai lati, su progetto dell'architetto Karlo Paržik, due corpi di fabbrica per la residenza del Reis-Ul-Ulema, ovvero il Gran Muftì di Bosnia, la massima autorità musulmana del paese. L'architettura della residenza è semplice, con leggerissime influenze liberty, e la presenza di cupole inserisce armoniosamente l'immobile nel complesso della moschea.

La moschea vista dalla sponda opposta del fiume. In primo piano la residenza del Reis-ul-ulema:

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Una vista notturna. Sulla sinistra, nella via laterale, l'ingresso alla moschea, dal cui portone si accede al cortile che porta all'ingresso del salone principale, sotto alla cupola grande:

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Una vecchia cartolina di epoca asburgica:

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Particolare di una delle finestre della residenza del Reis-ul-ulema:

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Messaggio da 1382-1918 »

La moschea di Ali Paša, fatta costruire nel 1561 da Hadim Ali Pasha, quando era governatore del pascialato di Bosnia e del distretto amministrativo ottomano di Budapest.

Si presenta con una cupola soprastante il salone per le preghiere, e tre cupole sopra il chiostro d'ingresso.
Durante la guerra degli anni '90 la cupola è stata gravemente danneggiata, ma è stata restaurata completamente nel 2005.

L'ingresso dell'edificio, ed il retro, con giardino e cimitero:
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Messaggio da 1382-1918 »

Oltre alle moschee importanti che abbiamo già visto, ce ne sono almeno altre cento, contandole tutte fino alla più modesta, spesso dalle dimensioni minime, e magari in legno, come quelle che vedremo più avanti, tipiche della campagna bosniaca.

Per finire coi luoghi di culto, andiamo ora a vedere ancora un paio di edifici di Sarajevo.

Si tratta della Gazi Husrev-beg "Kuršumlija" Medresa, della sede della stessa in palazzo Djulagin Dvor, della "Tekija" dei dervisci e del bagno truco "Hamam" di Gazi Husrev-beg.

Intanto i primi due.

Una "medressa" in Bosnia è una scuola gestita da religiosi musulmani.
La Kuršumlija medresa è la scuola secondaria superiore musulmana di Sarajevo. Datata 1537, e costruita da Gazi Husrev-beg, si trova vicina alla moschea che porta il suo stesso nome, che abbiamo visto più sopra.
E' costruita nello stile classico ottomano, composta da un ingresso che porta ad un cortile interno con fontana circondato da colonne e chiostro. 12 cupolette coprono ognuna delle 12 classi, ognuna dotata di caminetto per il riscaldamento, e relativo camino. Presente anche un salone per l'insegnamento collettivo ed un dormitorio per gli studenti.
Nel cortile vengono spesso ospitate mostre artistiche, generalmente di quadri.

L'ingresso della medressa:
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La copertura tipica:
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Il cortile interno:
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Esiste poi una seconda medressa di epoca asburgica (1897), in centro città, nel palazzo chiamato Djulagin Dvor, restaurato nel 2007:
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La scuola forma non solo figure religiose come imam, mufti e reis-ul-ulema, ma anche professori, ricercatori scientifici, e coloro che vogliono intraprendere una carriera politica come diplomatici e ministri.
Le discipline insegnate si suddividono nei seguenti gruppi:
- discipline islamiche (Kiraet, Fikh, Akaid, Tefsir, Hadis)
- discipline lingustiche (bosniaco, turco, arabo, latino, tedesco, inglese)
- discipline sociali (storia, filosofia, sociologia, pedagogia, psicologia, storia, geografia)
- discipline scientifico-naturali (matematica, fisica, informatica, biologia, chimica, fisica)

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1382-1918
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Messaggio da 1382-1918 »

Per finire coi luoghi di culto di Sarajevo, passiamo alla "Tekija" dei dervisci.

In Bosnia una "tekija" è un luogo dove i musulmani fanno ritiro spirituale, l'equivalente dei monasteri per i cristiani.
La Tekija "Sinan" di Sarajevo si trova sulle alture attorno alla città, in un vecchio quartiere, ed è appunto un monastero musulmano per i dervisci. E' stata costruita nel 1639 da Hadži Sinan-aga, un ricco commerciante di Sarajevo. Sembra che la sua edificazione sia stata finanziata dal sultano Murat IV, per ricordare la conquista di Baghdad. Sui muri interni della tekija ci sono numerose iscrizioni calligrafiche del XVIII secolo, tra le quali spicca il sigillo di Solimano (il "muhur"), scritto in lettere di uno strano alfabeto.

La tekija vista dalla strada:
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La tekija vista dal cortile interno (in primo piano antiche tombe musulmane):
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Dall'altro lato (notare la parete col "muhur" circolare):
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Portone d'ingresso visto dall'interno:
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Una delle iscrizioni calligrafiche:
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Avendo concluso con i luoghi di culto, ci inoltriamo nelle strade della città, iniziando dal bagno turco (hamam) di Gazi Husrev Beg, il più grande dei 7 bagni pubblici di Sarajevo, costruito nell'anno 1539. Dopo la prima guerra mondiale è stato chiuso, durante la seconda guerra mondiale è stato usato come night club, mentre durante la guerra degli anni '90 è stato usato come mercato coperto, dove si poteva andare a fare la spesa senza venir colpiti dalle granate. Danneggiato esternamente, è stato recentemente restaurato ed è ora parte del Bosanski Institut.
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Un altro hamam è quello intitolato a Isa-beg, distrutto completamente da un incendio nel 1810, è stato ricostruito alcuni anni dopo, ma è stato per lo più riservato all'esercito. In periodo asburgico si pensò di ristrutturarlo per usarlo nuovamente come bagno pubblico, per cui nel 1891 riaprì a questo uso, sfoggiando una bella facciata in stile moresco dell'architetto croato Josip Vancaš e l'intitolazione scritta nelle tre grafie della lingua serbo-croata usate in Bosnia all'epoca: latino, cirillico ed arabica. Comprende sezioni separate per donne e uomini. Nel periodo asburgico una zona dell'hamam è stata riservata ai rituali d'acqua ebraici. Dopo la prima guerra mondiale è stato usato come magazzino, dopo la seconda è stata rimossa la ricca facciata ornamentale, e durante la guerra degli anni '90 è stato ulteriormente danneggiato. Ora è in stato di abbandono, ma è previsto un restauro totale.
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Messaggio da 1382-1918 »

Nella Baščaršija, il quartiere ottomano di Sarajevo, troviamo un altro edificio dedicato a Gazi Husrev Beg, ed è il Bursa Bezistan, ovvero il mercato coperto.

Costruito per ordine del gran visir Rustem Pascià nel 1511, è chiamato Bursa in onore all'omonima città turca, da dove arrivava la seta.
A base rettangolare, presenta caratteristiche cupole, e vari ingressi su ciascun lato.
Il Gazi Husrev Begov Bursa Bezistan non è il mercato coperto dedicato allo smercio di cibi e bevande, vi si trovano soprattutto artigiani che producono e vendono utensili in rame, in particolare da cucina, poi ci sono negozi di tessuti in seta, oreficerie, oltre a negozi che vendono souvenir.

L'ingresso al Bezistan:
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Il Bezistan con le sue cupole, visto dalle strade della Baščaršija:
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Le vetrine verso l'esterno. La strada, prima asfaltata, è stata elegantemente pavimentata nel 2005:
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Vista serale dalla medesima strada pedonale esterna:
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L'interno:
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babatriestina
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Messaggio da babatriestina »

stai facendo un reportage molto bello e molto completo, se mi capita di passarci di persona so cosa andare a vedere ( forse il prossimo anno..), aspetto la conclusione per fare alcune domande, perchè forse la risposta verrà nel tuo reportage. Una sola domanda, una curiosità: leggo
visto dalle strade della Baščaršija
e a me sto nome che mi si impappina la lingua a tentar di pronunciarlo e difatti ho fatto un copianicolla, ha richiamato alla mente ... un balletto russo, dimmi se è solo una vaga assonanza o un collegamento: il balletto ottocentesco, ambientato fra i tartari musulmani di Crimea, si chiama La Fontana di Bakhchisaray ed è ispirato da Puskhin.
http://it.wikipedia.org/wiki/Bach%C4%8Dysaraj


"mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente" ( La Cittadella)
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Messaggio da 1382-1918 »

Grazie! :wink:

Infatti proprio ora volevo entrare in dettaglio nella Baščaršija e spiegare un pochino.
Poi passerò alle altre vie centrali di Sarajevo, le rive, illustrando i palazzi più importanti e aneddoti vari. Successivamente tratterò in breve i dintorni della città, con la parte moderna dove stanno edificando dei grattacieli di vetro modernissimi, la periferia ed il circondario.
Dopodichè, in maniera meno esaustiva, passerò ad altre località della Bosnia-Erzegovina.

Il balletto ottocentesco che hai citato è solo un'assonanza, però senza volerlo anche un collegamento.
Mi spiego meglio: Baščaršija è una parola che deriva dal turco "Başçarşı", ed è composta da "Baş", che significa "principale" e da "çarşı" che significa bazar o mercato. Di conseguenza Baščaršija significa "mercato principale". Infatti a Sarajevo esiste anche il rione di "Čaršija".

Ho detto però che senza volerlo hai fatto anche un collegamento, infatti nel nome del balletto è citata la località di Bakhchisaray, che sarebbe il "saray" (in italiano "serraglio" o "caravanserraglio") di Bakhchi (in Crimea).
Un caravanserraglio era, nell'Impero ottomano, un luogo di ristoro per i viandanti, dove ci si poteva rifocillare e dare da mangiare agli animali.
Sarajevo nasce appunto da questa usanza, ed il suo nome infatti include "Saray". Ancora oggi Sarajevo in turco viene chiamata Saray-Bosna, cioè il serraglio di Bosnia.

Per tornare alla Baščaršija, possiamo iniziare col dire che è forse il simbolo della città intera, che origina nel 16° secolo. Una delle immagini più note è quella della piazza del mercato con la fontana "Sebilj", che illustrerò meglio nel prossimo post, assieme ad altri aspetti di questo vecchio quartiere di epoca ottomana.

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Messaggio da 1382-1918 »

Ho citato subito qui sopra la fontana chiamata "Sebilj", che è divenuta un simbolo di Sarajevo. Si trova nel cuore della città, e nel cuore del rione di Baščaršija. Prende il nome da una parola araba che significa "tempo", ma che nello specifico indica una qualsiasi fontana pubblica a forma di chiosco.
L'attuale fontana in stile pseudo-moresco è del periodo asburgico, del 1891, disegnata dall'architetto ceco Aleksander Vitek, il quale ha preso lo spunto da una precedente fontana fatta costruire nel 1753 dal visir bosniaco Mehmed Pasha Kukavica, la quale però andò bruciata nel 1852.
La piazza in cui si trova, frequentatissima dai turisti, è anche nota col nome di "Piazza dei piccioni", perchè vi si trovano piccioni in alto numero.
I numerosi negozi di souvenir presenti nella piazza vendono anche un modellino in cartoncino, che permette di costruirsi in casa una mini Sebilj da tenere come soprammobile.

Qui sotto, un'altra immagine della fontana ed i suoi piccioni:
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Ed una suggestiva vista notturna:
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Messaggio da 1382-1918 »

Continuando col rione ottomano di Baščaršija, possiamo dire brevemente che l'aspetto è quello di un dedalo di stradine e vicoli pieni di oreficierie e negozietti che vendono oggetti in rame e argento, tappeti e vestiti di seta.
Tra gli oggetti in rame, frequentissima la tipica brocca bosniaca, ed ogni sorta di tazzina per tè o caffè. Ogni strada è dedicata ad un diverso tipo di artigianato (incisori, fabbri, lattonieri, calligrafi, orologiai, calzolai, sarti, barbieri, ecc.)

Un terremoto nel 1640 distrusse parte del rione, che andò in parte anche bruciato nel 1644, e di nuovo bruciato e saccheggiato nel 1697 dalle truppe di Eugenio di Savoia.

Nel 1879, appena iniziata l'amministrazione asburgica, scoppiò un grave incendio che fece anche alcune vittime e distrusse parte della Baščaršija. Una parte venne risanata, mentre quella più compromessa, distrutta dal fuoco, diede l'impulso all'amministrazione asburgica all'edificazione di nuove vie e palazzi, che vedremo più avanti. Il limite tra le due zone è oggi la via Ferhadija. Dopo la seconda guerra mondiale ci fu un progetto per l'eliminazione della Baščaršija, ma per fortuna non venne mai applicato, e oggi al rione viene data la giusta importanza.

Una via tipica della Baščaršija (a sinistra l'ingresso al cortile di una moschea):
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Un'altra via, piena di negozi:
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Oggetti esposti esternamente ad un negozio:
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Un oggetto in rame:
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Una via con tappeti in mostra:
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Vale la pena ricordare che ogni anno per tutto il mese di luglio ha luogo un festival col nome di "Baščaršijske Noći", cioè notti della Baščaršija, dove ogni sera si svolgono vari eventi culturali.
Il festival, che si apre con l'orchestra filarmonica di Sarajevo, è il più importante di Sarajevo e propone vari aspetti culturali, con rappresentazioni teatrali, musica classica, rock, folklore, presentazione di libri, mostre fotografiche, proiezione di film, opere teatrali, balletti, sfilate di moda. Il tutto avviene all'aperto e naturalmente è gratuito.
Qui sotto il manifesto dell'edizione 2009, la 14a, dove simpaticamente una delle brocche di rame si trasforma in sassofono.
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Da segnalare assolutamente le "ćevabdžinica", dei piccoli ristorantini dove si possono gustare i migliori piatti a base di carne dell'intera penisola balcanica, per pochi euro. In particolare si possono trovare i famosi ćevapi, raznići e pleskavice.
La Baščaršija offre molte di queste ćevabdžinice, ma le più famose sono la Hodžić, la "Petica "di Ferhatović e quella di Zeljo.

L'ingresso della Petica:
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L'interno della stessa, accogliente e pulito:
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L'ingresso della Hodžić:
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Il suo interno, rimodernato, forse fin troppo:
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Una piazzetta tipica con l'edificio che ospita la ćevabdžinica Hodžić 2:
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Il suo menù, dove consigliano la combinazione ideale: coca-cola e ćevapi! :-D
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Un piatto di ćevapi con cipolla cruda e pita di pane:
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Caffè alla turca e bignè alla crema di latte in una delle tante "kahvana": :-D
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Due foto serali del rione di Baščaršija, che danno perfettamente l'idea dell'atmosfera piacevole che viene a crearsi (ringrazio Armin per le foto):
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Nella seconda foto, al centro, in fondo alla via, si intravede la sommità del palazzo che presenterò nel prossimo post, e che ci introdurrà in un'altra parte della città di Sarajevo.


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AdlerTS
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Messaggio da AdlerTS »

Me mancava la parte culinaria :-D ! Xe più zivola che carne in quel piatto, ma xe invitante :-)


Mal no far, paura no gaver.
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Messaggio da ffdt »

1382-1918 ha scritto:[...] una delle tante "kahvana" [...]
flag_ts se se pronuncia "cavana" alora me piaxesi saver cos' che vol dir e che etimologia che ga perche` noi gavemo piaza cavana e pol eser solo che un'omofonia ma podesi anca eserge una radixe in comun ... te sa cualcosa de piu`? :-)

flag_fr si on le prononce "cavana" alors j'aimerais savoir ce qu'il signifie et quel est son étymologie parce-que nous avons une place cavana et bien qu'il peut être simplement de l'homophonie on pourrait effectivement avoir une racine commune ... en connais-tu un peu plus? :-)

flag_uk if it is pronounced "cavana" then I would like to know what it means and what is its etymology, because we have a cavana square and although it may be matter of mere homophony it could indeed be a common root ... do you know a bit more? :-)

flag_it se si pronuncia "cavana" allora mi piacerebbe sapere cosa significa e qual'e` la sua etimologia perche` noi abbiamo una piazza cavana e mentre puo` trattarsi di mera omofonia potrebbe invero esserci una radice comune ... ne sai qualcosa in piu`? :-)


Ursus Canadiensis
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Messaggio da Ursus Canadiensis »

Kahvana o semplicemente kavana ga la stesa radise de kavarna (Каварна) in Bulgaro e Serbo. Kava vol dir cafè, Kav-arna vol dir cafeteria. No ga gnente cosa dir con la cavana veneta. No so se quela yera la domanda che te gavevi fato, FFDT?

Arnie


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sono piccolo ma crescero
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Messaggio da sono piccolo ma crescero »

Sul Doria no xe la parola cavana. Te lo ga becà in castagna.

Cavana par che sia come capanna, latin cabanna, presente in spagnol e francese, forsi dal celtico o dal grego, no assolutamente da cavea (cusì i scrivi). Insoma "etimo incerto!".

Come dir che va ben tuto.

Anche el concise oxford se ferma, per la parola cabin, al latin.


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Messaggio da 1382-1918 »

1382-1918 ha scritto:Due foto serali del rione di Baščaršija, che danno perfettamente l'idea dell'atmosfera piacevole che viene a crearsi (ringrazio Armin per le foto):
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Nella seconda foto, al centro, in fondo alla via, si intravede la sommità del palazzo che presenterò nel prossimo post, e che ci introdurrà in un'altra parte della città di Sarajevo.
Come accennavo nel mio ultimo post, passiamo ora a vedere il palazzo che troviamo sulle rive del fiume Miljacka, costruito nel punto nel quale si giunge seguendo la via che dal rione di Baščaršija porta alle rive stesse.

Si tratta del municipio di Sarajevo (in serbo-croato "vijećnica"), ed è probabilmente il palazzo più rappresentativo della Sarajevo asburgica.
Lo stile è il cosiddetto stile pseudo-moresco. Abbiamo già visto nelle pagine precedenti la scuola di diritto islamico costruita nel medesimo stile nello stesso periodo.

Il progetto di questo palazzo è dell'architetto Alexander Wittek (o Vitek), lo stesso della fontana Sebilj, il quale si ispirò agli stili degli edifici islamici dell'Africa Settentrionale e della Spagna meridionale. Andò appositamente a Il Cairo per studiare gli elementi architettonici della moschea di Kemal II.
Wittek però si ammalò ed il progetto venne completato da Ciril Iveković. La costruzione del palazzo iniziò nel 1892 e si concluse nel 1895.

Il costo per la sua costruzione è stato di 984.000 corone austro-ungariche, 32.000 per l'arredamento interno. Si presenta a base triangolare, a due piani, con una sala centrale illuminata da una copertura vetrata. I materiali usati sono stati scelti tra pietre e marmi di prima qualità, locali e non.
Venne consegnato ufficialmente alle autorità locali nell'aprile del 1896 e da allora, e fino al 1948, ospitò il municipio della città.
Nel 1910 ricevette la visita ufficiale dell'Imperatore Francesco Giuseppe I, in occasione dell'attivazione della Dieta Bosno-erzegovese, naturale conseguenza dell'annessione formale della Bosnia avvenuta nel 1908, dopo 30 anni di amministrazione a seguito di mandato europeo.
Nel giugno 1914 venne visitato inoltre dall'arciduca Francesco Ferdinando, nemmeno un'ora prima del fatale attentato.
Dal 1948 il palazzo è stato usato usato come sede della biblioteca nazionale ed universitaria della Bosnia-Erzegovina.

Durante l'assedio di Sarajevo da parte delle forze serbe ribelli, iniziato nell'aprile del 1992 a seguito della dichiarazione di indipendenza della Bosnia dalla Jugoslavia (ormai ad egemonia serba), il palazzo venne deliberatamente e ripetutamente colpito dalle granate incendiarie, sia perchè fu obiettivo facile, in quanto venne ad affacciarsi proprio verso le alture da cui si bombardava, sia perchè simbolo delle cultura che portò alla secessione dalla Serbia. Purtroppo il 25 e 26 agosto del 1992 a seguito di questi bombardamenti il palazzo prese fuoco, e con esso, più del 90% del suo contenuto.
Andarono così in fumo circa due milioni di libri, giornali, stampati, manoscritti che raccoglievano secoli di storia locale, mentre la struttura del palazzo subì danni gravissimi, al limite del danno strutturale.

Già nel 1995, a guerra ancora in corso, ma quando ormai si intravedeva uno spiraglio di pace, le autorità locali si attivarono per cominciare a pensare ad un futuro restauro. Venne perciò contattata la società Ser.CO.TEC di Trieste al fine di condurre una diagnosi sullo stato dell'immobile, su commissione dell'Unione Europea ed in cooperazione con l'Istituto per materiali e strutture della facoltà di Ingegneria di Sarajevo.
Le indagini continuarono negli anni successivi, assieme al rifacimento della copertura ed a dei piccoli restauri parziali al fine di rendere il palazzo nuovamente agibile e limitare il veloce decadimento della struttura.

Il restauro dell'immobile richiede notevoli sforzi finanziari. Nel 2003 sono stati parzialmente restaurati anche alcuni elementi interni al palazzo, che negli anni successivi ha ospitato concerti di musica classica e mostre d'arte per sensibilizzare i governi ed i privati per la ricerca dei fondi per il restauro. Nel frattempo sono stati raccolti documenti in altre sedi, come ad esempio Zagabria e Vienna, per raccogliere quante più notizie ed immagini possibili al fine di un restauro migliore.
Finalmente verso la fine del 2008 è stata costituita un'assemblea tra le autorità locali, investitori stranieri e un gruppo di città e paesi e donatori. Il restauro del palazzo è quindi iniziato ufficialmente nell'agosto del 2009.

I donatori sono la città di Sarajevo, la Biblioteca Nazionale della Bosnia-Erzegovina, i governi di Spagna, Ungheria ed Austria, la città di Budapest, la città di Podgorica (Montenegro), la città di Lubiana (Slovenia), la città di Tirana (Albania), la città di Vienna (Austria), e l'Associazione viennese per il rinnovo del municipio di Sarajevo oltre alle Biblioteche Nazionali di Serbia (e questo è notevole), Francia, Austria, Olanda, Cipro e Norvegia.

Il palazzo nel 2008 (ringrazio nuovamente Armin per la foto):
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Il giorno della consegna alle autorità bosniache nel 1896:
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Alcuni anni dopo la sua edificazione:
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E una cartolina di inizio '900, col ponte Šeher-Ćehajin che vedremo più avanti:
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Francesco Ferdinando e consorte all'uscita dal municipio, il 28 giugno 1914, dopo esser stati ricevuti dal sindaco Fehim Efendi Čurčić::
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L'interno del palazzo:
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Il palazzo visto dall'alto, in epoca jugoslava (1985):
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Sempre nel 1985, la copertura vetrata vista dall'interno:
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26 agosto 1992, più di 2.000.000 di libri, giornali, manoscritti... in fumo:
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Il risultato dell'incendio dovuto a granate incendiarie lanciate dalle truppe di Radovan Karadžić, ora detenuto al tribunale internazionale dell'Aia.
Ricordo ancora il filmato dove lo si vedeva mentre, soddisfatto, col binocolo guardava Sarajevo dalle colline circostanti.
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Una prima pulitura effettuata nel 1998:
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Restauro parziale interno del 2003:
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Particolari architettonici del palazzo:
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Disegno del 2008, parte del progetto di restauro:
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Vista notturna (2009), da notare le impalcature in fase di allestimento, per il restauro:
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Il palazzo circondato dalle impalcature (2009):
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Targa ricordo provvisoria:
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L'elenco dei donatori su un telone esterno alle impalcature:
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Messaggio da 1382-1918 »

Nel post precedente ho illustrato il palazzo del municipio, e accennato che si trova vicino ad un ponte che porta sulla sponda opposta della Miljacka, nel rione di Alifakovac.

Si tratta di uno dei più vecchi ponti di Sarajevo, in serbo-croato viene chiamato "Šeher-ćehajina ćuprija", cioè il ponte del governatore, in riferimento a Hadži Hussein, il governatore ottomano della città, che lo fece costruire nel 1586. Nel 1620 venne ricostruito a seguito di una pesante innondazione che lo distrusse, assieme ad altri 6 ponti della città.

Una vecchia cartolina di epoca asburgica dove si vede il ponte visto dal porticato del municipio:
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Nel tempo, il ponte subì altri piccoli danni, che vennero sistemati verso il 1840. Originariamente si presentava con 5 archi, ma in periodo asburgico, con la regolazione del corso del fiume e la costruzione di nuovi argini, uno dei 5 archi venne incorporato nell'argine, sulla sponda sinistra del fiume. Tale operazione venne eseguita in maniera che oggi nemmeno ci si accorge di ciò.

Un'altra vecchia cartolina dove si vede il ponte con i suoi 4 archi. Il quinto si trova ormai ricompreso all'interno dell'argine del fiume:
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Nel 1904 inoltre il parapetto di pietra venne sostituito con uno in metallo e vennero aggiunti dei marciapiedi. In epoca jugoslava il parapetto metallico venne sostituito con uno diverso dall'originale del 1904.

Appena giunti sull'altra sponda del fiume, troviamo un edificio dalla tipica architettura bosniaca di epoca ottomana, che viene chiamato "Inat Kuća", ovvero la "casa della sfida".
Mentre più sopra illustravo il palazzo del municipio, ho citato anche la cifra che le autorità asburgiche spesero per la sua costruzione. Quella cifra comprendeva anche il costo della demolizione di due piccole locande ed una casa, le quali si trovavano dove era stato deciso di costruire il municipio. Il vecchio proprietario della casa, il sig. Benderija, si rifiutò di venderla, nonostante gli fosse stata offerta una cifra più che adeguata come compenso. Alla fine le autorità riuscirono a convincerlo, ma solo dopo averlo pagato con monete d'oro e la promessa che la sua casa verrà smontata e ricostruita pezzo per pezzo dall'altra parte del fiume, e così, mentre da una lato del fiume si iniziò la costruzione del municipio, dall'altro lato si ricostruì la casa del signor Benderija. Per cui oggi siamo in grado di vedere questa casa, e anche di entrarci, visto che ospita un ristorante tipico, molto accogliente, che, in particolare al piano superiore, porta veramente indietro nel tempo. Vengono serviti piatti tradizionali bosniaci, mentre si suona musica tradizionale.

La casa, come si presenta oggi, ai piedi del quartiere collinare di Alifakovac
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Una sua vista notturna:
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Una vista dal ristorante verso il ponte ed il municipio:
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Un mix di immagini dell'interno:
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Messaggio da babatriestina »

La stai presentando così bella, che mi sa che se Francesco Ferdinando ti leggesse, direbbe : Che bella, sta Sarajevo!! mi vien quasi voglia di tornarci! :-D :-D :-D
aspetto anche, per la parte storica, che ci metta, se ne hai la possibilità, il percorso fatale di Francesco Ferdinando.

E due domande:
1 perchè all'epoca della prima guerra mondiale tutti scrivevano Serajevo con la e invece di Sarajevo con la a ?
2 a proposito del caffè turco: si chiede un caffè turco? o semplicemente un caffè? o un caffè bosniaco? perchè provate a chiedere in Grecia o in Serbia un "caffè turco" :lol: :lol: :lol:


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Messaggio da 1382-1918 »

Chi lo sa, magari se non ci fosse stato l'attentato l'avrebbe detto! Affronterò l'argomento attentato a Francesco Ferdinando quando parlerò del piccolo museo dedicato a ciò, che esiste da qualche anno sul luogo dell'attentato.

Le risposte alle tue domande:

1. E' vero che scrivevano Serajevo, non so però il motivo certo, ma mi verrebbe di dire con sufficiente sicurezza che si usava il termine più simile al suo significato in italiano (serraglio) invece che la sua grafia serbo-croata con la "a". In tedesco però ad esempio usavano anche la "w" invece della "v", ma più spesso con la "a". Mentre in italiano si usava quasi esclusivamente con la "e". Addirittura su qualche enciclopedia dell'epoca ho trovato riportato il nome della città in italiano nella forma "Seraglio". Naturalmente qualcosa di arcaico, un po' come, ad esempio, la forma italiana arcaica "Clanfurto", per Klagenfurt, o, similmente ma non arcaica, la forma Nuova York invece di New York.

2. In genere basta chiedere semplicemente un caffè, ed arriverà alla turca. Ma dipende in che locale ci si trova. Negli alberghi per stranieri o nei club alla moda per giovani, bisogna specificare. Si può chiamarlo turco, nessuno si arrabbia, a differenza di Greci e Serbi, ed i Serbi di Sarajevo, oltre che ad essere abituati ed a berlo anche loro, di solito non gestiscono caffetterie. Usuale che venga chiamato caffè bosniaco, anche perchè fatto con caffè prodotto in Bosnia (come questo in vendita su amazon! :wink: ), e perchè la procedura di preparazione varia leggermente.


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Messaggio da babatriestina »

adesso mi viene in mente una domanda ulteriore di linguistica: io uso in italiano l'aggettivo bosniaco, ma mi sembra di aver letto in giro anche bosgnacco, che però sul mio dizionario non c'è. C'è differenza? uno è più corretto dell'altro?


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Messaggio da 1382-1918 »

Sono due cose diverse.

Con bosniaco si intende un qualunque abitante della Bosnia, a prescindere dalla sua lingua o religione, mentre il bosgnacco è esclusivamente il bosniaco musulmano di lingua serbo-croata.
Per cui "bosniaco" denota un'appartenenza geografica, mentre "bosgnacco" un'appartenenza nazionale.
Per "bosniaco" esiste anche la vecchia forma italiana di "bosnese", che suona simile a come si definisce oggi in italiano un abitante dell'Erzegovina, cioè "erzegovese". E a questo proposito in collegamento al caffè di cui parlavamo sopra, mi viene ora in mente che all' Esposizione Universale del 1882 tenutasi a Trieste, aveva partecipato con un piccolo padiglione anche il cosiddetto "Caffè Bosnese". :wink:

Aggiungo che un bosniaco cattolico si definisce "croato", un bosniaco ortodosso si definisce "serbo", ed un bosniaco musulmano si definisce "bosgnacco". Lo stesso vale anche se sono dell'Erzegovina o da regioni esterne alla Bosnia-Erzegovina, come la Serbia, il Montenegro, ed in particolare il Sangiaccato, del quale approfitterò per fare un piccolo accenno subito qui sotto.
Curioso però come ad esempio un ortodosso in Montenegro non sia "serbo", bensì "montenegrino", mentre in Croazia è "serbo" e non "croato". Un cattolico in Serbia è "croato" e non "serbo cattolico", mentre in Croazia un ortodosso è "serbo" e non "croato ortodosso".

In generale quindi si può dire che viene definito "bosgnacco" un qualunque slavo meridionale di lingua serbo-croata e religione musulmana, indifferentemente se sia anche bosniaco o meno.

Nei censimenti asburgici venivano chieste la lingua e la religione, per cui il termine "bosgnacco" non figurava ufficialmente, pur venendo usato. Inoltre in epoca asburgica si tentò di creare un'identità bosniaca comune a tutti i suoi abitanti, a prescindere dalla religione, per cui si preferiva parlare di bosniaci musulmani, bosniaci cattolici e bosniaci ortodossi.
Nei censimenti jugoslavi veniva chiesta la nazionalità, ma prima del censimento del 1971 i bosgnacchi dovevano dichiararsi o serbi o croati, mentre dopo il 1971 è stata aggiunta la voce "musulmano di nazionalità". Con l'indipendenza della Bosnia-Erzegovina il termine "bosgnacco" ha raggiunto ufficialità anche nelle rilevazioni statistiche.

In lingua serbo-croata, bosniaco si dice "Bosanac" (plurale "Bosanci"), mentre bosgnacco si dice "Bošnjak" (plurale "Bošnjaci").
In tedesco si usa "Bosnier" per indicare i bosniaci e "Bosniaken" per indicare i bosgnacchi. Esiste anche una marcia di Eduard Wagnes del 1895, usata dall'esercito asburgico, che si intitola "Die Bosniaken kommen".

Un'ultimo appunto sulla lingua parlata in Bosnia-Erzegovina. Qualunque cosa si senta dire in giro, chi studia queste problematiche è d'accordo sul fatto che la lingua è unica ed è la serbo-croata. Da quando la Jugoslavia si è frantumata però ogni Stato ha dato il suo nome a questa lingua. Per cui in Serbia si parla il serbo, in Croazia il croato ed in Bosnia il bosniaco, ma lo sanno anche i parlanti stessi di queste lingue, che la lingua in realtà è unica e non esiste il minimo problema di comprensione reciproca.

Nel gruppo delle lingue slave il serbo-croato è, assieme allo sloveno, una delle due lingue definite sud-occidentali. Si divide a sua volta nei gruppi dialettali Čakavo, Kajkavo e štokavo.
Ed a sua volta lo štokavo si divide in ikavo, ekavo e jekavo.
Nella carta allegata si può vedere e capire meglio la situazione.
Sottolineo, prima che qualcuno comprenda erroneamente, che la carta qui sotto riportata non è una carta linguistica generica, ma è una carta che riguarda solamente i dialetti dell'area dove si parla il serbo-croato, e naturalmente ciò non esclude che in queste aree si parlino anche altre lingue.

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Si vede anche come il dialetto parlato di gran lunga di più degli altri sia lo štokavo, e le sue varianti ben poco hanno a che fare con i confini degli Stati esistenti, per cui le lingue serba, croata, bosniaca e montenegrina non esistono come lingue a sè stanti, ma vengono accettate come tali in quanto nei singoli Stati quello è il nome ufficiale della lingua. Oltre alle naturali differenze dovute ai vari dialetti, ci sono però differenze che riguardano il diverso uso di internazionalismi, parole storiche o legate a tradizioni religiose e la grafia (cirillica per gli ortodossi, latina per cattolici e musulmani).

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Non avevo intenzione di farla così lunga ma credo sia comunque utile inquadrare un pochino le cose. Solo brevemente alcune informazioni sulla regione del Sangiaccato (Sandžak) di Novi Pazar in quanto legata storicamente alla Bosnia-Erzegovina e c'entra con i bosgnacchi. :wink:
Come saprete la Bosnia-Erzegovina è stata occupata dall'Austria-Ungheria nel 1878 in seguito ad un mandato deciso dal Congresso di Berlino. Il medesimo mandato però autorizzava l'Austria-Ungheria ad occupare nel 1879 anche il territorio ottomano del Sangiaccato. Questo territorio rimase in piena sovranità ottomana, ma vi si venne a creare qualcosa che forse non era mai successo prima, cioè un'amministrazione congiunta asburgico-ottomana.
Nel 1908 la Bosnia-Erzegovina venne ufficialmente annessa all'Austria-Ungheria; quest'ultima si ritirò dal Sangiaccato l'anno dopo.
Nel 1912 però, dopo la prima guerra balcanica, questa regione venne occupata e annessa da Serbia e Montenegro, in maniera che questi ultimi vennero a confinare tra loro per la prima volta.
Oggi la regione si trova sotto due diverse sovranità (serba e montenegrina), e la sua popolazione è costituita al 45% da bosgnacchi, al 45% da serbi, mentre il rimanente 10% è costituito da albanesi e altri.
I bosgnacchi del Sangiaccato costituiscono la maggioranza (tra il 75 ed il 95%) nei comuni di Novi Pazar, Tutin e Rožaje.

Qui sotto la situazione politica tra il 1878 ed il 1912:
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Qui sotto l'attuale ripartizione del Sangiaccato tra Serbia e Montenegro:
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