Dallo Statuto di Trieste del 1550

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rofizal
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Dallo Statuto di Trieste del 1550

Messaggio da rofizal »

Pol sembrar noioso legerse uno statuto... e poi de quel epoca! :wink:
Ma qualcosa de interesante se ricava sempre, se no altro vien fora la vita de quel tempo e l'importanza de alcune figure (cariche) publiche. Per esempio el Fonticaro, che se ocupava de biada e farina, che per quel epoca iera sai importanti. E poi i Giudici, el Capitanio, el Vicario, ecc.

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Statuto del 1550
che durò in esecuzione fino al 1812.


Del Fonticaro del Comune. Rubrica 8.

Il Fontico è chiamato Granare, perché in quello si serba ogni sorta di biade e farine comprate con il danaro pubblico; colui, che è preposto a questo maneggio, si chiama Fonticaro.

Di cui l'elezione fassi l'istesso giorno, e nell'istesso Consiglio, che si crea il general Procuratore, ed in questa maniera: si faccino sei bollettini, in ogn'uno de' quali sia scritto: Elector Fonticarii Communis : E chiunque ne caverà a sorte uno di questi, debba subito elegger chi con giuramento stimerà il più atto a tal carico, qual però eccedi l'età d'anni venticinque, e sia commodo di facoltà. Li sei eletti siano ballottati, e colui, che averà più voci, o balle, s'intendi esser dichiarato e creato Fonticaro del Comune di Trieste.

Non si ricusi quest'ufficio, sotto pena di lire venticinque di piccoli, la quale l'eletto ancora dopo averla pagata sia astretto a ricevere tal carico.

Incominci quest'ufficio, e finisca quando comincia, e finisca l'ufficio delli tre Giudici della Città: ed ogn'uno sia da quello vacante per un anno.

Assicuri il Fonticaro li Giudici della Città con fidejussori, o sicurtà idonee, di rendere leal conto circa l'amministrazione delli danari, e della roba del Fontico e di pagare quanto restasse debitore.

Giurerà solennemente il Fonticaro al Capitanio, ovvero al suo Luogotenente, ed alli Giudici della Città, di voler far diligentemente, e giustamente l'ufficio suo, massimamente secondo queste Leggi.

Si faccino consegnare i Giudici, ed i Provvisori della Città tutti li danari, biade, e farine del Fontico, la quantità tutta delle quali si noti, e descriva da uno de' Cancellieri di Palazzo, cioè da quello, che dal Conseglio sarà eletto. Sia tenuto di ritrar con ogni diligenza, e riscuoter tutti li danari, e robe appartenenti al Fontico.

Non possa absentarsi dalla Città per più d'un giorno senza il consentimento delli Giudici della Città, sotto pena di lire cinque di piccoli.

Nessuno possa serbar biada, o farina nel Fontico, ovvero Granaro che si chiama Stario, sotto pena della perdita della biada, o farina, ed in questo caso si creda all'accusatore con un Testimonio, e sia tenuto secreto, e guadagni la terza parte della pena.

Il salario del Fonticaro sia di lire quaranta.

Non possa il Fonticaro imprestar ad alcuno biade, farina, o danari di ragione del Fontico, né con quelli far mercanzia, né in altro modo negoziare per sé, o per altri.

Non compri formento, o farina senza licenza de' Giudici, o della maggior parte di essi. Non venda formento, o farina ad altro prezzo che a quello che sarà dalli Giudici della Città limitato.

Sia tenuto però sopra il tutto vender biade, e farine, quanto per provisione del Castello sarà bisogno.

Non misuri, né pesi formento, o farina, che compri, o venda, ma procuri che ciò sia fatto dal Daciaro della pesa.

Qual Daciaro in un libro destinato a questo effetto noterà il giorno, li nomi, e cognomi del venditore e compratore, e così parimenti il prezzo, e la quantità della roba comprata, ovvero venduta.

Non porterà dentro il Fontico il Fonticaro, né caverà fuori per sé, né per altra persona formento o farina, che prima dal suddetto Daciaro non sia pesata o misurata, e scritta nel libro, come di sopra si è detto. Che se contravverrà ad alcuna delle predette cose, sia per ogni volta punito con pena di lire cinquanta, e possa ogn' uno accusarlo, e gli sia creduto con un idoneo Testimonio, e guadagni la metà della pena.

Fra i prossimi quindeci giorni, dopo che sarà uscita d'ufficio, sia tenuto far, e conchiuder i conti della sua amministrazione, e quello che restasse debitore con tutti i danari, e robe spettanti al Fontico consegnare al nuovo Fonticaro in presenza del Capitanio, ovvero del suo Luogotenente, l'uno dei quali debba parimente nel giorno prefisso venire, ed a' conti esser presente, e così anco del Vicario, delli Giudici della Città, e delli Provvisori, e se ciò non facesse subito, incorra ipso jure in pena di soldi cinque per lira, e debbano il Capitanio, o suo Luogotenente, il Vicario, li Giudici, e li Provvisori farlo carcerar nella prigione posta sotto le scale del Palazzo verso il Porto; non rilasciandolo se prima intieramente non averà così il capitale, che la pena pagato; comandando in oltre a' suoi fidejussori che vadino in Palazzo del Comune, né di là sotto pena di carcere si partino, se prima non sieno pagate tutte le predette cose: e nulladimeno mandino intanto il Cavalliero del Capitanio con li Cavallieri del Comune, e li Ufficiali, a levar dalle case, Magazzeni o Botteghe di esso Fonticaro tutti i beni mobili, quali senza altra stima s'incantino due giorni, ed il terzo si deliberino al più offerente.

Intendendosi anco esso Fonticaro debitore ipso jure privato per cinque anni prossimi d'ogni Conseglio ed ufficio di questa Città.

E se con la vendita de' beni mobili non sarà pagato il capitale, ed anco la pena di soldi cinque per lira, allora il nuovo Fonticaro debba dar in nota appresso uno de' Cancellieri di Palazzo quel bene stabile del vecchio Fonticaro, che più giudicherà vendibile, e questo, fattone la stima dai pubblici Stimatori, s'incanti due giorni, ed il terzo si vendi, e si deliberi al più offerente, il che possa tante volte fare, fin che il debito con la pena predetta sarà intieramente pagato: ma se con la vendita delli mobili, e delli stabili del Fonticaro debitore non si sarà potuto pagare il Capitale, né la pena, proceda allora il novo Fonticaro alla vendita delli beni delli Fidejussori, o sicurtà con l'ordine già detto.

Si osservi l'istesso se li beni del Fonticaro non averanno compratore.

Se il Vicario, li Giudici, li Provvisori, ed il nuovo Fonticaro non adempiranno pontualmente le cose predette, siano puniti ogn'uno di essi con la pena di lire cinquanta.

Nei conti poi del Fontico, che si faranno, non si possa bonificar al Fonticaro alcun calo di biada, ovvero farina.

Né si escludino questi conti senza il libro del Daciaro alla pesa delle biade e farine; nel quale dicevamo di sopra doversi descrivere tutte le biade e farine da comprarsi, e vendersi dal Fonticaro, e si osservi diligentemente se le partite del Fonticaro si riscontrano con tal libro: perché a quello più che alle partite del Fonticaro, si presta fede.

Finalmente perché molti, quali per l'addietro sono stati Fonticari, vanno debitori al Fontico in gran summa di dinari, qual sin'ora non s'ha potuto riscuotere, vogliamo onninamente, che il Vicario, li Giudici e Provvisori, quanto prima carcerar faccino questi tali, e li loro fidejussori nelle prigioni del Comune, né d'indi li rilascino, se non fatto l'integral pagamento: facendo oltre di ciò vendere intanto li loro beni mobili e stabili, come appresso si è detto: sotto pena, se li suddetti Magistrati, ovvero Ufficiali contrafaranno, di esser multati ogn' uno di loro in lire cinquanta.

L'istesso anco si osservi contro li debitori d'essi Fonticari, facendo essi istanza per la carcerazione di quelli.


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rofizal
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Messaggio da rofizal »

No go capido se la roba intersi o meno. :wink:
Mi comunque continuo.

Inatnto xe da notar che el termine "Fonticaro" no se lo trova nè in italian nè in triestin, mentre altre parole che sguirà, come "Pancogola" le trovemo sui dizionari triestini.

Sul sito Trieste Storia de G.L., che go apena segnalado in altro topic, se trova una spiegazion de alcune cariche triestine che pol eser utile (riporto quele che ne interesa al momento):

Cancellieri = segretari del Maggior Consiglio, trascrivevano gli atti giudiziari

Capitano = massima carica cittadina dopo il 1382, non è mai (quasi) un triestino, viene deciso dall’imperatore sovrintende all'operato dei giudici rettori, del Consiglio e sull'applicazione delle leggi statutarie della città, è spesso in conflitto con i patrizi cittadini sull'uso improprio delle leggi, spesso da loro interpretate a seconda dei loro interessi privati, presiede anche al Banco del Maleficio nelle cause penali di un certo rilievo. Su questa figura istituzionale ci sarebbe molto da dire, tra loro ve ne furono alcuni che non erano quasi mai presenti in città, altri che visto l'andazzo cittadino ne aprofittarono facendosi donare ori e preziosi, ma vi furono anche quelli che combatterono valorosamente sul campo con le armi per la difesa della città,e quelli che si opposero fermamente ad una giustizia discutibile a buon pro dei pochi e ricchi, ma i nobili tergestini dovevano avere davvero buone "maniglie" alla Corte, tanto che spesso costoro venivano sostituiti anzitempo.

Fonticaro = era l'amministratore dei beni del fondo (frumenti, farine ecc...) in carica per 4 mesi, alla fine presentava rendiconto e pagava gli eventuali debiti, in caso di mancato pagamento, veniva escluso dalle cariche per 10 anni e al pagamento del dovuto oltre alla mora

Giudici Rettori = erano 3, venivano eletti ogni 4 mesi dal Consiglio Maggiore, governavano la città, gestivano gli affari politici ed economici della città, le cause fiscali e quelle pie, tutelavano l'osservanza delle leggi degli Statuti (sempre patrizi cittadini), dovevano avere più di 30 anni, non dovevano essere della stessa famiglia (ma parenti sì), avranno il titolo di collonnelli della milizia e delle cernidi della città e del territorio

Podestà = antica carica, mai cittadina, veniva scelto dal Consiglio al di fuori della città, durava 6 mesi, paragonabile al moderno sindaco, durante le varie occupazioni veneziane, la carica era decisa dal Doge che poteva variare il tempo a suo piacimento. La carica con questo nome tornerà in auge attorno al 1800.

Procuratore generale = tesoriere del comune, in carica per 4 mesi, riscuote le entrate pubbliche (dazi e affitti dalla città e dai villici), paga i salari e le spese del comune, alla fine del suo mandato presenta rendiconto al Capitano e ai Giudici rettori, deve pagare gli eventuali debiti o viene privato delle cariche per 5 anni e al pagamento del dovuto con la mora.

Suppano = dallo slavo "Zupan", era il capo villaggio, ovvero il sindaco, e rispondeva alle cariche della città

Vicario = sarà il rappresentante del Podestà prima e del Capitano poi, in atti pubblici, assumerà anche la carica di Luogotenente doveva essere forestiero e dottore in legge – non confondere col Vicario del vescovo, altra autorità.

Vicecapitano e Logotenente = carica che appare appena attorno al 1680 (+ o -) ed è imposta dall'imp.re, è sempre un forestiero, prima usavasi il Consigliere più anziano.

Quasi tuti fa riferimento ai Statuti di Trieste del 1350.

Ah.. el sito citado dà el permeso de riprender le informazioni riportade, basta citar la fonte.


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Messaggio da rofizal »

Riprendendo invece col Statuto del 1550:


Delle Donne, che fanno pane, dette Pancogole. Rubrica 29.

Se alcuna donna vorrà far l'esercizio del far, e vender pane, debba nel termine di otto giorni dopo che i novi giudici saranno entrati in Magistrato, presentarsi a loro tutti, o alla maggior parte di essi, ed a quelli il suo desiderio esporre, e farlo notar da uno dei Cancellieri di Palazzo, e giurare in mano di uno de' Giudici di voler tal arte con ogni diligenza, e senza fraude alcuna esercitare; chi questo farà s'intenda esser Pancogola per i quattro mesi prossimi; e per tal tempo non possa rifiutar quest'arte, sotto pena di lire dieci; la qual anco che pagata fusse, possa nondimeno con altra pena esser dalli Giudici astretta a continuar l'arte in detto tempo di quattro mesi.

Ogn'una di queste sia tenuta dar sicurtà a tutti, o alla maggior parte de' Giudici di pagar non tanto il Formento, che piglierà dal Fontico del Comune, ma anco ogni pena, a che fusse condannata.

Le quali debbano ancora far e vender pane che ogn'uno sia del peso assignatoli dalli Provveditori, ovvero Cavalieri del Comune; contrafacendo poi alcuna, sia punita in lire tre di piccoli, e nella perdita di tutto quel pane, che non si trovasse del giusto peso, qual si distribuisca fra i poveri carcerati bisognosi essendovi, se non fra i poveri dell'Ospitale di Santo Giusto.

Vendino il pane nel foro, cioè nel luoco, che comunemente viene chiamato Panattaria, ed ivi del continuo per tutto il giorno vi si trovi alcuna che ne abbia da vendere. E trovandosi tal' or a mancare, sia ogn'una delle dette Pancogole punita in lire cinque di piccoli.

Se alcuna averà pane, che sia mal cotto, sia in facoltà di tutti, o della maggior parte dei Giudici di levarglielo, e mandarlo, come si è detto, alli carcerati, ovvero alli poveri di Cristo.

In persona, né per mezzo altrui non comprino formento, o farina altrove che nel Fontico del Comune, sotto pena di lire dieci di piccoli.

E possa la Donna in cose appartenenti a questo maneggio efficacemente obbligarsi anco senza il consenso del Marito, e d'altri parenti: anzi il Marito stesso s'intendi ipso jure suo fidejussore, non obstanti statuti, o leggi alcune in contrario.

Nessun abitatore della Città, sia maschio, o femmina, ardisca in essa Città vender, o far vendere pane, sotto pena di soldi dieci per ogni pane eccettuate le Pancogole predette, e quelle persone che cuocono il pane, e volgarmente sono dette Fornare, le quali possano impune vender quel pane, che hanno così con la fatica del cuocere guadagnato: le persone poi che tengono il domicilio fuori della Città, cioè nel Territorio, o altrove, possano senza esser punite portar dentro la Città del pane, e venderlo.


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[S. Quasimodo]

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