triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

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mandi_
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Ed ecco il Piroscafo Nippon. E'stato molto difficile da trovare.
Il Piroscafo Nippon nel Porto di Tientsin (Chin -quan - tao), 1919
Il Piroscafo Nippon nel Porto di Tientsin (Chin -quan - tao), 1919
nippon.jpg (81.05 KiB) Visto 5886 volte

Secondo il mio parere questo piroscafo, arrivato nel novembre del 1919 a Tientsin, era già di proprietà del Lloyd Triestino e, mentre ho seri dubbi sul piroscafo Gablonz, era stato inviato appositamente dall'Italia per raccogliere i nostri uomini. Le persone a bordo non erano tutte appartenenti ai Battaglioni neri. Ricordo che i B.N. erano reduci dalla guerra civile russa in Siberia.
L'Italia aveva inviato un'altra nave, precedentemente a questa : la nave Roma, con a bordo il CSEO e molti armamenti nel 1918.La nave Roma effettuò poi un altro viaggio, nel 1919 . Nei suoi due viaggi la R.N. Roma trasportò poche centinaia di persone a casa loro.
Beh, insomma, comunque sia andata, i nostri ragazzi stavano tornando, finalmente dalle loro famiglie ....
Ho trovato foto di città in capo al mondo, ed anche foto di navi...
Mi è stato impossibile finora trovare una bella foto di Trieste più o meno nel 1920. In questa foto, che spero prima o poi di trovare,vorrei vedere però una Trieste come è nel mio immaginario, con il suo porto e la sua gente. Magari prima o poi ....

Ciao Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Un amico mi ha inviato questa foto, dicendomi di averla "presa in prestito" da un sito straniero. Sotto la foto c'era scritto : Ritorno a Trieste 1920.
Secondo voi questa può essere Trieste nel 1920? So che la foto non è di buona qualità, ma è l'unica finora che ho visto, per me significativa.
Ciao Mandi
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da babatriestina »

sembrerebbe il porto vecchio, con la collina di Scorcola. In alto la linea orizzontale sulla collina è la strada di Opicina verso il valico dell'Obelisco.


"mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente" ( La Cittadella)
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Grazie! Chissà se anche l'anno corrisponde! Si può vedere poco dalla foto.Ma vedo diversi piroscafi ...La scritta "ritorno a Trieste 1920 " stava dietro la foto, ma non si sa mai!
mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

IL PIROSCAFO PERSIA

Precedentemente avevo scritto che questo piroscafo avrebbe dovuto essere destinato al rimpatrio degli ex prigionieri che stavano aspettando di tornare a casa loro da anni. Ma ho l’impressione che anche stavolta questo piroscafo si recava in Siberia soprattutto per portare armi. Riportare alle famiglie gli uomini che se ne stavano lì in pericolo fu un aspetto secondario.

Ho voluto approfondire un po’ l’argomento.

Il piroscafo Persia, un bel vapore di 13.000 tonnellate,era stato varato nel 1903 dal Lloyd Austriaco. Nel 1919 passò al Lloyd Triestino. .
In quell' anno era stato “affittato” presso il Lloyd Triestino dagli Alleati ; batteva infatti una bandiera interalleata.
La nave si diresse a La Spezia. Il piroscafo era destinato a imbarcare in segreto, nelle sue stive capaci, tredicimila tonnellate di armi. Destinazione « ufficiale » della nave: Vladivostok. Le armi erano commissionate dalle Forze interalleate in sostegno dell’azione militare lungo la Transiberiana e in Siberia , dove Cechi, Italiani e la Missione internazionale cercavano ,durante la guerra civile tra il 1918 e il 1919 , di respingere i Bolscevichi.

Armi e munizioni non mancavano in quegli anni in Europa. La guerra aveva lasciato a disposizione enormi quantità di materiale bellico, che bisognava smaltire a prezzi d'occasione. Quindi bastava solo trovare le navi per inviarle in Siberia.Una di queste fu la Persia, appunto.

Il ministro italiano in carica era Nitti. Quando l'onorevole Musatti interpellò il Governo e chiese di sapere che cosa stava caricando il Persia, a La Spezia, Nitti assicurò il deputato socialista che il carico del Persia consisteva in casseruole vecchie e rottami metallici: un piccolo affare privato di commercianti.
...Le « casseruole vecchie » del Persia erano precisamente trentamila fucili modello 91, mille moschetti di cavalleria, dieci batterie da montagna con relative munizioni, diecimila cartucce, carrette da battaglione e buffetteria per trentamila uomini... L'onorevole Musatti « si dichiarò soddisfatto» (Da “la Stampa”)
In quei tempi in Italia erano in corso scioperi e agitazioni della Federazione Marinara, guidata dal capitano Giulietti , per ottenere dei diritti per la gente che lavorava sulle navi.
Il capitano Giulietti, che era a capo della Federazione, decise di fare catturare questa nave in alto mare e condurla a Fiume per consegnare quelle armi a D'Annunzio, per sostenere l’impresa di Fiume .
Incaricò quattro dei suoi fidi più adatti per l'operazione, nel senso che, per liberare il Comandante della nave da gravissime responsabilità, ognuno di essi doveva essere capace di compiere determinate operazioni nautiche. Dei quattro uno era il Capitano di lungo corso Sulfaro, un altro l'ufficiale marconista Tatozzi, un altro il timoniere Guido Remedi, ed il quarto Umberto Poggi.
A Fiume tutte le tredicimila tonnellate di armi, furono sbarcate e la nave, trattenuta in ostaggio. Era il 10 ottobre 1919.

Però, la partecipazione alla impresa dannunziana non piacque al Capo del Governo Italiano, che, per ritorsione, deliberò di non procedere più alla riforma delle pensioni marinare,fortemente richieste da Giulietti .
Quest'ultimo allora chiese a D'Annunzio di trattenere il «Persia». La nave «Persia» riprese il mare solo dopo che l'On. Nitti garantì il rispetto dell'impegno. Fu così che potè andare in vigore la cosiddetta legge del 1919 sulle pensioni marinare.
Dopodiché il Piroscafo Persia poté ripartire per Shanghai ,dove proseguì per Vladivostok; non so cosa ne sia stato del carico di armi.
Tornò dalla Siberia , arrivando a Trieste il 9 aprile 1920. Ho letto alcuni nomi degli uomini a bordo, ma mi sembrano pochi.

Studiando un poco quest'argomento, ho notato quanto erano dure le condizioni di vita dei marinai dell'epoca e quanto è stato difficile per loro ottenere dei diritti.

Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Devo ringraziare un caro amico che mi ha inviato questa foto del piroscafo Persia del Lloyd, conoscendo la mia passione per questo argomento.

Immagine

Sembra incredibile, ma questo piroscafo è stato difficilissimo da trovare, anche perchè le navi cambiarono spesso proprietà, utilizzo e naturalmente anche nome. Io avevo trovato una foto di una nave denominata Persia, ma in seguito ho dovuto ricredermi : non era quella giusta, per via dell'anno di costruzione o per quello della "dismessa" della nave. E per via dei fumaiolo : la Persia aveva un solo fumaiolo.
Questo allora fu con certezza il piroscafo "Persia" del Lloyd Austriaco, passato al Lloyd Triestino nel 1919. Tutto sommato mi piace questa immagine pre guerra , quando era una nave mercantile, e penso ai marinai che erano a bordo, indaffarati nel loro lavoro quotidiano. Magari guardavano quei cammelli ...

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Molte navi furono sequestrate durante la Prima Guerra , anche se pochi studi sono stati fatti sulle vicende della marina mercantile. A me, veramente, interessa più la sorte di coloro che erano a bordo delle navi, perchè anch'essi divennero spesso prigionieri. A bordo delle navi c'erano uomini, ed anche il loro destino va ricordato.
Alcune navi del Lloyd austriaco, partite da Trieste tra aprile e luglio 1914 si trovarono in mezzo ad una guerra improvvisa.
Sembra che l'Impero A.U.non si sia proprio reso conto subito del rischio che lo stato di guerra comportava per le navi, in quanto i movimenti delle stesse venivano riportati fino ad un mese dopo l'inizio del conflitto sul giornale "L'osservatore Triestino".
Molte navi, per evitare il sequestro, si rifugiarono in porti neutrali e gli equipaggi trascorsero gli anni di guerra a bordo, con stipendio ridotto, o cercandosi un altro lavoro. Molto spesso però , con il procedere della guerra, essi vennero internati.
Le navi "Bohemia" "Silesia" "China" si fermarono a Shanghai, porto neutrale.Ma tutte tre le navi furono sequestrate dal governo cinese nel 1917.
Il piroscafo " Vorwaerts"si rifugiò a Nova Goa (Indie Portoghesi) , divenne preda di guerra del Portogallo nel 1916.La nave , rinominata "India" continuò a viaggiare, ma l'equipaggio fu detenuto a Nova Goa fino al 1919.
La "Thalia", nave da crociera, si riparò ad Amsterdam e fu catturata dalla Francia.
Gli Inglesi s'impadronirono della "Koerber", "Marcois Bacquehem" "Herzerhzog Franz Ferdinand". Gli equipaggi finirono nei terribili lager di Ahmendnagar (Indie Inglesi).
La "Marienbad" diretta nel 1914 a Bombay fu preda di guerra e l'equipaggio finì a Chartreuse pres la Puy.
Altre navi furono preda dell'Italia,(circa 15 documentate : Gisella, Ambra, Spuma ecc) ma ce ne furono anche di quelle che vi si ripararono volontariamente, per scelte irredentiste (ad esempio le navi della società "Istria-Trieste") .
La lista delle navi e degli equipaggi sarebbe lunga... I luoghi dell'internamento dei marinai in Italia furono soprattutto l'Asinara e Isernia.
In Archivio di Stato di Trieste (come ho potuto vedere)sono elencati vari luoghi di prigionia, i più disparati, in India, Egitto, ecc...dove molti Triestini e Istriani vissero in una situazione molto dolorosa.


Insomma, una guerra e tantissimi prigionieri ovunque.

Magari un'altra volta si potrebbe parlare dei prigionieri in Austria e Germania.
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Comunque, per oggi, voglio trascrivere una lettera di un marinaio, argomento del quale mi sembra non si sia mai parlato nel Forum.

Le mogli, i figli, le madri dei marinai vivevano del reddito dei loro uomini, sempre lontani in navigazione. Non era di certo una vita facile, per nessuno. Una vita sempre lontana dalla famiglia, tanti luoghi esotici, ma nostalgia, sempre quella nostalgia e preoccupazione per i propri cari lontani. Sacrifici, tanti...

" Io sono già nove mesi che lavoro di continuo senza avanzarmi un soldo, non che li sprecho, ma bensì per vestirmi, che sono andato via dal piroscafo senza una giacha da metermi in dosso. Grassie ai miei bracci che posso lavorare dalle 6 di matina alle 10 di sera in questo di lavoro, che qui bisogna pensare se non si lavora non si vive.
Cara madre mi duole il cuore sapendo che non posso dividere con voi il pane che ho nel giorno.
Cara madre, quando mi scrivete, mandate sul Marta Wasington.
Sinceri saluti dal suo aff. mo figlio Emilio.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Avanti con i viaggi del ritorno! Questa volta provo a ragionare con incroci tra internet e libri storici. Dove è impossibile trovare certezze, proviamo con le probabilità.

Leggendo tanti libri e diari, ho potuto verificare che in Siberia c'erano moltissimi Campi di Prigionia anche per soldati tedeschi, non solo per Italiani, ovviamente.


Qui l'amico 13 -1918 mi bacchetterà. Mi dirà (se legge) che non si dice "Tedeschi" o " Italiani" o "austroungarici", ma "Tedeschi" e "austroungarici".
Almeno questo spero sia assodato. Cioè a quei tempi , prima del 1918 si può parlare di Tedeschi e Austroungarici, dove gli A.U. parlavano lingue diverse e avevano "sentimenti " diversi.
Ricordo che nella Fortezza di Przemysl in Galizia ci fu rivalità tra Tedeschi e A.U. perchè i Tedeschi riuscirono ad espugnarla prima, perchè avevano armi più potenti.
Però io leggo libri e giornali dell'epoca prima e dopo il 1920. E a volte si trovano documenti che parlano genericamente di Tedeschi, Austriaci, Austroungarici e Italiani. Ometto i vari Cechi, Polacchi ecc per non creare ulteriori confusioni.
A volte è molto complicato capire il linguaggio usato nei testi : dipende da chi li scrive.
Ad esempio osservando i dati delle persone di cui parlo, trovo la dicitura : ex prigioniero italiano se questi aveva optato ; prigioniero A.U se non aveva optato . Poi ci sono i Redenti se avevano optato per l'Italia ma non si erano arruolati nella Legione redenta, i Caporali ecc se si erano arruolati a Tientsin o Vladivostok.

Insomma, un bel caos di definizioni e di pensieri . Ed erano solo uomini, perchè ormai non si poteva più chiamarli ragazzi, dopo 6 anni in Siberia.

Torno al discorso iniziale : c'erano in Siberia vari tipi di prigionieri o ex prigionieri. Addirittura i Battaglioni Neri a Krasnojarsk furono a guardia di prigionieri tedeschi o A.U. non optanti per l'Italia. Tra l'altro molti di questi A.U. poi scelsero di imbarcarsi su navi che portavano in Italia, perchè la guerra era finita, perchè avevano meno paura di ritorsioni , perchè ormai la lotta tra Bianchi e Rossi diventò molto pericolosa. ecc ecc.

Finora ho sempre pensato che da Vladivostok partissero verso l'Italia solo navi che trasportavano optanti.
Ma Tedeschi e A.U. convinti, come tornarono? Pensavo che tornassero attraverso la Transiberiana, facendo i viaggi all'incontrario, come ho trovato in molti diari.

Quindi passo ad Internet e vi mostro questa testimonianza, gentilmente tradotta da un caro amico.

http://www.kb5ir.de/Heimkehr.htm


qui c'è la traduzione :

RITORNO IN PATRIA

La lunga strada dalla prigionia in Russia

Questa pagina non è direttamente correlata al 5. Reggimento di Fanteria Reale Bavarese, ma pensata come informazione per le generazioni future per far conoscere la storia del ritorno dalla Russia dei soldati tedeschi dopo la prima guerra mondiale.

Qualche valoroso soldato tedesco ha avuto un avventuroso ritorno a casa dopo diversi anni di prigionia.

Verificato da prove documentali e racconti di discendenti di un soldato tedesco che venne fatto prigioniero in Russia il 2 ottobre 1916

07.05.1916 partenza per il fronte

02.10.1916 cattura, marcia su Plaucamala verso Kremenetz

07.10. - 10.10.1916 in treno da Dubno a Berditscheff per il lager locale

13.10. - 14.10.1916 viaggio verso Kiev (lager di Durnitza)

29.10. - 05.11.1916 viaggio verso Pensa

06.11. - 26.12.1916 nel lager di Pensa

27.12. - 12.01.1917 viaggio per Samara - Ufa - Tscheljabink - Omsk verso Atchinsk

12.01. - 26.11.1917 nel lager di Atchinsk

27.11. - 30.11.1917 viaggio per Polowina - Irkutsk - Baykal verso Berezowka

01.12. - 01.11.1918 nel lager di Berezowka

01.11. - 16.11.1918 viaggio per Tschita - Aga - Manciuria verso Nikolsk-Ussurisk

17.11. - 14.02.1919 nel lager di Nikolsk Ussurisk

15.02. - 17.06.1919 nel lager di Rstolnoje

18.06. - 04.07.1920 nel lager di Nikolsk Ussurisk

04.07.1920 viaggio verso Vladivostok sul Mar del Giappone

05.07. - 31.08.1920 ritorno al lager di Ruske Ostrow

01.09.1920 verso Vladivostok per l’imbarco e ritorno finale

02.09. - 15.09.1920 l’”Heffron”, un piroscafo americano di 15.900 tonnellate, con 1.200 passeggeri salpa le ancore, e si dirige a sud dell'isola di Kyushu, in Giappone, attraversando l’oceano Pacifico

16.09.1920 arrivo a Honolulu, Oahu (Hawaii)

fino al 22.09.1920 sosta a Honolulu - un sogno dopo le fatiche dei campi siberiani

23.09.1920 partenza dall'isola di Oahu, Honolulu

23.09. - 12.10.1920 navigazione sul “Heffron” verso Panama (03.10.1920 quattro anni di prigionia)

12.10. - 18.10.1920 passaggio del Canale di Panama - da Panama attraverso l’istmo fino a Colon

19.10. - 04.11.1920 per i Caraibi (St. Thomas) attraverso l’ Atlantico verso Gibilterra

05.11. - 11.11.1920 partenza da Gibilterra, passando per la Sicilia (08.11.) verso Trieste

12.11. - 20.11.1920 in treno verso casa


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Insomma, allora per tornare a casa in Italia , per chi si trovava a Vladi ,non era obbligatorio "optare per l'Italia" ? Il termine "Tedesco" era anche sinonimo di A.U in questo caso?

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A voi l'ardua sentenza.

Intanto, vi inserisco questo sito, per capire la mole dei "ritorni a Trieste " nel 1920, tra Italiani e Cechi.

http://en.valka.cz/viewtopic.php/t/12736

E nemmeno una piccola foto hanno fatto a Trieste? Io spero che almeno i Cechi abbiano fotografato la vostra città.

Ciao Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Altra foto che si suppone fatta a Trieste, al momento del ritorno dei Cechi. Sotto la foto c'è scritto " A Trieste", ma il traduttore simultaneo di google traduce "e/a Trieste".
Sempre a voi Triestini l'ardua sentenza(è un pò come indovinare targhe e monumenti, no?) .

Mandi
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

PRIMA DEI SANTI....

Sembra incredibile , ma a volte i fatti che sembrano incasellati, certi, non lo sono poi così tanto.
Quando si cercano notizie su un nonno che fu un soldato A.U. , almeno io, e non pochi altri, purtroppo per noi , le cerchiamo in modo serio, fondato su documenti. Peccato che le "fonti" italiane siano così scarne e che sia così difficile trovare incartamenti e notizie.
Anche Innsbruck e Vienna non è che si impegnino molto nel fornire notizie. Ovvero, a volte per 32 euro riescono (forse) a darti informazioni su dove era prigioniero tuo nonno. A me (sempre per 32 euro, il mio regalo di compleanno) è andata bene, ho conosciuto dove lui è stato in prigionia; peccato che dopo egli si sia spostato almeno 10 volte, in altri luoghi, che fortunatamente ho rintracciato gratis, grazie ad un diario...e a un poco di lavoro da parte mia.
Mio nonno è tornato su una grande nave, presa in affitto dagli Italiani dai Giapponesi.

Ma ci furono degli altri che, in modo fortunoso, riuscirono a salire chissà come su navi di passaggio, altre vecchie bagnarole, pur di tornare in fretta dalla famiglia, prima dei Santi.
Si pensava che questa nave fosse la Gablonz, ma non lo era, con molta probabilità.
Infatti un uomo che per anni in prigionia aveva lavorato in una fattoria, dove era anche stato trattato bene . Lui però aveva quattro figlioletti che lo aspettavano e s'imbarcò a Vladivostok su un piroscafo, che non era la Gablonz come si pensava, ma , come racconta l'ennesimo diario di un uomo osservatore e scrupoloso nello scrivere il suo diario di memorie, era una nave francese che avrebbe fatto lo stesso percorso delle altre navi, e lo avrebbe ultimato a Marsiglia.
Questa nave mercantile fu la Meinam, che raccolse pietosamente 30 uomini che volevano tornare a casa in fretta, anche se rischiavano non poco. Infatti la Meinam rischiò di essere affondata da sottomarini, come capitò non molto tempo prima a un'altra nave nei paraggi.

Così fu che Il 31 luglio 1919 a bordo della nave francese Meinam, poterono imbarcarsi anche 30 uomini di lingua italiana del deposito di Vladivostok, anziani o infermi. Il piroscafo Gablonz partì un mese dopo circa. Su un trafiletto di un giornale dell'epoca vengono citati i nomi di questi uomini.Secondo me, comunque la lista trovata non è completa.

La nave Meinam era un cargo-misto. Queste erano le sue caratteristiche:
Lunghezza: 129 metri
larghezza: 16 metri
Stazza lorda: 6.149 tx
Portata lorda: 8.740 tonnellate
Dislocamento: 12.430 tonnellate
Passeggeri: 8 passeggeri in cabina, forse 1200 in terza classe
propulsione: un'alternativa a espansione di vapore triple, tre caldaie a carbone
Potenza: 3300 cv
Velocità: 12 nodi
1 elica
1 fumaiolo
meinam- 1919.jpg
meinam- 1919.jpg (167.37 KiB) Visto 5783 volte
LA STORIA : La nave Meinam fu varata nel 1907 a Newcastle nei cantieri Palmers. Forniva servizio sulle linee-Nord Europa-Estremo Oriente -Marsiglia come la sua gemella HO PEI. La sua prima partenza avvenne nel mese di luglio 1907. Nel dicembre del 1915, riuscì a sfuggire a due sottomarini tedeschi usando il suo piccolo cannone di 47 mm. Sfuggì probabilmente a un altro attacco nel gennaio 1916. Nel mese di ottobre 1919 rimpatriò da Vladivostok a Marsiglia circa 1500 soldati cechi e prigionieri di guerra serbi che avevano percorso migliaia di chilometri in Siberia, a piedi o sulla Transiberiana. Oltre a questi uomini imbarcò una trentina di persone di lingua italiana. Infine, dopo altri viaggi come nave truppa o nave ospedale, fu demolita nel 1934 a Genova, per motivi economici.

E fu così, che quest'uomo riuscì a tornare un poco più in fretta dalla sua famiglia, com'è giusto che sia stato, prima dei Santi, su una nave che lasciò poche tracce del suo passaggio, ma abbastanza per essere guardata con invidia, mentre partiva, da altri uomini che preferirono non rischiare, attendendo un piroscafo più sicuro della rotta .




Ciao, da Mandi a un'amica...


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

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SENZA SAPERE DOVE, QUANDO,PERCHE'....


La lettura dei diari per me è diventata proprio una passione, peccato che ne siano stati trovati pochi. Le parole usate, i sentimenti e le emozioni che vissero gli uomini in quell’epoca straordinaria e di transizione, le storie raccontate in modo diffuso oppure con date e note affrettate mi stupiscono sempre.
Ultimamente ho dato più spazio ai fatti, perché senza spiegare ciò che succedeva, non si può capire il contesto, ma nel frattempo ho cercato di reperire ancora delle altre fonti.

In questo periodo sto leggendo un altro diario, visto da un altro punto di vista, secondo me da quello “d’en por laòr” come si dice in Trentino, ovvero un uomo comune, a cui capitò qualcosa che non s’aspettava. Questo ragazzo era un Italiano, Giuseppe Carrara , classe 1900, e scrisse quattro quaderni fitti di memorie, raccontate anche oralmente da una minuta e ostinata vecchietta, Carlina, cui nessuno credeva, ma che insisteva nel parlare disperatamente del povero figlio morto molto giovane.

Il Diario del ragazzo ripercorre puntigliosamente 18 mesi di vita, dalla partenza da San Felice sul Panaro(Mo) fino al ritorno. Questi suoi scritti rimasero sconosciuti per 60 anni.
Cos’ha di particolare questo diario ? Che questo ragazzo descrisse la sua leva militare e guarda un po’ dove venne inviato ? In Siberia, senza neanche conoscere la destinazione.

La partenza, per me, è surreale.

Giuseppe si trovava a Gonzaga e il suo comandante gli permise di andare a Mantova il 4 ottobre 1918. (notare bene la data).
Permettetemi di usare, pari pari, le parole del ragazzo.

“ Suonavano le 9 del mattino ed eravamo ancora a letto quando entra improvvisamente il sergente maggiore Pagani , che con voce grossa ci sveglia e ci fa una solenne ramanzina. Dopo aver gridato 5 minuti (inutilmente) ci alziamo comodamente e ognuno va al proprio servizio. Poi improvvisamente suona l’adunata generale per tutto il battaglione, cosa insolita perché di domenica suona solo alle 10. 30 per il rancio. Anch’io corsi in mezzo agli altri. Era una splendida giornata d’autunno. Si stava discutendo e alcuni dicevano che essendo cominciata un’offensiva erano arrivati bollettini, altri parlavano d’Armistizio, altri di un’ imminente Spedizione.. Era un vociferare privo per me di fondamento.
Eravamo disposti a quadrato quando arrivò l’aiutante Maggiore Oreste Bianchi con fogli di carta in mano. In un silenzio sepolcrale s’odono le seguenti parole : <<L’ora del cimento è suonata anche per voi giovani del ‘900 e il ministero ha ordinato di formare una spedizione per il fronte. Spero che in breve avrò il piacere di vedere una schiera di volonterosi occupare i posti. Chi vuole partire alzi la mano. >>. In breve 50 nomi sono scritti sulla lista e ne mancano altri 15. Il tenente chiede ancora volontari, ma non vedendone alcuno comincia a cercare i più robusti. Ne trovò altri 13 nella compagnia di sinistra :sebbene non volessero ingoiare l’amara pillola hanno dovuto ben presto cedere. Passa vicino a me, mi prende il nome e così anch’io dovetti far parte della Spedizione ed ecco così formato il Plotone autonomo.
Tutti ritornammo in Caserma ed io scrissi a casa e agli amici, annunciando la mia partenza per destinazione ignota. Dove s’andrà? A che fare ? Dobbiamo lasciare la Caserma e inoltrarci nell’oscurità”. Un altro maggiore poi si ferma davanti a noi e pronuncia le seguenti parole : <<Ho saputo che voi siete i primi soldati del 900 ad essere mobilitati e mi congratulo!>>

Il diario continua ed io abbrevio a malincuore, perché questi poveri ragazzi partirono, arrivarono l’8 ottobre a Piacenza imbandierata per la proposta d’Armistizio (…il caffè non si vede, pazienza!) e passando per varie città arrivarono a Napoli .
Continua il racconto di Giuseppe << Si scorge un panorama magnifico. Noi siamo sempre allegri e ci teniamo su con le canzonette. Poi intoniamo la canzone degli imboscati e subito ci intimano di tacere.
S’arriva al 24 ottobre e sappiamo che è arrivato a Napoli il Piroscafo Roma e con quello dovremo partire. …
Cominciamo a caricare munizioni.
Napoli, 4 novembre 1918 : arriva la notizia dai lavoratori del porto, che dicono che Trieste è presa. >>

E qui si raccontano i festeggiamenti a Napoli. E tra bandiere sventolanti, i ragazzi del 900 continuano ad imbarcar munizioni. La partenza è prevista, sempre per zona ignota, per il 7 novembre 1918, dopo 26 giorni trascorsi a Napoli. <<Il cuore mi sembra mancare, pensando che in questo momento sto per lasciare tutto senza sapere quando tornerò e dove andrò>>.

E fu così che la Regia nave Roma III si avviò da Napoli verso Vladivostok, con a bordo il CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO in ESTREMO ORIENTE.. Per abbreviare ancora, questi poveri ragazzi si fermarono una notte a Vladivostok e poi si diressero a Krasnojarsk in Siberia a combattere con i Battaglioni neri e i Cechi. Giuseppe scrisse bellissime descrizioni del viaggio in mare, delle città che vedeva, ma poi sembra raccontare in modo quasi distaccato e assente ciò che osserva a Krasnojarsk, quasi fosse una cosa lontana da lui, quasi non si rendesse conto di essere in mezzo ad una terribile guerra civile, quasi non volesse vedere. Tornerà solo nel 1920, con la France Maru, nave giapponese.

Ma mamma Carlina sapeva bene la verità: a pochi raccontò, dopo molto tempo, che il figliolo aveva patito il freddo, la fame ed ogni disagio, tanto da morirne dopo soli 5 anni dal ritorno, a 25 anni .
Raccontò di quanto piangesse sconsolatamente , nel partire da Napoli, proprio quando l’Italia stava per concludere la guerra. Raccontò di colera, di fucilazioni, di amici sepolti e lasciati laggiù,in Siberia. Della sua paura di combattere nella steppa , tra le bande degli sconosciutissimi bolscevichi, perchè così gli fu ordinato di fare. E di quella infinita, struggente lontananza che gli faceva crescere la paura di non tornare al suo paese.
andò a Krasnojarsk non da volontario, solo perchè gli fu comandato. E fu fedele agli ufficiali, che con puntiglio chiamava con nomi e gradi. Ma non capì mai perchè era dovuto andare in quelle terre gelide a combattere...

Ciao Mandi.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Cari Amici Triestini e non

Voi penserete che questa ricerca sia stata facile ed un poco bizzarra. Vi rispondo che per me non è stata facile, bizzarra un poco sì. Aggiungo che è stata appassionante, naturalmente per me. Ci sono amici forumisti che dicono che la Storia è tutta da riscrivere , in modo locale, ma ben pochi s'impegnano a concludere il racconto di un periodo. Io ho cercato di farlo, con i miei limiti. Io non desidero dare interpretazioni, ma raccontare fatti e storie di persone vere che li hanno vissuti.

Mi sono affezionata ai racconti di questi uomini ed anche alle navi che li traportarono verso la salvezza, verso la famiglia.
Però un conto è raccontare in modo romanzato, un conto è cercare di trovare fonti sicure.
Io ho letto svariati libri che citano le date delle partenze delle navi ed i loro arrivi, ma ho voluto essere certa ed ho confrontato più diari e libri e archivi per essere proprio certa di quel che scrivevo. Non volevo azzardare niente.

Un esempio per me è la rotta di questa nave di cui voglio parlare oggi.

Il Piroscafo Africa mi ha dato parecchio da fare.Non ero per niente sicura del fatto che fosse arrivato a Vladivostok .
L'ho trovato citato in una canzone, come una nave agognata.

Ma adesso questo piroscafo l'ho trovato in un diario trovato per caso, proprio in quello di Giuseppe Carrara, soldato emiliano che partì per Krasnojarsk senza neanche sapere il perchè o dove andasse.

Nel suo Diario egli scrisse:

Gennaio 1920
“Sul Times del 15 c.m. abbiamo appreso che l’Italia ha affittato tre piroscafi giapponesi che serviranno pel trasporto dei soldati italiani In Estremo Oriente; cioè dei 2500 che si trovano a Valadivostok e dei 500 che si trovano a Tientsin. Per fortuna che ai primi di gennaio dicevano che noi dovevamo rimpatriare con l’Africa. Il 19 è venuto l’Africa, piroscafo del Lloyd Triestino Italiano , che rimpatrierà i marinai sbarcati dalla R.N. Cannoniera Sebastiano Caboto, i quali ritorneranno in Italia dopo 8 anni di servizio in Cina. Essi partirono nel dicembre 1912 e dopo aver costeggiato per 4 mesi arrivarono a Tientsin nell’aprile 1913 .Finalmente il loro turno è venuto , speriamo che venga presto il nostro.
Il 29 gennaio 1920 è ripartito per l’Italia da Sian-Gai-Guam il piroscafo Africa . Gennaio è passato senza che noi possiamo lasciare Tientsin.”

Nel suo Diario molto preciso Giuseppe , soldato obbediente ma desideroso solo di tornare a casa sua, come tutti quelli che si trovavano lì in Siberia, cita la data di partenza del piroscafo Africa da Vladivostok , il 29 gennaio 1920. Poi accenna di aver saputo (come sapevano tutti gli uomini che aspettavano ansiosi di partire ) il noleggio di tre Piroscafi giapponesi. Gli ultimi. A Vladivostok erano presenti uomini di tante nazionalità e i giornali arrivavano, compresi quelli italiani, ma anche inglesi e francesi.

Ho trovato inoltre una citazione da "Il diplomatico sorridente : Daniele Varè"

Anche Varè , diplomatico italiano in Cina, riporta le notizie arrivate dall'Italia sottoforma di telegrammi: Caporetto, e in novembre l'arrivo delle truppe italiane a Trento, Trieste.
Poi aggiunge :
"Durante l'autunno del 1919 aspettavo di poter lasciare la Cina.Mia moglie Bettina e le bambine erano partite in maggio (con quale nave?).Io avrei dovuto esser sostituito dal Marchese Durazzo. Questi però fu fermato in mare , poco dopo la sua partenza da Trieste. Il Piroscafo Persia sul quale viaggiava, fu sequestrato insieme al carico da D'Annunzio. Durazzo arrivò su un'altra nave e giunse a Pechino in gennaio.
Il 29 gennaio m'imbarcai sul piroscafo Africa del Lloyd Triestino .Il capitano , un Triestino dalla barba a punta, che mi faceva pensare a Giulio Verne, incontrava serie difficoltà a mantenere la disciplina." ( Pag. 174)
Al suo arrivo Varè descrive il "biennio rosso" con tanti scioperi : fuochisti, ferrovieri, minatori.ecc

Insomma il Piroscafo Africa partì il 29 gennaio 1920 da Vladivostok ed arrivò a Trieste ... non lo so .

Infatti questa fu una nave molto misteriosa, non so se trasportò oltre ai marinai della Caboto e a Varè anche prigionieri o ex prigionieri.Non ho trovato liste .

Me lo auguro. Anche la foto della nave non l'ho trovata, ma la potete vedere in un "disegno" nel topic del Lloyd, grazie a Baba Triestina.



A proposito, ho avuto una conferma da una testimonianza orale che la nave Francese Meinam è effettivamente arrivata a Marsiglia. Poi gli italiani a bordo tornarono a casa loro su un'altra nave. Per quanto riguarda la nave affondata da sottomarini più o meno quando partì la Meinam, si tratta di testimonianze orali, perciò magari non certe o collocate temporalmente in modo impreciso .
Ciao Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Na storia, come tante...

Stefano aveva quasi 17 anni e fino ad allora aveva conosciuto solo la dura vita del contadino, assieme alla sua famiglia: 12 fratelli , tutti a lavorare nei campi da mattina a sera nella cesura di campagna, per tre corone al giorno. Ma la sera era bello ritornare a casa,col restel sule spalle, lungo i sentieri in mezzo ai susini in fiore. Talvolta guardava di nascosto na bela fiòla, col fazzoletto colorato al collo, el grembial a fiorellini e i capelli lunghi, sciolti sulle spalle; anche lei col restel su le spalle, ma con l’espressione malinconica,perché era orfana e a casa l’aspettava il tutore.
Al sabato Stefano andava a tirare qualche colpo con lo schioppo al Casino di caccia, con suo zio Kaiserjager, uno dei fedeli Servitori dei confini dell’Imperatore. Sentiva grande nostalgia dei due fratelli che già prestavano il servizio militare , ma che presto sarebbero tornati a casa. Ma gli eventi precipitarono: scoppiò la guerra. Allora il servizio militare austro ungarico durava tre anni, per cui allo scoppio della Grande Guerra (28 luglio 1914) i due fratelli di Stefano si trovavano già abili e arruolati, pronti per essere spediti al fronte , senza neppure un saluto all’austero padre ed alla cara madre, sformata dalle gravidanze.
Sulle mura del paese invece apparve l’editto “Ai miei popoli…” e a poco a poco le famiglie cominciarono a disgregarsi: mariti e figli nel fiore dell’età dovettero partire. Un tratto fu percorso sui carri tirati dai buoi, ed il resto con il treno, fino alla caserma di Trento. Poi Innsbruck, poi la Galizia. Verso settembre, dopo le celebri battaglie di Tannenberg,( 26 - 30 agosto 1914) e dei Laghi Masuri (9-15 settembre)la guerra iniziò a mettersi male per gli A. U . In novembre iniziò da parte dei Russi l’assedio di Przemysl, la roccaforte inespugnabile. Altre armate russe avanzarono in Galizia, attestandosi a svernare sulla catena dei Carpazi. Nel settembre 1914, nel corso dei furiosi combattimenti ripresi intorno a Leopoli, i Russi catturarono 85.000 soldati austroungarici. A dicembre ne furono catturati altri 180.000. Alla fine dell’anno 1914 erano morti circa 900.000 soldati dei tre milioni e 350.000 mobilitati ad agosto. Non che i Russi se la passassero meglio.
I due fratelli, feriti, ma salvi , furono presi prigionieri.
C’era bisogno di forze fresche:fu così che Stefanin, magro magro ,dalle orecchie un po’ a sventola , nel febbraio 1915 fu inquadrato in fretta e furia nel II Reggimento dei bersaglieri provinciali Landsschützen di Bolzano (truppe addestrate ed equipaggiate per la guerra in montagna), 29° Compagnia. Il novello Landsschützen portava un berretto con visiera ornato con piume di gallo forcello. La giubba era di panno grigio azzurro, con risvolti verdi portanti la stella alpina. I calzoni erano al ginocchio, gli scarponi erano di taglia alta. Portava una mantella fino al ginocchio. Gli penzolava un po’, perché era mingherlino.
Stefanin, dopo una settimana di addestramento a Innsbruck, andò a combattere nella zona nelle vicinanze di Cracovia. Sceso dai convogli ferroviari, subito, con il suo II marschbataillone (che si era costituito a Bolzano, Bressanone e Hall, piccola città del Tirolo) procedette per chilometri con le marce forzate, da subito patendo la fame e la sete. Sempre avanti, lungo la pianura desolata, contro la Russia, combattendo assieme a soldati che nemmeno parlavano la sua lingua. Chissà se avrà compreso lo scopo per cui doveva lasciare il suo paese per andare a combattere. Lo spingeva in avanti la sua giovinezza, la fierezza di questa nuova esperienza, l’inconsapevolezza di quanto terribile fosse la guerra, finché non la conobbe nella sua dura realtà. Lungo la strada aveva visto numerosi convogli che trasportavano innumerevoli soldati feriti. Non sapeva più nulla dei fratelli e ciò aumentava la sua ansia. Si trovò catapultato in un inferno, rintanato in trincee, dove le condizioni di vita erano disperate: temperature rigidissime, fango, sporcizia, “pioci e bestiasse”.
Aspettava, aspettava impotente in buche luride, piene di fango, si sentiva solo tra i compagni che parlavano lingue strane. Ogni giorno il semplice e tremendo comando degli ufficiali imponeva di uscire dalla trincea per andare a conquistare il fossato del nemico, difeso dai cecchini e da spessi reticolati. Un groppo alla gola, un uragano di emozioni lo frastornavano. “Fa che non muoia oggi” pregava. D’altra parte, ”se mòre na volta sol nela vita”. Quando l'ordine giungeva, doveva andare, avanzando sotto la tempesta delle mitragliatrici russe e incontro al fulmineo arrivo della temibile cavalleria dei Cosacchi.

Cinque passi di corsa, poi giù per terra appiattito, strisciava e si faceva piccolo, lui che era già piccolino. E tutt’intorno vedeva centinaia di uomini feriti, mutilati, morti con gli occhi aperti al cielo e le budella in fuori, a terra nel fango. Tanti cavalli erano a terra, riversi e immobili. Un tremendo incontro di baionette, urla di morte. Era costretto a uccidere per non essere ucciso. Vedeva l’altro, il nemico e il compagno di trincea con gli occhi senza più anima.
Una volta, dopo ventiquattro ore con la pancia vuota, dopo una serie infinita di „vorwärts e zurück e nider” uscì dal buco nella terra che si era scavato con la baionetta, dove stava con i piedi ormai nell’acqua, e si lanciò di corsa a zig zag con dei compagni verso la cucina da campo dentro una trincea vicina per avere da mangiare. Tre compagni morirono, lui la scampò anche questa volta.
Era l’unico Italiano in mezzo a una Compagnia di soldati che parlavano bosniaco e tra loro c’era dell’attrito dovuto alla diversità della lingua e all’esasperazione di quei momenti. Forse nemmeno lui capiva perché si trovava lì, a combattere contro chi, e assieme a chi. A volte molte difficoltà isolano e mescolano singole persone in una marea di nazionalità diverse, pur con la stessa divisa. La lotta per la sopravvivenza spesso esaspera i conflitti e l’individualismo. E a volte crea grandi amicizie.
Le battaglie furono sanguinose e durissime, con gravi perdite in ambedue i fronti. La Prima Guerra Mondiale si rivelò più lunga di quanto ci si aspettasse e divenne presto una guerra di posizione in cui le linee contrapposte si disputarono per anni pochi chilometri. Il 26 aprile, con il Patto segreto di Londra il governo italiano contrattò l’intervento dell’Italia in cambio di compensi territoriali( sappiamo già quali). Il 24 maggio 1915, tre mesi dopo la partenza di Stefano, l’Italia entrò in guerra contro l’Austria, ma i soldati di lingua italiana non avrebbero potuto riavvicinarsi alla loro terra, neppur per combattere, perché l’A.U. non si fidava di loro: era stato deciso che essi sarebbero dovuti rimanere sul fronte di Galizia, per evitare diserzioni.
E Stefano fu spostato a combattere a Gorlice , vedendo i compagni morire a grappoli, tra il fango innevato dove in certi tratti la neve era nera di sangue. La battaglia infuriava: giorno e notte sentiva il cannone, l’urlo degli shrapnel, lo schianto che producevano quando scoppiavano, il sibilo delle granate…Era una carneficina. I quattro Reggimenti Kaiserschützen e i tre Landesschützen dovettero essere ricostruiti più volte ex novo. Il primo reggimento Landsturm tirolese fu radicalmente distrutto e dovette essere reintegrato. In qualche modo il ragazzo sopravvisse, pur con l’anima grondante di dolore. I reggimenti tirolesi avevano soprattutto il compito di tappare i buchi che via via si verificavano lungo il fronte, perché i soldati , pur lottando valorosamente, morivano a migliaia in quell’inferno e moltissimi finivano in prigionia o disertavano, per sfuggire alla guerra. A giugno il battaglione con gli uomini rimasti, fu spostato sia in treno, sia con grandi marce a Przemysl, dove i soldati avevano ricevuto l'ordine di riconquistare la città con un assalto improvviso. La città era circondata interamente da forti, che alcuni mesi prima, comprendevano ben diciannove bastioni muniti di batterie di lunga e media gittata. Ormai molti forti erano distrutti, ma resistevano ancora all’assalto. Il terreno nei dintorni era ricco di paludi, di boschi, di campi di patate.
Stefano e i compagni raccolsero qualche tubero per sfamarsi, perché non era arrivato il mannaggio per la truppa. Agli ordini del generale Boroevic si avvicinarono alla fortezza da sud-ovest. Dapprima la resistenza dei russi fermò l'attacco e le forze dell’Austria-Ungheria dovettero arretrare.
Il 26 maggio 1915 iniziò la battaglia finale per la riconquista, attaccando in vari punti. Fra i reparti A. U. E i tedeschi s’innestò una specie di gara per vincere la città.
Tra il 30 maggio e il 2 giugno le unità tedesche, sostenute dal pesante bombardamento degli Skoda, riuscirono a catturare i forti sulla riva sinistra del fiume San. Le forze russe temettero la prospettiva di un assedio, come essi stessi avevano fatto in marzo e iniziarono un ritiro graduale da Przemy?l. Il 3 giugno 1915 fu ripresa dai Tedeschi la fortezza, dopo 73 giorni di occupazione russa . Stefano il Landsschützen era lì con tantissimi altri, davanti alla piazzaforte leggendaria, a osservare i ponti distrutti e le macerie ovunque. Le fiamme e il fumo delle esplosioni si levavano alti. Rimase nel luogo giusto il tempo di riposarsi qualche giorno, finché il reggimento dovette ripartire.
Il 7 ottobre 1915, a pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia, il bersagliere A.U Stefanin , inconsapevole delle decisioni politiche che giocavano con la sua giovane vita, fu preso prigioniero. Mentre lui e i compagni combattevano nella trincea, che essi stessi avevano scavato, con protezioni di sacchi di terra e rami intrecciati, furono sorpresi da una trentina di soldati Russi armati di baionette che accerchiarono i commilitoni. Stefano provò uno spavento terribile: lui disteso a terra, la baionetta russa lunga e nera puntata contro il petto, e un terrore tremendo. Anche questa volta gli fu risparmiata la vita. I soldati austriaci non poterono fare altro che arrendersi di fronte al nemico. Fu l’epilogo del periodo di guerra austriaca per Stefano. I soldati russi furono sbrigativi con i loro nuovi prigionieri: li sospinsero con il calcio delle baionette e lui e i suoi compagni furono portati sotto scorta verso il loro destino. A poco a poco si formarono lunghe colonne di prigionieri, costretti a estenuanti marce. Stefano provava un senso di umiliazione davanti ai poveri contadini dall’abbigliamento strano che guardavano passare i prigionieri, altrettanto miserabili, con sguardi inespressivi, a volte pietosi, accanto alle loro capanne dal tetto di paglia, le galuppe, casupole diroccate, le isbe galiziane costruite con sterco di vacca, argilla e fango. La neve cominciava a sciogliersi e dappertutto c’erano fango e pantano; dopo un lungo periodo di trincea gli uomini camminavano a stento. Una ventina di km prima di arrivare a Kiev, Stefano attraversò dei campi trincerati, protetti da parecchie file di filo spinato, a difesa della città. I russi erano stati previdenti nel preparare delle difese, a quella distanza dalle frontiere. Stefano si trovava davanti a grandi distanze, ma ormai non gli facevano paura,perché almeno lì non gli avrebbero sparato addosso e camminava senza stancarsi…. A Kiev entrò dalla parte delle colline, sulle quali stavano grandi caserme. La grande madre Russia era infine apparsa davanti ai suoi occhi. Sembrava dovessero camminare all’infinito, ma finalmente gli uomini furono condotti verso una tradotta, che li trasportò fino a Mosca, nei luoghi di raccolta e smistamento. E Stefano, come tanti altri, fu trasferito più volte, secondo un preciso disegno che voleva raggruppare tutti coloro che parlavano la stessa lingua. C’erano 156 campi conosciuti in Russia, ma moltissimi altri.
Fu inviato a Charchov e il campo era una vera babele e un inferno.I lager dove i prigionieri erano alloggiati erano costituiti da baracche sovraffollate e gelide, con tavole di legno per dormire. Il cibo era pane nero duro e una gamella di minestra: dovevano bastare per tutta la giornata. Mangiavano tutti assieme, in gruppi di 20 , da un padellon. Ci furono moltissimi morti di tifo e dissenteria.
Finì poi a Omsk, luogo dove erano concentrati molti italiani. Non andò a Kirsanov: non sapeva dell’esistenza di quel posto. A Omsk c’era una fame cruda: ai prigionieri era data comunemente zuppa di pesce o altra minestra insapore condita con olio di semi. La carne era un boccone, ogni tanto. Dormivano su tavolacci lunghi e stretti, e di notte ,spesso, al cambio del turno, dovevano giacere per terra, infestati dai pioci e tormentati dal prurito e dalle piaghe. “I vestiti i steva en pè da soli, mi schizevo, gratavo,schizevo per nient”. Poi gli fu permesso di lavorare nelle fattorie dei dintorni , per guadagnarsi qualche rublo per magnar. I contadini erano buoni con lui,i ghe dava da magnar e le maruske erano molto belle. La rivoluzione russa gli passò intorno, quasi inavvertita, ma un giorno vide passare lo zar con la famiglia su un vapore , portato in prigionia. Aveva amici trentini, aveva ritrovato con gioia il fratello, ma era anche amico di un certo Cernigoi Antonio, Triestin, molto simpatico . I momenti più duri li passò quando Rossi e Bianchi si misero a combattere tra loro. C’era gente nei dintorni uccisa tutti i giorni . Allora scappò e stette in una casupola nascosto 40 giorni .Poi fu avvicinato ad inizio 1919 dalla Missione Italiana. Fu portato a Vladivostok con la Transiberiana. Accettò la cittadinanza italiana e si arruolò come soldato della Legione Redenta, perché c’era una paga, perché sperava di tornare più in fretta a so casa e perché si sentiva italiano. Poi venerava il Maggiore Manera, che gli aveva promesso di riportarlo a casa. Suo fratello invece non si arruolò e rimase dentro di sé un po’ “Austriaco”, però firmò per l’Italia.
E fu così che tutti e due nel febbraio 1920, dopo tante promesse, dopo aver visto passare invano molte navi,dopo un’ attesa spasmodica di un anno e dopo 5 anni lontano da casa ….


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

IL VIAGGIO DI RITORNO DEL PIROSCAFO ENGLAND MARU

Oggi vorrei raccontare il viaggio che intraprese mio nonno (e moltissimi vostri nonni, cari Triestini) per tornare finalmente a casa sua.
Ho davanti a me la risposta alla supplica che sua sorella, dal paese natio, inviò alle autorità italiane nel 1919, per sapere se egli fosse ancora vivo e quando sarebbe potuto tornare. Tale risposta afferma che "sarebbe stata data la precedenza ai più anziani e meritevoli". Mi piacerebbe sapere cosa si intendesse affermare con "più meritevoli".
Mio nonno dal 1919 si trovava a Vladivostok, arruolato nella Legione Redenta. Era di presidio alla città, in mezzo a quotidiani assalti dei Rossi, ormai giunti alla grande città, ed a imboscate di ogni tipo. Faceva molto freddo, a Gornostai, quando vi saliva verso sera,tra la neve,trascinando un pò di legna per la stufa, se non era di servizio notturno. Pensava ardentemente, come a un miraggio, alla sua famiglia e sperava di tornare a coltivare in pace la sua campagna. Nel 1915 aveva indossato la divisa A.U ricevuta alla partenza per il fronte ; l’aveva usata per anni in prigionia come indumento di lavoro,anche se sbrindellata, aggiungendo però due stivaloni alla russa . Ora portava la divisa italiana.
Era stanco ed aveva visto partire molte navi, dalla baia del Corno d'oro, ed aveva incaricato i compaesani di portare sue notizie alla madre, ma si continuava a mormorare che l'Italia non avesse la possibilità o la volontà di mandare altri mezzi di trasporto. Migliaia di persone guardavano il mare verso l’orizzonte ogni giorno,con ansia, per avvistare le navi che arrivavano e partivano. Fu così che venne a sapere da un giornale statunitense che forse erano stati noleggiati tre piroscafi giapponesi e come un sogno vide arrivare da lontano la nave che sarebbe stata la sua salvezza,assieme alle altre due che la seguivano. I rompighiaccio aprivano la strada alla nave con difficoltà, ma lentamente la England maru si avvicinò alla riva e gli uomini poterono cominciare a salire a bordo. Parecchi di loro si recarono prima di partire, al cimitero costruito per Cecoslovacchi ed Italiani, sulla collina della città.
cimitero vladivostok.jpeg
cimitero vladivostok.jpeg (80.29 KiB) Visto 5718 volte
Il giorno 22 febbraio 1920 partì finalmente da Vladivostok il piroscafo “England Maru”, con a bordo il magg. Manera, 23 ufficiali e 1000 uomini appartenenti alla Legione Redenta.
nave eng.JPG
nave eng.JPG (19.86 KiB) Visto 5718 volte
Erano le ore 11 del mattino. Impazienti gli uomini - Trentini, Triestini e gli altri che alla partenza erano stati sudditi A.U.di lingua Italiana ed ora erano sudditi Italiani - si sporgevano a osservare il mare mosso, guardando pensosi l’allontanarsi della nave da quella maestosa città dove avevano vissuto per un anno come aggregati alla Missione Italiana e soprattutto da quelle terre Siberiane dove erano stati prigionieri o anche combattenti.
Il viaggio fu perturbato da una forte burrasca nei giorni 23 e 24 febbraio 1920.

La nave percorse il mar Giallo, giungendo il giorno 27 febbraio alle ore 8 a Shanghai. In questa grande città trafficanti provenuti da tutto il mondo avevano trasformato una palude malsana in una comoda città di stile europeo, con un grande mercato commerciale. Vi si trovavano anche tre Concessioni inglesi, americane, francesi che vi conducevano una vita principesca. C’era anche una Colonia Italiana, dalla quale gli uomini furono accolti festosamente. Gli uomini videro nelle strade molti risciò, tirati da uomini a piedi scalzi, come schiavi; c’erano anche molte bancarelle, dove i venditori offrivano merce di ogni tipo.
Chine Porte Le Shang-Hai-Kouan.jpg
Chine Porte Le Shang-Hai-Kouan.jpg (55.3 KiB) Visto 5718 volte

Il 28 febbraio la nave riprese il viaggio. Quattro giorni dopo sarebbero transitate di lì anche le navi Texas e France Maru. Le tre navi viaggiavano ognuna per proprio conto, a quattro -cinque giorni di distanza l’una dall’altra.
A Shanghai salì a bordo anche il tenente Gaetano Bazzani, che si trovava nella città per organizzare i viaggi. Bazzani incontrò a Shanghai il Capitano Del Piano, inviato a preparare il campo d’atterraggio per gli aviatori del raid Roma –Tokio, vinto da Ferrarin il 30 maggio 1920.

http://www.youkosoitalia.net/2010/03/30 ... ggio-1920/

Sempre a Shanghai capitò ai “ nostri” di poter ascoltare per caso in un parco cittadino l’orchestra del pianista italiano Mario Paci , direttore dal 1919 del Gran Teatro Sinfonico di Shanghai .

Poi gli uomini continuarono il viaggio lungo il mar Giallo, toccando il 3 marzo Hong Kong.
Molti si guardavano fatalisti e curiosi, molti pensavano al loro doloroso destino comune e alle famiglie che speravano di ritrovare , mentre al tramonto osservavano i banchi di meduse che illuminavano della loro fosforescenza la striscia di mare all’orizzonte. Percorsero il mare Cinese meridionale e giunti a Singapore l’8 marzo, sostarono un’intera giornata.
Scesero a terra e poterono ammirare il quartiere europeo col suo quai guarnito da palazzi, il giardino dell’Esplanade, la cattedrale gotica. Visitarono anche il quartiere rumoroso e variopinto popolato da Malesi, Cinesi, Indiani.

Continuarono costeggiando le isole Filippine, passando oltre lo stretto di Malacca (velato all’orizzonte dai monti vulcanici di Sumatra) la Malesia, Calcutta. Lungo l’oceano Indiano arrivarono in vista di Ceylon e sostarono a Colombo il 16 febbraio 1920 per due giorni .
In questa città gli uomini presero d’assalto l’ufficio postale per inviare notizie alle famiglie, sconcertando non poco gli impiegati perché volevano inviare la loro posta in ITALIA, mentre sugli atlanti del luogo queste regioni risultavano ancora territori Austroungarici! Colombo fu Colonia Inglese e vi si poteva notare un adattamento di stile occidentale a quello indigeno, il Pettah, o città nera, con le sue case basse come capanne, separate nettamente da quelle europee. Nella seconda giornata gli uomini poterono visitare Kandy, l’antica capitale dell’isola. Per strade fiancheggiate da palme e spesso aperte nella giungla, attraverso un paesaggio straordinario, giunsero alla città celebre per i suoi templi, quattro indù e dodici buddisti, avvolti nel verde di una lussureggiante vegetazione. Questo luogo incantevole si affaccia anche oggi su di un lago sul quale si specchia il “Tempio al Sacro dente di Buddha”. Nelle vicinanze si trovava il giardino botanico di Paradenija.
giardino botanico paradenja,Ceylon.jpg
giardino botanico paradenja,Ceylon.jpg (126.18 KiB) Visto 5718 volte




Il giardino botanico di Paradenija era un vero paradiso terrestre che raccoglieva le piante più meravigliose del mondo.: palme di ogni varietà, alberi della gomma con singolari radici che si diramano sopra terra, aracaurie, liane immense, piante delle droghe, cardamomo, pepe, noce moscata. Vi si vedevano fiori dai brillanti colori e dalle forme stravaganti, orchidee gigantesche, piante insettivore…


Alcuni uomini navigarono nel golfo di Manaar, passando fra le isole Maldive,dalle quali proveniva la luce di un faro. Le donne che si vedevano erano bellissime.
La domenica fu celebrata la Messa e nel pomeriggio la Banda dei soldati suonò per un paio d’ore.
Il viaggio continuò costeggiando l’isola di Sokotra lungo Aden, dove arrivarono il 20 febbraio 1920 verso le ore 14. Da Colombo ad Aden c’erano 2092 miglia. Ad Aden, regione squallida e pietrosa, senz’alberi e desertica, si fermarono per far rifornimento di carbone. Al porto faceva ressa una moltitudine d’insistenti venditori di merce, che seguivano le persone fino all’interno della città, tutta chiusa da rupi su cui correvano le mura delle antiche fortificazioni.

Ripartirono il 27 febbraio per il Mar Rosso, osservando a est le grigie montagne dello Yemen, a ovest la costa Eritrea con la torrida Massaua; costeggiarono quindi la penisola del Sinai, qui alcuni ufficiali fecero una visita al Cairo.
Attraversarono lo stretto di Suez .Quindi la nave riprese il viaggio, arrivando il 3 aprile 1920 a Port Said, fermandosi in zona un giorno. Ripartirono il giorno 4 aprile alle ore 5.
Ed ecco ormai sempre più vicino il Mediterraneo, con Navarino, Zante, Itaca, Corfù e ormai la nave toccava le coste dell’Italia e del mar Adriatico, attraverso lo stretto d’Otranto. La nave piena della speranza frustrata da sei anni di lontananza di migliaia di uomini passò accanto all’isolotto di Sant’Andrea, a Lissa, alle Isole Brioni, a Punta Salvore, a Capodistria e finalmente lo sbarco avvenne a Trieste il 10 aprile 1920 dopo quarantasei giorni di navigazione .
Nella stessa data i soldati italiani ricevettero il FOGLIO DI CONGEDO dalla Legione Redenta di Siberia, firmato dal maggiore Cosma Manera, dove si dichiarava che essi avevano servito con fedeltà e onore per quattordici mesi l’esercito Italiano (dal 5 marzo 1919 al 12 aprile 1920). Invece per gli uomini dei Battaglioni neri il periodo considerato partiva dal 1 agosto 1918.
I soldati provenienti dall’Estremo Oriente furono equiparati a quelli che avevano direttamente combattuto sul fronte italiano. Fu richiesta per loro una speciale medaglia , che indicava però “Guerra 1915 – 1918” senza riferimento ai combattimenti in Siberia.Gli ex prigionieri furono smobilitati in fretta, ricevendo però nelle rispettive città d’appartenenza il pacco vestiario e un premio di 50 lire.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Anche la nave Texas maru impiegò mesi nell'arrivare...
L'immagine del mare di Trieste che osservo qui sopra è particolarmente graziosa e delicata. Spero che mio nonno e tutti gli altri che erano a bordo dei piroscafi, che li portavano in salvo, abbiano visto al loro arrivo un paesaggio come questo, ed abbiano provato un senso di pace, dopo aver lasciato il mare di Vladivostok grazie ai rompighiacci.In aprile Trieste è molto bella e ricca di fiori, come ho potuto vedere. Stranamente in nessun diario ho sentito parlare della bora, perciò immagino il tempo sia stato clemente con questi uomini arrivati da lontano.
Uno di questi uomini portava in tasca una lettera, spedita tanti anni prima e conservata con amore.
In questa lettera non c'è una data, ma penso che essa sia del 1915 o 1916 . Non ci sono cognomi, perciò potrebbe essere sia Trentina sia Triestina.Ci sono solo due nomi e solo questo è importante. Questo scritto fa capire bene quello che le donne portavano nel cuore, e mi ha commossa, ancora una volta. Una lettera , a volte, può esprimere quello che di persona non si direbbe, specialmente a quei tempi, dove c'era molta riservatezza nei sentimenti. Leggo tra le righe un grande amore, ma anche un velo di timore che il marito possa tornare cambiato nell'anima, cosa che purtroppo successe a molti, turbati dai tremendi eventi che dovettero subire.

PAOLO E MENICA

Caro Paolo ti ò scritto molte volte , dacchè sei prigioniero, ma io non ho mai saputo se nemmeno uno dei miei scritti ti sarà arrivato. Io ò ricevuto da te tre cartoline dalla Russia e l'ultima portava la data dell'8 marzo. Dunque vedi sono cinque lunghi mesi che da te no ò più notizie.
Mio buon Paolo,la pena che io provo nel saperti così lontano in terre straniere e per di più privo di notizie, tu forse te lo puoi immaginare! Tu pure chi sa da quanto tempo stai aspettando mie notizie, poveretto! Oh! Quale ilusione è stata la nostra , quando l'anno scorso alla tua partenza, si credeva in 15 giorni, per lo più un mese, facessi ritorno. Ma ormai un anno di lunga trepidazione è scorso, dacchè è scopiata questa dolorosa catastrofe, questa guerra micidiale. .Ma facciamoci coraggio che come a avuto un principio, avrà pure un termine.
E' tanto doloroso per me come sarà anche per te essere così divisi nel più bello della speranza, in così poco tempo dal nostro matrimonio. Ma io spero mio Paolo che il Signore vorà concederci ancora giorni felici ,uguali a quelli che abbiamo passato in quel breve tempo della nostra unione. Io spero che i miei voti saranno esauditi.
Io sempre penso a te e per te prego e benchè indegnissima il Signore ascolterà le mie suppliche. Tu lo hai già indovinato quello che per te chiedo al Buon Dio e alla Madonna Benedetta.
In primo luogo che ti conservi in grazia Sua. In secondo luogo che ti conservi in buona salute e che possa ritornare quale sei partito, in bontà e virtù. Io niente posso dubitare dei tuoi buoni costumi.
Mio amatissimo, l'affetto ,l'amore, il rispetto che mi porti me l'assicura che tu sarai sempre il mio buon Paolo marito affezionatissimo.
Io te l'assicuro che altrettanto lo è di mè e che di più non potrei amarti.
In un altra cosa poi dobiamo amarci, colla preghiera e benchè lontani, unanimi preghiamo che il Signore ci dia sempre coraggio e forza a portare la Croce che ci ha mandato e che ci dia grazia di presto rivederci. Di te un momento solo non posso scordarmi. Tu sai bene che dopo Dio sei il solo che io possa amare in questa tera e sai ancora che te solo puoi rendermi felice, per te solo io voglio vivere.
Quando Paolo mio ariverà quel giorno felice che potremo abraciarci, che consolazione grande si proverà in quel giorno e voglio sperare che non sia lontano.Il buon Dio ce lo concederà.
Termino per questa volta , anche Mitta e zii tutti ti salutano.
Io godo proprio florida salute come spero di te pure. Salutami l'amico tuo e digli che facia in quel modo anche lui a scrivere.
Ora ricevi un abbracio e mille baci affetuosissimi dalla tua amatissima
Menica


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da macondo »

Leggermente OT ma interessante. Un lasciapassare per i soldati rimpatriati con la nave President Grant.
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Grazie Macondo, che piacere! Non credere che mi sia dimenticata dei viaggi di ritorno e ti ringrazio .Ci ho messo troppa passione, nel ricercarne la storia e i documenti . Semplicemente il piroscafo Texas Maru è ancora ormeggiato al molo di Vladivostok perchè sto aspettando che qualcuno più qualificato di me, possa continuare il racconto....se avrà tempo e desiderio di farlo...

Ma dovresti sapere che , in mezzo a tutti quegli uomini, sulle rive del Corno d'Oro, aspettando la nave, c' erano...
sembra quasi una favola, ma è una storia vera...

Mandi , per ora


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Beh, quel "qualcuno" non ha avuto tempo (?) e perciò ha delegato me a raccontare una storia, la sua storia.
Questa volta è stato più difficile del solito, perchè ho dovuto confrontare foto, documenti , lettere e memoria orale. Però racconto una microstoria del tutto autentica, come del resto ho sempre fatto. Abbraccia un lungo periodo , perciò l'ho suddivisa in due parti.
Questa è la prima parte.
Ho voluto affrontare il tema in modo inconsueto, dal punto di vista di chi ha vissuto il periodo della Grande Guerra appartenendo all' impero Russo. Dedico questa Storia con commozione a chi me l'ha raccontata e mi ha permesso di condividerla con voi.




LA STORIA DEL KULAKO IVAN

BOGDANOWKA , distretto di Omsk (Siberia Occidentale) , RUSSIA, 1914


Ivan era un bell’uomo,giovane, vigoroso e lavorava con piacere nel suo podere, così vasto che gli servivano diversi giorni per percorrerlo a cavallo. C’era molto da fare, dall’alba a tramonto, per coltivare i suoi estesi appezzamenti di grano, con l’aiuto dei due giovani fratelli e quello dei mugiki.
Era il figlio maggiore di un’importante famiglia di proprietari terrieri russi, i suoi genitori erano anziani e toccava a lui la responsabilità dell’amministrazione.
Quel giorno tornava stanco, seguito dai giovani fratelli che ridevano tra loro, spronando il cavallo e vide suo padre e sua madre sull’uscio di casa.
La madre, con le spalle avvolte in un ampio scialle di lana lavorato a mano, portava un fazzoletto nero che le serrava il capo, coprendole la fronte, così da lasciar scorgere solamente gli occhi ansiosi, corrugati, che spiccavano nel viso pallido.
L’anziano padre tormentava la fluente barba canuta, che si allargava a riccioli quasi a mascherarne l’espressione angosciata. Sul suo capo, al posto del consueto colbacco, c’era il berretto a visiera piatta lucida dell’Armata Imperiale.
Questo berretto delle grandi occasioni, più dell’espressione seria dei suoi cari, fece comprendere a Ivan che era successo qualcosa di importante.
Ivan, figlio mio, lo Zar è entrato in guerra con l’Austria-Ungheria e sei stato richiamato!”

Ivan era un kulako e da sempre era tradizione dei cosacchi di offrire un valoroso sostegno militare allo Zar, ricevendone in cambio compensi in oro e denaro e concessione di nuove terre. Anche il nonno aveva combattuto per lo Zar durante le guerre napoleoniche e il padre nella guerra russo-giapponese.
Dal 1875 i cosacchi servivano l’Imperatore per 20 anni, iniziando a 18 anni. I primi tre anni erano dedicati all’addestramento, i successivi quattro al servizio effettivo. Altri otto in condizioni speciali, i restanti cinque nella riserva. Il servizio prevedeva la concessione di terre dello stato per la propria sopravvivenza. Nei periodi di pace il soldato poteva tornare a coltivare le sue terre che in genere, a fine servizio, erano lasciate in proprietà al cosacco e ai suoi discendenti. Nel XIX secolo tra i cosacchi si era quindi formata una nobiltà di piccoli proprietari terrieri.

Ivan smontò da cavallo, tenendolo per le briglie, scrutando con occhi ansiosi l’oscurità dentro la sua abitazione, finché non scorse Anna.
Come sempre, rimase colpito dalla bellezza singolare della sua sposa, dalla grazia modesta che traspariva nella sua snella figura, celata da un vestito scuro, ma con il corpetto ricamato. Il viso era perfettamente ovale, illuminato dai grandi occhi espressivi . I lunghi capelli bruni erano raccolti strettamente sul capo, seminascosti da un fazzoletto a larghe bande, serrato da un nastro bianco.
Lei ricambiò il suo sguardo, ricordando quando, nativa di Zotino, all’età di 15 anni vide arrivare in casa alcuni “signori ricchi”, originari di Samara, che si erano stabiliti intorno al 1900 a Bogdanowka, a 8 km dal suo paese e che si accordarono con i suoi genitori per darla in sposa l’anno dopo a quel ragazzo sconosciuto… “un bel putel ben vestì” mai visto prima…(raccontò lei al nipote tanti anni dopo).

Matrimonio combinato, ma rivelatosi ricco d’amore. Purtroppo i primi due figli nati, morirono presto di vaiolo, lasciando delle ombre scure attorno agli splendidi occhi neri di Anna. Ma adesso, aggrappato alle sue lunghe vesti, c’era un bambino di 3 anni, Nikolaj, l’erede amatissimo della famiglia.

Quel bambino, appena nato, era stato immerso come da tradizione nelle acque fredde del ruscello Irtisch che lambiva le case, e grazie a questo era sopravvissuto ad una nuova epidemia di vaiolo.

Tutti e tre s’incamminarono verso le gialle estensioni di grano, fin dove iniziavano gli immensi boschi di betulle. Nelle stalle tutto era in ordine: mucche, pecore, maiali, cavalli erano ben accuditi. Nel cortile c’erano anitre, galline e oche.
Ivan volle soffermarsi un momento da solo, in mezzo al grano : aveva bisogno di riflettere. Quanto gli sembrava duro abbandonare la famiglia che amava così tanto, per un futuro incerto e una guerra così inaspettata...

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Ma questo momento di tranquillità fu presto interrotto e Ivan doveva ubbidire al suo dovere. Smise i vestiti da contadino e indossò la divisa e gli stivali di cuoio dei Cosacchi dello Zar. Era accorso anche il Pope a benedirlo, tutta la famiglia era radunata davanti all’abitazione ed anche i mugiki erano lì ad osservare.

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Ben presto, a cavallo, Ivan raggiunse il Reggimento. Era l’agosto 1914.

Dal Mar Baltico al Mar Nero il fronte russo-germanico si estendeva per circa 1200 chilometri e quello tra la Russia e l'impero austro-ungarico per altri 900 chilometri.
Nello stesso mese il nome della città di Pietroburgo venne mutato in Pietrogrado per far scomparire il suo suono germanico.
Fu così che una fiumana immensa di contadini e gente comune dai 18 anni in su fu inviata da Francesco Giuseppe in Galizia e un mare di uomini russi lasciarono i campi per andare a combattere contro di loro. Trincea contro trincea, e un pezzo di terra da conquistare a rischio della vita.
Ognuno di loro aveva con sé una foto, ed appena poteva scriveva alla famiglia, per mantenere un contatto in mezzo a quell’inferno fangoso.

Ivan con i suoi 25 anni era un uomo vigoroso e in sella al suo cavallo riuscì a sopravvivere per molto tempo, facendosi largo con la lancia e la sciabola.

“Cavalli, cavalli! Che cavalli! Ci sono forse fulmini annidati nelle vostre criniere? E, quasi senza sfiorare terra con gli zoccoli, sembravano tramutati in linee protese, volanti nell’aria”.

Come essi stessi amavano definirsi, i cosacchi nascevano a cavallo, la loro fama di cavalieri e la loro abilità con la sciabola erano leggendarie.

Gli Austroungarici e i Tedeschi avevano più armi, ma i Russi avevano uomini da mandare al macello a non finire. Erano un rullo compressore. Nel 1914 vennero mobilitati nel primo anno nove milioni di uomini russi. E i Cosacchi sembravano invincibili.

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Quella guerra che sembrava breve, era invece inarrestabile. Gli austriaci furono sconfitti nella battaglia di Leopoli (13 settembre 1914) ed tedeschi, per arginare l'avanzata russa in Bucovina, i primi di ottobre lanciarono una offensiva verso Varsavia che costrinse i russi a ripiegare, mentre la successiva controffensiva russa intorno a Cracovia venne respinta da Hindenburg. Le armate dello Zar a loro volta respinsero un’offensiva austriaca da Cracovia.
Nel marzo 1915 i russi riuscirono a ricacciare i tedeschi oltre la Vistola, ad impadronirsi della piazzaforte polacca di Przemysl ed a conquistare alcuni passi nei Carpazi ma, in primavera, il disgelo e le piogge che avevano trasformato le strade in fiumi di fango resero difficili gli approvvigionamenti ed i soldati dovettero far ritorno in trincea.
Il 2 maggio 1915 quattordici armate austro-tedesche penetrarono in Galizia; il 31 maggio riconquistarono Przemysl ed il 22 giugno Leopoli.
Varsavia dovette essere abbandonata e solo l'abilità del granduca Nicola riuscì ad evitare che la ritirata si trasformasse in una fuga disastrosa.
Nel giugno 1916 le truppe del generale Brussilov sferrarono una grande offensiva che sfondò il fronte austriaco. I russi occuparono Cernovitz e riconquistarono la Bucovina, la Volinia, la Galizia ed il primo ottobre riportarono una grande vittoria tra Leopoli e Tarnopol.
Ben presto, però, l’offensiva si affievolì e le truppe russe dovettero far ritorno nel fango delle trincee.
Ivan, intanto, continuava a lottare disperatamente a Varsavia, malgrado le ferite, in sella al suo fedele cavallo.
Una irresistibile, ma impari, carica di sciabole contro le mitragliatrici tedesche.

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Finché anche il suo coraggio non fu abbastanza per riuscire a resistere, e lui cadde nel fango insanguinato, concludendo a Varsavia la sua giovane vita, nel 1916.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Mentre scrivevo questa Storia, pensavo a come la guerra, ovunque sia, possa cambiare radicalmente le vite degli esseri umani. Quante vite spezzate, quante speranze distrutte, quanti orfani...


Prima di continuare il racconto , volevo trascrivere alcuni stralci di un diario, per far capire come cambiò, in Russia, la sorte dei prigionieri. Inizialmente segregati in Campi di baracche recintate, fu loro permesso in seguito di andare a far dei lavori presso i contadini o nelle miniere russe.

Scrisse il prigioniero Francesco M. nel suo diario siberiano :

15 maggio 1915
“Ora si può dire di essere in primavera. I salici e le betulle cominciano a vestirsi di verdi foglie. La semina del formentone è già terminata; adesso stanno seminando le patate. Crescono pure la canapa, il girasole, i cavoli ed il frumento. Il frumento viene macinato col mulino a vento; il pane ogni contadino lo cuoce nel suo forno, il lino e la canapa vengono filati a mano: insomma un secolo indietro! Ma noi non possiamo andare a lavorare per i contadini”

13 luglio 1915
“ La mattina di buon’ora venne l’ordine che anche i prigionieri italiani avrebbero potuto, se richiesti dai Russi, andare a lavorare. Finalmente!”

15 agosto 1915
“Abbiamo continuato a lavorare alla sgranatura del frumento. Questo lavoro viene eseguito a macchina. Le macchine che lavorano per il nostro padrone, nella fattoria dove siamo, sono tre. Ogni macchina sgrana giornalmente in media 150 quintali e sono impiegati in ognuna 30 uomini, tra mugiki e prigionieri.”

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CONTINUO ADESSO CON IL RACCONTO DI ANNA. RICORDO CHE E' BASATO SU DOCUMENTI, FOTO E RICORDI ORALI.

LA STORIA DI ANNA

1917

Bogdanowka, 1917
Anna intanto era rimasta una giovane donna sola, che doveva badare ad una fattoria con degli appezzamenti coltivabili enormi. Sentiva molto la nostalgia per il marito Ivan, ma aveva consumato tutte le sue lacrime per la sua morte, comunicatale da un emissario dello Zar l’anno prima. Era una donna forte, questo le aveva insegnato la guerra, che le aveva portato via tutte le speranze di un futuro felice.
Anche quel giorno si era recata ad Omsk. Osservando la poco distante Transiberiana, ripensò a quando lei, con tutti gli abitanti dei villaggi circostanti, erano accorsi, pochi anni prima, a vedere transitare il primo treno (i cani erano scappati terrorizzati e le galline, per settimane, non facevano più uova dallo spavento).

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Anna si riscosse dai suoi pensieri. Bisognava andare avanti, bisognava pensare a Nikolaj, l’amatissimo figlio. Nikolaj era cresciuto, ma a sei anni aveva bisogno delle sue cure, anche se la tata l’aiutava molto. Quanto le piaceva vederlo fare le capriole nel grano, o quando le portava il cesto delle uova, per rendersi utile.
Omsk era un città molto bella, ma lei sentiva già nostalgia di casa.

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Quel giorno, tornata all’isba, pensò di avviarsi verso il sentiero che costeggiava le betulle, dove si trovava la chiesetta ortodossa del Pope. Era rimasta turbata da ciò che aveva visto ad Omsk. Gente di tutti i tipi viaggiava a bordo della Transiberiana, ed inoltre aveva notato un grande campo di prigionia con migliaia di uomini. Parlavano una strana lingua e la gente del posto li chiamava “Talianski”. Aveva sentito cantare, verso sera, melodie tristi .
Il Pope le accarezzò il capo, rassicurandola, ma informandola anche che a Mosca era in atto una rivoluzione, che lo Zar Nicola II aveva abdicato e c’era in atto un governo provvisorio. C’erano scioperi e confusione ovunque. Ma lei non doveva preoccuparsi, perché in quella zona tutto ancora procedeva come prima, tutto era tranquillo. La consigliò di richiedere mano d’opera tra i prigionieri, dato che gli uomini russi erano scarsi, morti in guerra o prigionieri a loro volta. Lei non poteva mandare avanti tutto da sola.

Ed ecco un giorno arrivare alla fattoria un taliansko, alto, bruno, con i baffi folti. Chiedeva di poter lavorare ed Anna lo accolse ed ospitò, impietosita.

Giuseppe era molto solo, sofferente e in difficoltà. Orfano, senza nessuna proprietà a casa sua, gli era rimasto solo un fratello, morto o disperso in Russia.

Egli, da Bogdanowka, scrisse a una nobildonna che risiedeva vicino al suo paese, nota tra i prigionieri per l’aiuto nel rimpatrio: lei era l’unico contatto con il suo passato.

3 marzo 1917 , Bogdanowka, governatorato di Omsk:
“Io sono stato ferito a tutte due le gambe e adesso sono un po’ ristabilito, ma per il lavoro io non sono capace con le mie forze, essendo qui in Siberia molto freddo, dai 40 ai 50 gradi. Qui vivo proprio a tanto di non morire, senza genitori, dimenticato da tutti”


1 settembre 1917 , Bogdanowka, governatorato di Omsk

“Io mi ritrovo un poco in pace, avendo ricevuto la sua desiderata lettera. Spero nelle promesse che Lei mi ha fatto. Adesso sono solo qui, vi sono degli Italiani, ma lontani 500 km. Intanto le notifico il mio ottimo stato di salute.”

Ma Giuseppe mentiva, scrivendo, perché non era vero che gli “Italiani “fossero così distanti: erano concentrati ad Omsk, a migliaia. Lui aveva rinunciato a tornare in Italia da Kirsanov –Archangelsk, perché si era innamorato di Anna, la sua bella e fiera padrona. A casa sua nessuno lo attendeva, qui invece c’era una donna bellissima e una proprietà agricola fiorente, che gli avrebbe garantito un avvenire. Aveva deciso di trattenersi in Russia. Intanto si era ristabilito ed aiutava nei lavori agricoli, assieme ai mugiki che erano rimasti fedeli alla loro padrona. Alcuni di essi, invece, erano fuggiti unendosi alla Rivoluzione.

Quello del 1917 fu un inverno terribile: la neve era tanto alta che per uscire di casa si doveva scavalcare la finestra del secondo piano. Ma all’interno era caldo, il samovar del the era pronto, Nikolaj giocava tranquillo, la vita continuava e Giuseppe era fermamente convinto che lì si stava come in Paradiso.



Nell’orto vicino alla casa stava una piccola sauna per la famiglia, costruita in legno. Dentro c’era il forno per bollire l’acqua e scaldare il locale. Nel fuoco mettevano pezzi di ferro o pietre di granito o mattoni: questi, quando erano ardenti, servivano per formare il vapore, appena l’acqua vi veniva versata. A Giuseppe, la prima volta che provò, sembrava di morire, ed era scappato fuori, mentre Anna, come tutti i Siberiani, riusciva a stare per lungo tempo seduta su un tavolone. Questa era l’usanza tradizionale del sabato.

Nel 1918 Giuseppe propose ad Anna di sposarlo, mentre lei tornava dal raccolto delle fragole.
Anna, inizialmente restia, si era affezionata a quest’uomo, così solo come lei, ed accettò di unirsi a lui in un matrimonio ortodosso, celebrato dal Pope, che aveva dato la sua approvazione. Anna indossava un abito blu, come da tradizione.
L’altare stava dietro una porta finemente lavorata in legno dorato. Si alzarono canti nella lingua tanto amata.
Il Pope aspergeva i fedeli a volte con acqua benedetta, a volte con incenso. Poi ritornava dietro la porta e ricompariva mostrando un libro con la copertina d’oro. Infine alzò il calice tenendolo con le due mani sopra la testa. Quindi avanzò verso gli sposi con passo maestoso. Porse a loro con un cucchiaino dorato il liquido scuro contenuto nel calice e offrì del pane benedetto agli sposi e alla gente radunata nella chiesetta..
Tutti gridarono : za molodykh! (viva gli sposi!).


Ma i tempi sereni terminarono in fretta; attorno a loro cominciò ad infuriare la Guerra civile tra Rossi e Bianchi e nel frattempo la situazione ad Omsk stava diventando estremamente pericolosa.
L’ammiraglio Kolchak aveva instaurato una dittatura in Siberia lungo la Transiberiana, e a poca distanza dalla fattoria di Anna erano dislocati i Cechi, gli Italiani dei Battaglioni neri, gli Inglesi e altri . Gli scontri divennero violenti tra Rossi e Bianchi.
Questa che vedete fu l'abitazione dell'Ammiraglio Kolchak, ad Omsk. Qui teneva il suo "tesoro".

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Molta parte della popolazione russa civile era terrorizzata e ci furono molti morti (anche perché a volte si sospettava che nei villaggi si nascondessero soldati di uno o dell’altro schieramento) e ciascuna parte avversa fece il suo bel cumulo di morti (mai accertati numericamente).
Giuseppe aveva sentito parlare di una fattoria incendiata dai Bianchi nelle vicinanze, e questi avevano portato via animali da cortile e tutti i sacchi di grano, per portarli al loro accampamento.

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Molti cosacchi si erano uniti ai Bianchi, perché volevano restaurare l’antica autorità zarista. Finora la fattoria di Anna era stata risparmiata, ma chissà cosa sarebbe potuto succedere in futuro...

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Verso la fine del 1918 (novembre) arrivarono anche alla fattoria degli emissari da Vladivostok ad Omsk, alla ricerca di prigionieri italiani, per convincerli a tornare in Italia, optando.
Così Giuseppe, lusingato dalle promesse e intimorito dalle ultime e incontrollabili violenze dei Rossi nelle vicinanze, decise di tornare nella sua Patria .
Cercò di convincere Anna a recarsi in Italia con lui e il bambino. Lei non ne voleva sapere, ed anche il resto della famiglia era contrario (era l’unico maschietto della famiglia). Ma alla fine si lasciò convincere, perché temeva per il bambino, in tempi così terribili. Lui, per convincerla meglio, le raccontò un mucchio di fandonie, che in Italia era ricco e aveva terre (“…in Italia ci sono mucche enormi che si mungono con la scala!”).


Verso marzo 1919 i tre si recarono con una tradotta a Vladivostok, assieme a migliaia di Italiani e inspiegabilmente, malgrado avesse con sé la moglie ed il bambino, Giuseppe decise di arruolarsi volontario a Vladivostok nella Legione Redenti della Siberia l’8 aprile ed il 12 settembre fu nominato Caporal Maggiore.
D’altra parte, avrebbe ricevuto una paga e forse pensava che in questo modo avrebbe raggiunto l’Italia in modo più veloce.
Furono alloggiati a Gornostai, il cui nome in russo significa “Ermellino”, un rione collinare di Vladivostok. La sera s’inerpicavano con la slitta carica di legna lungo la collina per raggiungere la loro abitazione, nelle caserme.

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La situazione a Vladivostok era diventata pericolosissima, c’erano continui scontri e incursioni. Arruolarsi significava essere armati e fare azioni di Polizia in città e dintorni.
I Rossi, inoltre, nell’agosto 1919 cominciarono a vincere e ad avanzare verso la grande città. Ogni giorno, tenendo per mano il figlioletto, Anna si avvicinava al Corno d’Oro e scrutava il mare, quel mare che li avrebbe allontanati definitivamente dalla Terra in cui erano nati.
Riuscirono a partire da Vladivostok solo il 21 febbraio 1920, imbarcati sulla nave giapponese Texas Maru.
Oltre a loro s’imbarcarono 1200 soldati dei battaglioni rossi- Legione Redenta di Manera, 23 ufficiali della Legione Redenta, con altri ex prigionieri di guerra non optanti, al comando del Cap. Guassardo.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Da parte mia, una riflessione sulla Storia - memoria che vi ho raccontato. Migliaia di "nostri" ragazzi vissero sei anni in Russia. Non tutti soffrirono le pene dell'inferno, come nell'immaginario. Semplicemente soffrirono fame, freddo, pidocchi, nostalgia, rischio di malattie.... La gente comune russa, anche quella più povera, fu sempre generosa con i nostri prigionieri e l'ho letto in molti diari.
Quello che più mi è interessato in questa storia umana, è stato questo : ho letto in molti diari di ragazze russe conosciute là, a volte abbandonate quando c'è stata la possibilità del ritorno in "patria", anche se spesso ci furono dei matrimoni; ho letto di uomini che si sono portati qui le loro spose russe ed i figli.
Ma in nessun diario di ragazze russe arrivate qui,c'è mai stato scritto come ci erano arrivate in Italia. E come devono aver sofferto, lasciando le loro tradizioni e la loro terra, per sfuggire a una guerra civile pericolosissima, che sconvolse il loro mondo.
Pensare ad una ragazza come Anna, che con suo figlio rimase mesi a Vladivostok, in mezzo a uomini armati, che parlavano tante lingue diverse, tra agguati ed uccisioni continue, mi intenerisce molto. Deve essere stata una donna determinata, forte...anche nel proteggere suo figlio.
Insomma, sulle navi del rientro ci furono anche spose e bambini. Sulle liste delle persone a bordo delle navi non sono riportati.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Chiederei un favore agli amici del Forum, prima di proseguire con il racconto del Viaggio della Texas Maru.
Ho trovato, nel corso delle mie ricerche, che le tre navi giapponesi sbarcarono verso le ore 14 , ormeggiando al molo 4 del vecchio Punto Franco (vicino al Ponte verde).
Dato che finora non sono riuscita con certezza a trovare la foto dell'arrivo delle navi a Trieste, mi piacerebbe tanto per lo meno riuscire a capire quale è questo molo, per poterlo fotografare. C'è qualcuno che mi può aiutare?

Grazie Mandi


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