Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra
Inviato: dom 3 ott 2010, 0:48
Stavolta mi prendo una pausa, prima di proseguire con la storia dei Battaglioni neri.
Vorrei stavolta trascrivere parti di un Diario di un Triestino, Emilio Stanta. L’ho trovato ieri nel libro “Sui campi di Galizia”di Gianluigi Fait. Nel libro sono presenti saggi di vari autori, compreso questo, di Lucio Fabi, da dove riporto uno stralcio del Diario.
Emilio Stanta nacque nel 1897 a Trieste; nel marzo del 1915 marcò visita e raggiunse Marburg in Stiria, sede del 26° reggimento della milizia territoriale. In luglio fu trasferito sul fronte orientale a sud di Kolomyia, nel K.u.K.I.R. n°1. Fatto prigioniero nel settembre 1915, fu internato a Novij Zadov, in Ucraina, al centro, più tardi, di forti sconvolgimenti rivoluzionari. All’arrivo degli Austro –Tedeschi in territorio ucraino, Stanta decise di non presentarsi al comando di pertinenza e si mimetizzò tra la popolazione locale, riuscendo a rimpatriare nel 18, dopo la fine del conflitto. Il diario è stato scritto nel 1928 ed è composto di 294 pagine.
I ricordi di Stanta sono dolorosi e traumatici, e Stanta si pone diverse domande sull’inutilità della guerra e sulla finalità dell’esistenza.
Poco prima di esser fatto prigioniero in una boscaglia, egli descrive i luoghi Galiziani in un modo che mi ha colpito molto, dopo le crude descrizioni delle esperienze di battaglia sostenute dallo stesso e dopo aver letto nei diari quasi sempre di fango, freddo, neve, pidocchi, shrapnel, morte e paura.
“ I giorni che precedettero la partenza da quelle silvestri posizioni, trascorsero tranquilli e calmi da non sembrare più di essere davanti al nemico. Gli uccelli erano ritornati volando fra le fronde degli alberi, cinguettando senza spaventarsi della nostra presenza. Si risentiva il caratteristico rumore del picchio, contro i tronchi, che proveniva di là dal fiume. Le gazze, multicolori, svolazzavano chiamandosi da un posto all’altro, irrequiete. Fin’anche il bigio profittatore cuculo ritornò ad espandere il suo monotono canto, che si ripeteva con l’eco. Ciclamini e mughetti profumavano il bosco. Chi azzardava qualche languida aria slovacca, cantata sotto voce, continuando a pulirsi l’equipaggiamento, e chi sdraiato entro una macchia di sole se ne stava a torso nudo, fumandosi la pipa. In questo ambiente di pace riposavano i nostri nervi stanchi e ritornava la speranza di rivedere un giorno i nostri cari lontani."
RITORNARE A CASA IN TRENO
Ho trovato interessante questa narrazione del ritorno dal fronte galiziano nel 1918, anche perchè parla di rientri di Triestini .
La permanenza dei soldati del Litorale nella regione galiziana si protrasse, sino agli ultimi giorni di esistenza dell’Impero Asburgico. Anche dopo il trattato di Brest Litowsk, ben pochi soldati avrebbero potuto usufruire di licenze, perché sospetti di simpatie bolsceviche. I comandi Austriaci decisero di disperdere una parte del 97 ° reggimento nei territori ucraini di recente occupazione. Il ritorno dalla Galizia avvenne tra infinite vicissitudini. Per guadagnare i sovraffollati treni in partenza, i fanti a volte dovevano aprirsi un varco con la forza. Poi, nel corso del lungo viaggio di ritorno, furono obbligati a condurre lunghe estenuanti trattative con i vari comitati civili e militari sorti in quell’anno.
Ed ora volevo riportare un articolo tratto dal giornale “Il lavoratore”in data 15 novembre 1918, dove venne pubblicato sotto forma d’intervista il racconto del difficoltoso rientro del triestino Mario Bresci del 97°.
“Come attraversare il paese in fiamme?Si tenta di tutto, pur di rimpatriare. Ogni Nazione ha il suo comitato a tutela dei soldati che le appartengono: c’è un comitato tedesco, uno polacco, uno italiano. Con noi, ci sono circa 6000 prigionieri italiani. Si deve provvedere anche a loro, devono venire anche loro. Ma come si fa? Bisogna chiedere al Governo Ucraino il permesso di passare attraverso quel paese. Si chiede, si prega. Il permesso è concesso, a patto che non si portino armi. Il patto è accettato volentieri – le armi sono distrutte. Si può partire. Quelli che più hanno da viaggiare, partiranno per primi. Il governo Ucraino ha permesso di portare vestiario e viveri per quindici giorni. Il giorno della partenza, si manda un plotone a occupare la stazione, perché altri non riesca a impadronirsi dei carrozzoni. Finalmente si parte. Ma il viaggio non doveva essere tranquillo come si era sperato. Alla prima stazione, a Belc, sono perquisiti i carrozzoni. I rivoluzionari vogliono persuadersi che non ci sono armi nascoste sul treno. Ma quando il treno riparte, le bande armate ci sparano addosso. Tre soldati feriti, due sono morti. Sono due poveri giovanidel Tirolo. A Rawaruska si consegnano i cadaveri per la sepoltura. Continua il viaggio e continuano gli arresti e le perquisizioni. Una volta si viene fatti scendere e un sedicente soldato ucraino ordina il sequestro di viveri, armenti, cucine di guerra, sigarette. Si accetta tutto, pur di ripartire. Si parte a tutta velocità per Jaroslav. La stazione è occupata dai Polacchi. Non si deve temere nulla – sono sicuri. Si spediscono subito 400 uomini a occupare le stazioni e quattro treni corazzati a proteggere il passaggio dei trasporti. Le accoglienze che i polacchi e gli czechi fanno agli Italiani sono cordiali. In Boemia i soldati ricevono il rancio. Poi si riparte. Anche Vienna fa una buona accoglienza e anche qui si offre il rancio. Ormai si è fuori pericolo tra breve ognuno potrà riabbracciare i propri cari."
Io ho letto con un pò di angoscia questo tipo di rientro, pur avendone letti tanti, anche più pericolosi . Perciò ritorno volentieri alla lettura del diario nel bosco di Emilio Stanta, con la bella descrizione del paesaggio. Mi sono rimasti nel cuore quegli uccelli:il picchio, la gazza, il cuculo tra la boscaglia. Dovrei accompagnare quello che ho scritto con l'immagine di un treno che ritorna . Ma preferirei vedere l'immagine de un de quei useleti osservati da un uomo stanco nel bosco , se qualcuno degli esperti mi dà una mano. Altrimenti , se non potete, ci penserò io.
Ciao Mandi
Vorrei stavolta trascrivere parti di un Diario di un Triestino, Emilio Stanta. L’ho trovato ieri nel libro “Sui campi di Galizia”di Gianluigi Fait. Nel libro sono presenti saggi di vari autori, compreso questo, di Lucio Fabi, da dove riporto uno stralcio del Diario.
Emilio Stanta nacque nel 1897 a Trieste; nel marzo del 1915 marcò visita e raggiunse Marburg in Stiria, sede del 26° reggimento della milizia territoriale. In luglio fu trasferito sul fronte orientale a sud di Kolomyia, nel K.u.K.I.R. n°1. Fatto prigioniero nel settembre 1915, fu internato a Novij Zadov, in Ucraina, al centro, più tardi, di forti sconvolgimenti rivoluzionari. All’arrivo degli Austro –Tedeschi in territorio ucraino, Stanta decise di non presentarsi al comando di pertinenza e si mimetizzò tra la popolazione locale, riuscendo a rimpatriare nel 18, dopo la fine del conflitto. Il diario è stato scritto nel 1928 ed è composto di 294 pagine.
I ricordi di Stanta sono dolorosi e traumatici, e Stanta si pone diverse domande sull’inutilità della guerra e sulla finalità dell’esistenza.
Poco prima di esser fatto prigioniero in una boscaglia, egli descrive i luoghi Galiziani in un modo che mi ha colpito molto, dopo le crude descrizioni delle esperienze di battaglia sostenute dallo stesso e dopo aver letto nei diari quasi sempre di fango, freddo, neve, pidocchi, shrapnel, morte e paura.
“ I giorni che precedettero la partenza da quelle silvestri posizioni, trascorsero tranquilli e calmi da non sembrare più di essere davanti al nemico. Gli uccelli erano ritornati volando fra le fronde degli alberi, cinguettando senza spaventarsi della nostra presenza. Si risentiva il caratteristico rumore del picchio, contro i tronchi, che proveniva di là dal fiume. Le gazze, multicolori, svolazzavano chiamandosi da un posto all’altro, irrequiete. Fin’anche il bigio profittatore cuculo ritornò ad espandere il suo monotono canto, che si ripeteva con l’eco. Ciclamini e mughetti profumavano il bosco. Chi azzardava qualche languida aria slovacca, cantata sotto voce, continuando a pulirsi l’equipaggiamento, e chi sdraiato entro una macchia di sole se ne stava a torso nudo, fumandosi la pipa. In questo ambiente di pace riposavano i nostri nervi stanchi e ritornava la speranza di rivedere un giorno i nostri cari lontani."
RITORNARE A CASA IN TRENO
Ho trovato interessante questa narrazione del ritorno dal fronte galiziano nel 1918, anche perchè parla di rientri di Triestini .
La permanenza dei soldati del Litorale nella regione galiziana si protrasse, sino agli ultimi giorni di esistenza dell’Impero Asburgico. Anche dopo il trattato di Brest Litowsk, ben pochi soldati avrebbero potuto usufruire di licenze, perché sospetti di simpatie bolsceviche. I comandi Austriaci decisero di disperdere una parte del 97 ° reggimento nei territori ucraini di recente occupazione. Il ritorno dalla Galizia avvenne tra infinite vicissitudini. Per guadagnare i sovraffollati treni in partenza, i fanti a volte dovevano aprirsi un varco con la forza. Poi, nel corso del lungo viaggio di ritorno, furono obbligati a condurre lunghe estenuanti trattative con i vari comitati civili e militari sorti in quell’anno.
Ed ora volevo riportare un articolo tratto dal giornale “Il lavoratore”in data 15 novembre 1918, dove venne pubblicato sotto forma d’intervista il racconto del difficoltoso rientro del triestino Mario Bresci del 97°.
“Come attraversare il paese in fiamme?Si tenta di tutto, pur di rimpatriare. Ogni Nazione ha il suo comitato a tutela dei soldati che le appartengono: c’è un comitato tedesco, uno polacco, uno italiano. Con noi, ci sono circa 6000 prigionieri italiani. Si deve provvedere anche a loro, devono venire anche loro. Ma come si fa? Bisogna chiedere al Governo Ucraino il permesso di passare attraverso quel paese. Si chiede, si prega. Il permesso è concesso, a patto che non si portino armi. Il patto è accettato volentieri – le armi sono distrutte. Si può partire. Quelli che più hanno da viaggiare, partiranno per primi. Il governo Ucraino ha permesso di portare vestiario e viveri per quindici giorni. Il giorno della partenza, si manda un plotone a occupare la stazione, perché altri non riesca a impadronirsi dei carrozzoni. Finalmente si parte. Ma il viaggio non doveva essere tranquillo come si era sperato. Alla prima stazione, a Belc, sono perquisiti i carrozzoni. I rivoluzionari vogliono persuadersi che non ci sono armi nascoste sul treno. Ma quando il treno riparte, le bande armate ci sparano addosso. Tre soldati feriti, due sono morti. Sono due poveri giovanidel Tirolo. A Rawaruska si consegnano i cadaveri per la sepoltura. Continua il viaggio e continuano gli arresti e le perquisizioni. Una volta si viene fatti scendere e un sedicente soldato ucraino ordina il sequestro di viveri, armenti, cucine di guerra, sigarette. Si accetta tutto, pur di ripartire. Si parte a tutta velocità per Jaroslav. La stazione è occupata dai Polacchi. Non si deve temere nulla – sono sicuri. Si spediscono subito 400 uomini a occupare le stazioni e quattro treni corazzati a proteggere il passaggio dei trasporti. Le accoglienze che i polacchi e gli czechi fanno agli Italiani sono cordiali. In Boemia i soldati ricevono il rancio. Poi si riparte. Anche Vienna fa una buona accoglienza e anche qui si offre il rancio. Ormai si è fuori pericolo tra breve ognuno potrà riabbracciare i propri cari."
Io ho letto con un pò di angoscia questo tipo di rientro, pur avendone letti tanti, anche più pericolosi . Perciò ritorno volentieri alla lettura del diario nel bosco di Emilio Stanta, con la bella descrizione del paesaggio. Mi sono rimasti nel cuore quegli uccelli:il picchio, la gazza, il cuculo tra la boscaglia. Dovrei accompagnare quello che ho scritto con l'immagine di un treno che ritorna . Ma preferirei vedere l'immagine de un de quei useleti osservati da un uomo stanco nel bosco , se qualcuno degli esperti mi dà una mano. Altrimenti , se non potete, ci penserò io.
Ciao Mandi