


in un discorso per un'onorificenza o un premio all'Alliance Française triestina , secondo el Piccolo, par che el gabi ditto che el se emoziona de più davanti alla Marsigliese che alla Radetzky Marsch
Che ingrato!

De chi ? non conosso 'sto signorVetRitter ha scritto:Adler bruserà tuti i sui libri....
saluti
Magris francese onorario
il Piccolo — 17 aprile 2010 pagina 15 sezione: TRIESTE
«Ogni uomo ha due patrie, la propria e la Francia». Con queste parole lo scrittore Claudio Magris ha accolto ieri la nomina a socio onorario dell'Alliance Francaise di Trieste. «Fin da ragazzo – ha raccontato Magris durante la cerimonia di conferimento dell'onorificenza – la letteratura che mi ha formato è stata quella francese. Sono stati i grandi francesi e i grandi russi i libri che hanno segnato il mio modo di guardare il mondo, e ancora oggi – ha concluso il germanista – la Marsigliese mi commuove più della marcia di Radetzky».
CULTURA ITALIANA NEL MONDO - SPAGNA - CLAUDIO MAGRIS E LA CITTA' DI "TRIESTE" -A BARCELLONA MOSTRA-EVENTO MULTISENSORIALE, MULTICULTURALE, MULTI....UNA CITTA' SIMBOLO DELLA NOSTRA EPOCA
“La mostra vuole parlare di un luogo, di una città, che si chiama Trieste. E’ una delle città più particolari dell’Italia. Oggi è quasi un mito per gli italiani. Come mai? Arrivando a Trieste duecento anni fa, molti immigrati si sono domandati: dove siamo? che luogo è questo? Fino ad allora si trattava di un borgo di pescatori, e a quell’epoca, a metà del Settecento, cominciò però a crescere rapidamente. Cominciò ad essere popolata da gente proveniente da mezza Europa: italiani d’ogni dove, greci, turchi, armeni, cechi, ungheresi, romeni, tedeschi, polacchi, albanesi, serbi, bosniaci l’avevano rapidamente fatta propria, vi avevano trapiantato le loro imprese, le botteghe, le attività commerciali e finanziarie. Trieste era una Babele, la prima Babele d’Europa. Ma Babele, ultimamente, è stata rivalutata. Non è più considerata solo un luogo di incomprensione, di confusione, ma anche un posto dove nascono esperienze nuove, comunità umane di un nuovo tipo, dove la diversità ha un valore, non è soltanto qualcosa che crea problemi, è anche un nuovo accrescimento, arricchimento umano,” afferma il curatore della mostra Giorgio Pressburger, famoso regista originario di Trieste.
C’è però un punto fermo in tutto questo: la figura di uno scrittore, che è qui, fra noi, vive nel nostro tempo. E si muove ogni giorno, con il suo passo veloce, nelle strade di Trieste come di tutto il mondo. Questo scrittore si chiama Claudio Magris e il suo nome è ben noto anche in Spagna e in Catalogna. I suoi oggetti, i suoi libri, le sue fotografie sono brani di vita” conclude Pressburger che nella mostra ha dato spazio non solo al grande autore di “Danubio” ( lavoro da cui ha tratto un applaudito spettacolo teatrale) ma anche a molti scrittori ed artisti legati in qualche modo a Trieste come Saba, Svevo, Pahor, Rebula, Merkù, Kosovel, Rilke, Joyce, Veruda, Silvestri, Dudovich...
nell'articolo originario, Pressburger invita soprattutto a visitare Trieste.Particolarmente interessante la sezione dedicata alla tolleranza religiosa di questa città raccontata attraverso i nove cimiteri e le diverse chiese, ognuna riservata ad un culto differente.
Una particolarità ribadita nella sezione “Il non Luogo” che illustra il carattere multi-etnico e aperto che Trieste ha sempre avuto, talmente accentuato da creare una sorta di “sperdimento” geografico.
MIGRANTI, RICORSI STORICI
Barriere e confini, il ritorno asburgico e la furia nazionalista
L’impero austro-ungarico era minato da odi che divampavano all’ombra dell’idea sovranazionale. Uno spettro che ritorna, all’indomani della crisi dei rifugiati
di Claudio Magris
lui conosce il mito absburgico....
«Ai miei popoli». Così iniziavano i manifesti dell’imperatore absburgico e così iniziava pure quello con cui Francesco Giuseppe annunciava lo scoppio della Prima Guerra Mondiale che avrebbe dissolto il suo impero. L’immagine dei «miei popoli» suggerisce un’atmosfera di concordia armoniosa, di nazionalità diverse pacificamente conviventi grazie al sentimento di appartenere a una compagine plurinazionale, garante delle singole culture.
Alcuni ora si stupiscono di vedere che, nella chiusura di frontiere e nella costruzione di steccati e reticolati per respingere le ondate di migranti, si distinguano per particolare zelo gli Stati nati dalla dissoluzione dell’impero absburgico, dall’Austria all’Ungheria alla Repubblica Ceca e a vari Stati balcanici. Ciò è doloroso, ma non è tanto strano. Anzitutto lo stesso impero absburgico, ex patria comune di molti di quei Paesi, era minato da quegli odi nazionali che divampavano all’ombra della sua grande idea sovranazionale, certamente foriera di civiltà ma talora contraddetta dalla sua stessa politica e alla fine stravolta dalla distruttiva e autodistruttiva esplosione dei vari nazionalismi, sempre più scatenati all’interno dello stesso impero come pressochè dovunque in Europa.
Le relazioni fra austriaci e ungheresi, nella Duplice monarchia austroungarica, ad esempio, erano tutt’altro che rosee. Una guerra doganale tra l’impero d’Austria e il regno d’Ungheria aveva indotto quest’ultimo a considerare e a risarcire come vittime di guerra commercianti ungheresi gravemente danneggiati dai dazi austriaci. I rapporti tra ungheresi e slovacchi e croati, italiani e sloveni, ruteni e polacchi erano spesso duramente conflittuali. In alcuni reggimenti ungheresi si brindò alla notizia dell’assassinio a Sarajevo di Francesco Ferdinando, perché quest’ultimo era fautore del trialismo ossia voleva dare ai diversi popoli slavi, numerosi nella compagine absburgica, una dignità e un potere pari a quelli degli ungheresi e degli austriaci. La Storia è ricca di contraddizioni: l’Austria, culla di un grande pensiero sovranazionale, è stata un fecondo vivaio del nazismo.
Non c’è dunque solo da stupirsi se molti paesi ex-absburgici si rivelano non meno duramente chiusi di altri paesi all’accoglienza dei dannati della terra che arrivano da ogni parte. Già molti decenni prima dell’immigrazione attuale molti di essi hanno avuto i loro sogni e progetti nazionalisti: il sogno della Grande Ungheria, della Grande Romania e altri ancora, ognuno dei quali presupponeva la sopraffazione del vicino. Inoltre la durata della Storia è lunga, affonda nei secoli, ma è anche breve, almeno alla mutevole e violenta superficie. Tito si stilizzava come un Francesco Giuseppe per la sua creazione di una Jugoslavia plurinazionale e unita in un senso di comune appartenenza e destino e tale essa per un certo periodo è stata, ad esempio nel periodo delle tensioni con l’Italia. Pochi decenni dopo, quell’unità si è infranta in una guerra atroce e fratricida, che ha reso i popoli balcanici ferocemente stranieri e nemici gli uni agli altri. Se serbi e croati si sono massacrati per qualche spostamento di frontiere, non è strano anche se è drammatico che ora chiudano le frontiere a genti lontane e indistinte.
Inoltre quasi tutti i paesi ex absburgici hanno vissuto molti decenni di giogo sovietico, che ha pesantemente influito sulla loro realtà e sulla loro identità e forse sono ancora troppo occupati a leccarsi quelle proprie ferite per poter aprirsi agli altri. Del resto altri Stati europei, che non hanno avuto quegli sconquassi, non si dimostrano certo più sensibili alle tragedie che arrivano alle nostre porte. Quelle frontiere chiuse, quei reticolati non si spiegano tanto col passato di chi li innalza, ma con la crescente e paurosa instabilità che sta cambiando il mondo in una misura apparentemente inarginabile e che sarà sempre più difficile fronteggiare umanamente. Il problema non è costituito dalle barbariche predicazioni di odio e di paura che si sentono spesso. Il fenomeno delle migrazioni sta diventando un processo mondiale che il nostro sistema di vita non è capace di ordinare. Quelle fiumane di gente sventurata che chiede solo di poter vivere potrebbero diventare così grandi da rendere oggettivamente difficile dar loro la possibilità di vivere. Forse quelle migrazioni sono l’avanguardia oscura di un grande e non lontano cambiamento simile alla fine del mondo antico, un cambiamento che non riusciamo a immaginare. I nuovi, arroganti e beoti padroni della terra si illudono che il loro dominio, i loro bottoni che spostano a piacere uomini, cose, ricchezza e povertà, sia destinato a durare in eterno. Esso potrebbe crollare come è crollata Babilonia e i migranti di oggi o meglio i loro prossimi discendenti si aggireranno fra le rovine della ricchezza tracotante e volatilizzata come un tempo i barbari fra le colonne e i templi abbandonati.
26 febbraio 2016 (modifica il 27 febbraio 2016