Mentre scrivevo questa Storia, pensavo a come la guerra, ovunque sia, possa cambiare radicalmente le vite degli esseri umani. Quante vite spezzate, quante speranze distrutte, quanti orfani...
Prima di continuare il racconto , volevo trascrivere alcuni stralci di un diario, per far capire come cambiò, in Russia, la sorte dei prigionieri. Inizialmente segregati in Campi di baracche recintate, fu loro permesso in seguito di andare a far dei lavori presso i contadini o nelle miniere russe.
Scrisse il prigioniero Francesco M. nel suo diario siberiano :
15 maggio 1915
“Ora si può dire di essere in primavera. I salici e le betulle cominciano a vestirsi di verdi foglie. La semina del formentone è già terminata; adesso stanno seminando le patate. Crescono pure la canapa, il girasole, i cavoli ed il frumento. Il frumento viene macinato col mulino a vento; il pane ogni contadino lo cuoce nel suo forno, il lino e la canapa vengono filati a mano: insomma un secolo indietro! Ma noi non possiamo andare a lavorare per i contadini”
13 luglio 1915
“ La mattina di buon’ora venne l’ordine che anche i prigionieri italiani avrebbero potuto, se richiesti dai Russi, andare a lavorare. Finalmente!”
15 agosto 1915
“Abbiamo continuato a lavorare alla sgranatura del frumento. Questo lavoro viene eseguito a macchina. Le macchine che lavorano per il nostro padrone, nella fattoria dove siamo, sono tre. Ogni macchina sgrana giornalmente in media 150 quintali e sono impiegati in ognuna 30 uomini, tra mugiki e prigionieri.”
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CONTINUO ADESSO CON IL RACCONTO DI ANNA. RICORDO CHE E' BASATO SU DOCUMENTI, FOTO E RICORDI ORALI.
LA STORIA DI ANNA
1917
Bogdanowka, 1917
Anna intanto era rimasta una giovane donna sola, che doveva badare ad una fattoria con degli appezzamenti coltivabili enormi. Sentiva molto la nostalgia per il marito Ivan, ma aveva consumato tutte le sue lacrime per la sua morte, comunicatale da un emissario dello Zar l’anno prima. Era una donna forte, questo le aveva insegnato la guerra, che le aveva portato via tutte le speranze di un futuro felice.
Anche quel giorno si era recata ad Omsk. Osservando la poco distante Transiberiana, ripensò a quando lei, con tutti gli abitanti dei villaggi circostanti, erano accorsi, pochi anni prima, a vedere transitare il primo treno (i cani erano scappati terrorizzati e le galline, per settimane, non facevano più uova dallo spavento).
Anna si riscosse dai suoi pensieri. Bisognava andare avanti, bisognava pensare a Nikolaj, l’amatissimo figlio. Nikolaj era cresciuto, ma a sei anni aveva bisogno delle sue cure, anche se la tata l’aiutava molto. Quanto le piaceva vederlo fare le capriole nel grano, o quando le portava il cesto delle uova, per rendersi utile.
Omsk era un città molto bella, ma lei sentiva già nostalgia di casa.
Quel giorno, tornata all’isba, pensò di avviarsi verso il sentiero che costeggiava le betulle, dove si trovava la chiesetta ortodossa del Pope. Era rimasta turbata da ciò che aveva visto ad Omsk. Gente di tutti i tipi viaggiava a bordo della Transiberiana, ed inoltre aveva notato un grande campo di prigionia con migliaia di uomini. Parlavano una strana lingua e la gente del posto li chiamava “Talianski”. Aveva sentito cantare, verso sera, melodie tristi .
Il Pope le accarezzò il capo, rassicurandola, ma informandola anche che a Mosca era in atto una rivoluzione, che lo Zar Nicola II aveva abdicato e c’era in atto un governo provvisorio. C’erano scioperi e confusione ovunque. Ma lei non doveva preoccuparsi, perché in quella zona tutto ancora procedeva come prima, tutto era tranquillo. La consigliò di richiedere mano d’opera tra i prigionieri, dato che gli uomini russi erano scarsi, morti in guerra o prigionieri a loro volta. Lei non poteva mandare avanti tutto da sola.
Ed ecco un giorno arrivare alla fattoria un taliansko, alto, bruno, con i baffi folti. Chiedeva di poter lavorare ed Anna lo accolse ed ospitò, impietosita.
Giuseppe era molto solo, sofferente e in difficoltà. Orfano, senza nessuna proprietà a casa sua, gli era rimasto solo un fratello, morto o disperso in Russia.
Egli, da Bogdanowka, scrisse a una nobildonna che risiedeva vicino al suo paese, nota tra i prigionieri per l’aiuto nel rimpatrio: lei era l’unico contatto con il suo passato.
3 marzo 1917 , Bogdanowka, governatorato di Omsk:
“Io sono stato ferito a tutte due le gambe e adesso sono un po’ ristabilito, ma per il lavoro io non sono capace con le mie forze, essendo qui in Siberia molto freddo, dai 40 ai 50 gradi. Qui vivo proprio a tanto di non morire, senza genitori, dimenticato da tutti”
1 settembre 1917 , Bogdanowka, governatorato di Omsk
“Io mi ritrovo un poco in pace, avendo ricevuto la sua desiderata lettera. Spero nelle promesse che Lei mi ha fatto. Adesso sono solo qui, vi sono degli Italiani, ma lontani 500 km. Intanto le notifico il mio ottimo stato di salute.”
Ma Giuseppe mentiva, scrivendo, perché non era vero che gli “Italiani “fossero così distanti: erano concentrati ad Omsk, a migliaia. Lui aveva rinunciato a tornare in Italia da Kirsanov –Archangelsk, perché si era innamorato di Anna, la sua bella e fiera padrona. A casa sua nessuno lo attendeva, qui invece c’era una donna bellissima e una proprietà agricola fiorente, che gli avrebbe garantito un avvenire. Aveva deciso di trattenersi in Russia. Intanto si era ristabilito ed aiutava nei lavori agricoli, assieme ai mugiki che erano rimasti fedeli alla loro padrona. Alcuni di essi, invece, erano fuggiti unendosi alla Rivoluzione.
Quello del 1917 fu un inverno terribile: la neve era tanto alta che per uscire di casa si doveva scavalcare la finestra del secondo piano. Ma all’interno era caldo, il samovar del the era pronto, Nikolaj giocava tranquillo, la vita continuava e Giuseppe era fermamente convinto che lì si stava come in Paradiso.
Nell’orto vicino alla casa stava una piccola sauna per la famiglia, costruita in legno. Dentro c’era il forno per bollire l’acqua e scaldare il locale. Nel fuoco mettevano pezzi di ferro o pietre di granito o mattoni: questi, quando erano ardenti, servivano per formare il vapore, appena l’acqua vi veniva versata. A Giuseppe, la prima volta che provò, sembrava di morire, ed era scappato fuori, mentre Anna, come tutti i Siberiani, riusciva a stare per lungo tempo seduta su un tavolone. Questa era l’usanza tradizionale del sabato.
Nel 1918 Giuseppe propose ad Anna di sposarlo, mentre lei tornava dal raccolto delle fragole.
Anna, inizialmente restia, si era affezionata a quest’uomo, così solo come lei, ed accettò di unirsi a lui in un matrimonio ortodosso, celebrato dal Pope, che aveva dato la sua approvazione. Anna indossava un abito blu, come da tradizione.
L’altare stava dietro una porta finemente lavorata in legno dorato. Si alzarono canti nella lingua tanto amata.
Il Pope aspergeva i fedeli a volte con acqua benedetta, a volte con incenso. Poi ritornava dietro la porta e ricompariva mostrando un libro con la copertina d’oro. Infine alzò il calice tenendolo con le due mani sopra la testa. Quindi avanzò verso gli sposi con passo maestoso. Porse a loro con un cucchiaino dorato il liquido scuro contenuto nel calice e offrì del pane benedetto agli sposi e alla gente radunata nella chiesetta..
Tutti gridarono : za molodykh! (viva gli sposi!).
Ma i tempi sereni terminarono in fretta; attorno a loro cominciò ad infuriare la Guerra civile tra Rossi e Bianchi e nel frattempo la situazione ad Omsk stava diventando estremamente pericolosa.
L’ammiraglio Kolchak aveva instaurato una dittatura in Siberia lungo la Transiberiana, e a poca distanza dalla fattoria di Anna erano dislocati i Cechi, gli Italiani dei Battaglioni neri, gli Inglesi e altri . Gli scontri divennero violenti tra Rossi e Bianchi.
Questa che vedete fu l'abitazione dell'Ammiraglio Kolchak, ad Omsk. Qui teneva il suo "tesoro".
Molta parte della popolazione russa civile era terrorizzata e ci furono molti morti (anche perché a volte si sospettava che nei villaggi si nascondessero soldati di uno o dell’altro schieramento) e ciascuna parte avversa fece il suo bel cumulo di morti (mai accertati numericamente).
Giuseppe aveva sentito parlare di una fattoria incendiata dai Bianchi nelle vicinanze, e questi avevano portato via animali da cortile e tutti i sacchi di grano, per portarli al loro accampamento.
Molti cosacchi si erano uniti ai Bianchi, perché volevano restaurare l’antica autorità zarista. Finora la fattoria di Anna era stata risparmiata, ma chissà cosa sarebbe potuto succedere in futuro...
Verso la fine del 1918 (novembre) arrivarono anche alla fattoria degli emissari da Vladivostok ad Omsk, alla ricerca di prigionieri italiani, per convincerli a tornare in Italia, optando.
Così Giuseppe, lusingato dalle promesse e intimorito dalle ultime e incontrollabili violenze dei Rossi nelle vicinanze, decise di tornare nella sua Patria .
Cercò di convincere Anna a recarsi in Italia con lui e il bambino. Lei non ne voleva sapere, ed anche il resto della famiglia era contrario (era l’unico maschietto della famiglia). Ma alla fine si lasciò convincere, perché temeva per il bambino, in tempi così terribili. Lui, per convincerla meglio, le raccontò un mucchio di fandonie, che in Italia era ricco e aveva terre (“…in Italia ci sono mucche enormi che si mungono con la scala!”).
Verso marzo 1919 i tre si recarono con una tradotta a Vladivostok, assieme a migliaia di Italiani e inspiegabilmente, malgrado avesse con sé la moglie ed il bambino, Giuseppe decise di arruolarsi volontario a Vladivostok nella Legione Redenti della Siberia l’8 aprile ed il 12 settembre fu nominato Caporal Maggiore.
D’altra parte, avrebbe ricevuto una paga e forse pensava che in questo modo avrebbe raggiunto l’Italia in modo più veloce.
Furono alloggiati a Gornostai, il cui nome in russo significa “Ermellino”, un rione collinare di Vladivostok. La sera s’inerpicavano con la slitta carica di legna lungo la collina per raggiungere la loro abitazione, nelle caserme.
La situazione a Vladivostok era diventata pericolosissima, c’erano continui scontri e incursioni. Arruolarsi significava essere armati e fare azioni di Polizia in città e dintorni.
I Rossi, inoltre, nell’agosto 1919 cominciarono a vincere e ad avanzare verso la grande città. Ogni giorno, tenendo per mano il figlioletto, Anna si avvicinava al Corno d’Oro e scrutava il mare, quel mare che li avrebbe allontanati definitivamente dalla Terra in cui erano nati.
Riuscirono a partire da Vladivostok solo il 21 febbraio 1920, imbarcati sulla nave giapponese Texas Maru.
Oltre a loro s’imbarcarono 1200 soldati dei battaglioni rossi- Legione Redenta di Manera, 23 ufficiali della Legione Redenta, con altri ex prigionieri di guerra non optanti, al comando del Cap. Guassardo.