Massimiliano d'Asburgo, quando attraversa il Carso, lo descrive, nei suoi diari citati in un altro luogo di questo forum, come un luogo brullo e desertico. Proprio i rimboschimenti dell'amministrazione asburgica hanno arricchito l'altopiano di boschi di pino nero cui si stanno sostituendo pian piano quelli spontanei di carpino e roverella.
Tuttavia le pietre di calcare lo caratterizzano sempre. Pietre bianche, che l'acqua ha scavato e modellato e che fniscono, spesso, ad abbellire i giardini delle ville (è illegale). E siccome c'era un topic sui boschi, mi è sembrato giusto farne uno anche sulle pietre.
Comincio con una bellissima poesia, anche se non fa riferimento stretto al Carso triestino
Bella poesia, un poco triste, ma vorrei notare che questa pietra proprio tanto riarsa e disanimata non è. E, cercando tra i sassi, non ci vuole molto per scoprire un fioreGiuseppe Ungaretti, ed. Mondadori ha scritto:Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo.
La pietra, poi, lavorata dalla pioggia, assume forme fatte di scanalature e fori che, purtroppo,la foto rende male, perché occorrerebbe sempre una visione tridimensionale degli oggetti, e solo la luce radente del tramonto riesce in qualche modo ad evidenziare
Alla pietra del Carso, non dobbiamo dimenticarlo, si è ispirato Marcello Mascherini in alcune delle sue opere. La foto che riporto per completezza è di Sum Culex (e de chi senò! ).