Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

dela Tergeste medieval fin ala proclamazion del portofranco nel Settecento
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PaoloPeresutti
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Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da PaoloPeresutti »

Una cosa è certa: la lingua parlata nella città di Trieste fino a tutto il Settecento, cioè fino al grande mutamento che vedrà un borgo di poche migliaia di abitanti, prevalentemente artigiani e pescatori, guidato e gestito da una “lobby” di potere costituita da una vecchia e consunta casta nobiliare di poche famiglie di proprietari terrieri, trasformarsi in una delle città più grandi, popolate, ricche e colte dell'Impero e – quindi – d'Europa, doveva essere tutto tranne che bella da sentire. E non per nulla il “Sommo Poeta” ebbe a scrivere, parlando della gente che abitava da queste parti, che sono quelli che “....il ze fastu crudeliter eruptant....”. L'avverbio “crudamente” dà proprio bene l'idea della scontrosità che caratterizza i modi della gente giuliana pure oggi e che fece dire all'altro poeta, molti anni più tardi, “....occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore....”.
Ma ciò che più colpisce nel giudizio che Dante esprime nel “De vulgari eloquentia” è quel verbo.... eruptant. E' un “buttar fuori con forza, con violenza, più che un parlare. Si deve credere che lui ne avesse un'idea abbastanza precisa, visto che fra le “...altrui scale...” che si trovò a salire e scendere dopo la cacciata dalla città del giglio, ci furono, e per un periodo neanche tanto breve, anche quelle della “dama bianca” dei Duinati, a un tiro di schioppo da Trieste.
In realtà, almeno stando a ciò che racconta il Mainati, ancora fino a tutta la prima metà del secolo diciannovesimo, si poteva ascoltare per le strade della città vecchia, piuttosto che nei cantieri o nelle taverne, la parlata tergestina. E del resto non è difficile da immaginare che fosse così: in fondo per molti anni, almeno fino alla rivoluzione urbanistica del 1938 che portò alla scomparsa del rione di Rena, della via di Riborgo e di parte del Ghetto, sono coesistite due Trieste. Lo fa notare bene Giulio Verne quando, all'inizio della sua “Congiura di Trieste” descrive come, chi arrivasse in città dal mare, si trovasse di fronte una città doppia. La vecchia Trieste, dalle case di pietra l'una sull'altra e dalle strette calli brulicanti di gente povera, fanciulli scalzi vestiti di stracci, scure botteghe artigiane, miseria, dalla parte del colle, giù fino al porto vecchio, alla Sachèta. E dall'altra parte del Corso la Trieste nuova, la città ricca degli imprenditori e commercianti, in larga parte provenienti da una Venezia ormai economicamente satura e priva di opportunità, ma anche dalla Grecia, dalla Russia, dalla Serbia, ecc. La Trieste dei bei negozi, della gente vestita bene, delle case nuove in continuo aumento, del Neoclassico. Da una parte il passato, destinato a tramontare, piano piano. Dall'altra parte il fututo, il progresso. Il passato si esprimeva nella lingua antica, eridità di un passato latino, comune con tutto il territorio circostante, dal Veneto all'Istria. Dall'altra il futuro, la gente moderna, gli intellettuali dei circoli e dei giornali, che parlano il veneziano, anche se già un po' modificato, o il toscano.
Sia come sia, bella non doveva essere, e musicale nemmeno. Ciò che è certo è che si trattava di un dialetto friulaneggiante, almeno a dar fede al Lorenzutti, quando la saluta con le parole “....Trieste, vecje furlane...”. Friulano, in realtà, non era, ammesso e non concesso che si possa parlare di FriulanO. Perchè sarebbe più corretto parlare di FriulanI, visto che nella regione all'estremo nord-est del Bel Paese esistono mille varietà diverse della lingua ladina. Fai due o tre chilometri, passi da un paese all'altro, e ti trovi di fronte una lingua diversa. Forse poteva assomigliare un po' al Friulano della “bassa”, o a un certo “bisiacco”, il dialetto della provincia di Gorizia. Almeno così farebbero credere gli studi dello scrittore e pittore contemporaneo Ivan Crico, che all'idioma scomparso dedica una raccolta di poesie dal titolo “De arzent zù” (L'argento andato), che gli è valso il permio Percoto. La lingua che propone lui è uno strano miscuglio di friulano, bisiacco e quanto si può oggi conoscere dell'antico tergestino. Sì, perchè fra tutte le lingue morte del mondo, mai lingua morta fu più morta di questa. Non solo oggi nessuno la parla più, ma non ne è quasi rimasta traccia nei documenti antichi, che si vergavano in latino, in tedesco o in toscano, anche da parte della autorità cittadine e di quelle giudiziarie. Né esiste una letteratura originale dell'epoca che va dalla fine dell'età classica al diciannovesimo secolo, in questa lingua. Fatta eccezione per alcune testimonianze a processi che, come si sa, venivano trascritte così come esposte, di alcuni frammenti di scritti raccolti dal Doria e dei dialoghi, appunto, riportati dal Mainati – ma la cui veridicità è a tutt'oggi controversa – non c'è nulla. Ragione di più per dedurne che fosse un qualcosa di inascoltabile, qualcosa di cui gli stessi abitanti della città alabardata, che pure la parlavano, non ne andassero affatto fieri.
Eppure l'eredità che l'antico idioma ha lasciato nel dialetto di oggi è fortissima. Il dialetto di Trieste, si sa, è veneziano, ma veneziano corrotto. O, almeno, così sembrerebbe. E sorprende, ad una attenta analisi, scoprire come, in realtà, si tratti di un dialetto veneto assolutamente con peculiarità tutte sue, che del veneziano ha solo l'apparenza. Nella morfologia, più che nelle parole, che, pure, in larga parte, risentono di una radice friulana più che veneta. E lo stesso dicasi per la toponomastica cittadina. Ma è la forma del discorso che ne tradisce l'origine. Dall'uso del verbo essere in poi. Un veneto direbbe “..ti ti xe..”, un triestino dice “..ti te son..”. Che è nel modo friulano di dire “..tu tu siis..”, e nel tergestino “..tu tu suus..” E, del resto, la parola forse più caratterizzante il dialetto della città di San Giusto, il termine con cui i triestini chiamano i ragazzi, “mulo” e “mula”, che non ha niente a che vedere con il nobile animale stretto parente dell'asino – se non nella capacità di apprendere degli scolari triestini di oggi - che l'origine basso-friulana più si tradisce. “Mulo” e “mula” non sono altro, infatti, che le contrazioni dei termini “màmul” o “màmulo” e “màmula”, ancora oggi in uso, con egual significato, nella città di Grado. Il che potrebbe far pensare ad una lingua già diffusa a livello popolare in età tardo-classica, forse, nella zona di influenza di Aquileia. E il termine “màmul” discende proprio dal latino classico, dove “mammulus” è il lattante, esteso poi, più recentemente, in maniera scherzosa, al ragazzo.

Certo, nella Trieste moderna, viva, colta e cosmopolita dell'Ottocento, seconda città più grande dell'Impero più esteso d'Europa dopo Vienna, uno dei porti più grandi e moderni d'Europa, unico a offrire un servizio di linea addirittura con NewYork, nella città di Svevo e di Joyce, prima al mondo ad applicare gli studi clinici di Freud; e ancora nella città dei tanti quotidiani e pubblicazioni, sede di un teatro così importante e con un pubblico così attento da essere scelta per ben due volte per mandare in “prima” assoluta i suoi capolavori da un certo Giuseppe Verdi; nella città della Società di Minerva e di tantissimi altri circoli scientifici e culturali..... in una realtà come questa, quale Trieste fu nel secolo dei Romantici, non c'era più posto per il piccolo mondo antico arrampicato sul colle, fatto di vecchie tradizioni, vecchie abitudini, vecchia mentalità..... vecchia la gente nel modo di vivere e di ragionare, vecchia la loro lingua. Per i triestini “moderni”, la gente della città vecchia doveva apparire fuori dal tempo e dalla realtà, maschere di un passato ingombrante e grottesco. Verso la metà del secolo appare, su uno dei tanti giornali pubblicati nel fermento culturale triestino, una storiella in versi che ci dà un'idea chiara della situazione. Un gruppo di giovani intellettuali “rampanti” della Trieste moderna incontra a teatro un nobile triestino. Si tratta, probabilmente, di Giacomo Giovanni dei Giuliani, uno degli ultimi esponenti della storica nobiltà triestina. La “casada” dei Giuliani, una delle tredici famiglie di sangue blu che avevano fatto la storia della Trieste antica, e che si estinguerà di lì a poco. I giovanotti invitano, per scherno, il vecchio aristocratico ad un ricevimento dopo lo spettacolo. Egli rifiuta l'invito esprimendosi come può.
Giacomo Giovannìn, la maggior pigna
della città, scusossi poi col dire:
“...Frari, mi hai da zì, ch'hai hom in vigna,
e coi non da tornà, non puess vegnìre...”
Al detto popolar – conclude la poesiola – ciascun sogghigna.


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babatriestina
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da babatriestina »

Sta storia del Tergestino la leggo spesso, ma quando poi chiedo Bene, mi portate esempi? finora non mi è stato citato che il libro letterario) dei Dialoghi del Mainati. Solo quello. Ho letto parecchio i testi riportati da Kandler nel Codice dipolmatico istriano, ogni tanti ci sono passi riportati in volgare e tutto leggo meno che lingua friulaneggiante o ladina. Qualcuno mi ha detto che dipende perchè lo scrivano era letterato e riportava in lingua letteraria..
Ho ben presente il passo iniziale del Mathias Sandorf su Trieste e la descrizione è assai precisa, col Corso che divide le due città: ecco a proposito di ti xe e te son per la mia esperienza di triestina che ha convissuto con parenti fino a 4 generazioni e li ha sentiti esprimersi, direi che le due espressioni non sono solo tipiche di veneti e triestini, ma di rioni diversi: te son andava bene in Rena vecchia e poi a san Giacomo, a Galauca; ma nella città nuova presso il ceto commerciale o la borghesia emergente si usava il "ti xe" e il "te son" veniva disapprovato . Con la ripetizione del ti "ti ti xe" è più istrianeggiante..


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sono piccolo ma crescero
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da sono piccolo ma crescero »

Non intendo intervenire su triestino e tergestino. Non ho alcuna competenza e conoscenza a riguardo. Vorrei, però, dire due cose sull'intervento di PaoloPeresutti.
  • anch'io, da profano vedevo abbastanza logico far derivare "mulo" da "mamulo-mamolo" più che da un modo per dare del "bastardo" ai ragazzi. Mi la lasciato, di conseguenza, sconcertato la stroncatura netta, ma non motivata in quella sede, che fa di questa possibile etimologia il Doria nella prima edizione del suo dizionario. E' uno dei motivi per cui sono perplesso davanti a molte etimologie nelle quali mi sembra di cogliere quasi scelte ideologice. Ho il sospetto che la formazione delle parole sia un fenomeno molto complesso e che molte concause convergano a far sorgere e stabilizzare l'uso di una parola. Mi sembra, da profano, che la catena di derivazioni che propongono gli etimologisti sia una visione semplicistica che andrebbe sostituita con una relazione molti ad uno.
  • per quanto riguarda la coniugazione del verbo essere io penso di usare sia ti te xe che ti te son. Vorrei ricordare però, come documentazione, che il Kosovitz, nel suo vocabolario del 1889 riporta, per la coniugazione del verbo essere "ti ti xe" o "ti te xe", ma non la forma "ti te son". Ad ogni buon conto nella versione pdf del vocabolario, dove abbiamo messo anche la coniugazione dei verbi presa dal Kosovitz, ho aggiunto anche "ti te son. (ma non l'ho ancora caricata sul server; lo farò nei prossimi giorni)


Allora s’accorse che le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi; e prese un po’ più d’abitudine d’ascoltar di dentro le sue, prima di proferirle. (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXVIII)
PaoloPeresutti
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da PaoloPeresutti »

grazie per il commento.
condivido sul sospetto di "scelte ideologiche"... l'ho avuto spesso anch'io.
tuttavia bisogna dire che è proprio Mario Doria a sostenere, nel suo "Sulle origini del Dialetto Triestino" pubblicato nel periodico "Pagine Istriane" (...cossa c'entra?) n.° 23 dell'ottobre 1955, a sostenere "....permangono (nel dialetto) numerosi relitti del suo non molto lontano passato ladino....". Il Doria fa un lungo elenco di "residui" del passato ladino nel dialetto, dalle caratteristiche fonetiche di molte parole, ai toponimi, all'apocope di parole che, invece, nei dialetti veneti conservano la finale, ai suffissi diminutivi, ecc. ecc., per concludere "....notevole invece una reliquia ladina nella coniugazione del presente del verbo essere...." anche se, ammette, "....ambedue le forme ('ti te xe' e 'ti te son') hanno nel dialetto odierno la medesima vitalità...."


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babatriestina
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da babatriestina »

rimpiango di non aver mai studiato glottologia o simili, per cui è un argomento a me del tutto ignoto e non mi azzardo a fare ipotesi o commenti tecnici perchè temo di prendere granchi al riguardo.
Detto fra noi non ho ben capito che vantaggio ideologico ci sia a sostenere che la parlata locale fosse più vicina al friulano o al veneto, trattandosi entrambe di lingue o dialetto neolatini. Forse qualcuno che vuole sostenere la tesi di una Trieste friulana.. che però appartenne storicamente assai poco al Patriarcato.
Diciamo che è stata abbastanza grande la mia delusione quando,dopo aver letto di questo tergestino, scorrendo testi che dovevano riportare frasi triestine di epoca medievale, di friulano non ci trovai nulla.


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Piereto
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da Piereto »

A proposito del Doria che publica in "Pagine istriane", no podesi eser che nel 55 i fazeva finta de no conoserlo, e come nove volte su diese sucedi , se diventa celebri solo dopo morti.


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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da Piereto »

Da profano me par che la radice comune latina la esisti sempre. Ma dir che el vecio triestin el xe sta affine al furlan saria come sminuir l' indipendenza storica de Trieste riflessa ne la lingua. La parlata veneta xe sta adotada come una lingua de comodo e dir che Trieste xe veneta xe anche questo un sminuir la vocazione storica autonomista e indipendentista de Trieste. Se ga combatù tanto contro la Serenisima e ricordar ne la toponomastica un D'Alviano o un Cappello glorie che no xe locali xe anche questo un intervento ideologico. Va ben volerse tuti ben, ma le diferenze almeno una volta le xe esistide.


inge99
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da inge99 »

Il post di PaoloPeressutti è ben scritto e suggestivo ma contiene purtroppo numerose inesattezze. La più evidente è quella relativa al poemetto riportato alla fine, che non è di metà '800 (e non è stato pubblicato su un giornale di quel periodo) bensì risale alla fine del 1600, prima dell'inizio dell'espansione della città. Il suo ritrovamento è dovuto a Pietro Kandler che lo data al 1689 e scrive “In questo poema abbiamo un saggio del dialetto ferrarese, che il Quinto parlava, e del dialetto volgare triestino posto in bocca a patrizio che alle cure pubbliche anteponeva i campi, dei quali dirigeva la coltivazione.”. Fa parte di alcune note che Kandler ha apposto sulla propria copia dell'edizione del 1858 della "Storia del Consiglio dei Patrizi" che sono state pubblicate nella seconda edizione, uscita nel 1972 (da pag. 188 a pag 193). Tra l'altro è sbagliata anche la trascrizione, il testo corretto è:
Frari, mi hai da zi coi hom in vigna
E coi hom da tornà, nè pues vegnire

Il poemetto racconta la vicenda del "ratto delle veneziane", organizzato da alcuni nobili e notabili triestini a cui Giacomo Giovanni Giuliani si sottrae con la scusa di doversi occupare dei propri campi.
Kandler, che in precedenza si era dimostrato incredulo sull'esistenza del tergestino, scrive anche “Il porre in canzone un patrizio perché parlava il gergo plebeo, avverte ciò che per altre vie ci era noto, cioè che due dialetti si parlavano in Trieste: il plebeo che deve essere comune a Muggia secondo che abbiamo udito; ed il nobile, il quale era il veneto alzato fino a dignità di lingua parlata, non però di lingua scritta”.


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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da danilo43 »

Non ero al corrente che il "ratto delle spose veneziane fosse maturato nell'ambiente patrizio/notabile triestino. A Venezia si tramanda, infatti, che fosse opera dei pirati narentani. Eppure trovo riscontro nelle cronache del Filiasi: ...raccontasi che furtivamente una notte alcuni legni corsali, chi dice Narentani, chi Istriani, chi Triestini, ardirono penetrare nella laguna e accostarsi all'isola di Olivolo (l'odierno sestiere di Castello)...........
Il testo completo del Filiasi che riporta con dovizia di particolari il rapimento e la liberazione delle spose, avvenuta nel corso di un furioso scontro navale presso un porticciolo del lido di Caorle che da allora assunse il toponimo di "Porto delle Donzelle", è leggibile qui:
http://books.google.it/books?id=78159hH ... ne&f=false CAPO V pagg. 327 e segg.
La Festa delle Marie, istituita per celebrare l'avvenimento (epilogo di vecchie ruggini? :-D ) è ancor oggi una tradizionale festa veneziana.


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babatriestina
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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da babatriestina »

C'è un testo di Cannarella che racconta la storia e cita le fonti, l'avevo letto ma non ricordo i dati precisi, dovrei cercarlo


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Re: Il "Tergestino", Una lingua che non esiste più

Messaggio da inge99 »

Il poemetto è in buona parte finzione letteraria, vi riporto quello che scrive Kandler: "Registriamo alcune ottave di un poema burlesco scritto in sul finire del sedicesimo secolo, da un Patrizio, nel quale si pongono in azione alcuni dei Patrizi di allora. L'argomento sarebbe il ratto delle donzelle veneziane, imputato ai Triestini e che si dice avvenuto nel nono secolo; il poeta lo trasporta ai suoi tempi, e supponendo nate in Venezia alcune derisioni amorose di qualche gentildonna a Nobili triestini, questi volendosi vendicare, macchinassero la spedizione. Gli attori sono tutte persone vere, anche i Veneziani, e conservano nel poema il loro carattere e modi; la vita della città vi è ritratta. Quel ferrarese di nome Bonaventura Quinto Pistofoli era Giudice del Maleficio."


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