"I Soldati dell'imperatore"

Austria-Ungheria, K&K, "vecchie province" e ...
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babatriestina
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Messaggio da babatriestina »

AdlerTS ha scritto: El ministro Stadion gaveva firmado nel 1849, intanto, una legge che sanciva l'ordine de precedenza delle lingue all'interno dell'esercito: tedesco prima, ma subito seconda l'italian, anche in forza del dialetto adriatico parlado in massa nella marina militare.
Seguiva quindi ungherese, boemo, polacco, ruten, sloven,croato e romen. Furlan quindi non jera ;-)- Poi se sa comunque che vigniva usada una lingua maccheronica definida Armee slavich che funzionava da lingua universale.
mi scometessi che dopo el compromesso del 66 nela parte ungherese la lingua ufficial anche nel esercito iera l'ungherese, te me conterà co te sarà arivado a quela pagina.
papà che ga fato el militar ga dito che la lingua uficial dei ordini iera el tedesco: Habt acht!!! ( attenti)
Po iera le traduzioni, classico el racconto, sempre nela prima guera del bolletin che comincia con Schwere Wolken ( Gravi nubi si addensano all'orizzonte..) e che vien tradotta con Sior capitano disi che domani piovi


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AdlerTS
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Messaggio da AdlerTS »

Andiamo avanti: la propaganda risorgimentale ha più volte sottolineato le diserzioni italiane nei confronti della leva austriaca, però vanno fatte le debite distinzioni, specialmente tra il 1848 ed il 1866. Nei testi scolastici poi non si sottolinea per niente che già nella cosi detta I guerra di indipendenza si fronteggiarono in gran numero italiani contro italiani, specialmente a Sorio, Montebello, a Milano ed a S. Lucia (meno a Custoza e Novara). Nel ‘48 si ebbero grandi diserzioni un po’ ovunque, ma andando a fondo si scopre che pochi lasciarono un esercito per passare a dall‘altra parte, bensì era molto più frequente il caso della semplice fuga verso casa. Statisticamente, si comportarono molto peggio i reggimenti ungheresi ed addirittura in Ungheria gli italiani non esitarono ad ammutinarsi ai loro ufficiali, ungheresi appunto, quando questi ordinarono loro di marciare contro le autorità imperiali.
Maximilian ha scritto: In ogni caso, al ritorno delle divise austriache a Milano, la folla plaudente gridò: "Sèmm staa minga numm, hinn staa i sciori". "Non siamo stati noi, sono stati i signori". La stessa folla che, all'arrivo dei francosardi dopo la battaglia di Magenta, si chiuse in un silenzio ostile.
Nel totale delle diserzioni, poi, la maggior parte era composta da gente di città, mentre la gente di campagna si rivelò più fedele all’Aquila Bicipite, soddisfatta addirittura dell‘esito degli eventi. Radetzky, fortemente mal visto dai nobili, nobilotti e borghesi, ma amato dalla gente più semplice per la quale godeva di fama di raddrizza torti e di paladino dei poveri, avrebbe potuto spostare per tempo le truppe italiane e sostituirle con altre di nazionalità diverse, ma preferì l’azzardo di lasciarle al loro posto: tutto sommato la cosa funzionò. Per i numeri esatti delle defezioni compagnia per compagnia rimando all’ottimo testo del libro, mentre, per riassumere in due parole, le cifre tramandate dalla storia sono sicuramente gonfiate.
L’Imperatore accordò alla fine una riduzione del servizio di un anno a tutti gli italiani che gli erano rimasti fedeli, mentre un aspetto tragi-comico della diserzione fu il recupero spese imposto dal governo nei confronti dei famigliari del disertore che dovevano accollarsi la spesa di ripagare divisa ed armamento.
Nel 1866 si ebbero ancora meno defezioni. A Magenta, a Solferino, a San Martino, italiani combattevano contro italiani ed alcuni reggimenti autoctoni si meritarono medaglie d’oro e d’argento al valore. Avvenne poi addirittura un fenomeno contrario, per il quale migliaia di abitanti della nuova italia decisero di passare all’esercito austriaco o di disertare comunque quello italiano. A Verona, in piazza Bra, esiste una lapide che allude alle violenze commesse dalle forze imperiali durante le ultime fasi di possesso della città: la lapide non scrive che la guarnigione impiegata a Verona era il 22°, giuliano…
Tra i primi paradossi degli italiani, tanto per non smentirsi, ci fu quello di pretendere dalle famiglie dei disertori austriaci la stessa “tassa” che queste dovevano a Vienna per ripagare lo Stato della fuga del soldato: in questa maniera, la prima beffa di chi era passato dall’altra parte della barricata fu di esser costretto a pagare all’italia per questo suo gesto.

Questo mio vuole essere solo un riassunto per sommi capi … agli interessati consiglio l’enciclopedico e minuzioso librone.


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Maximilian
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Messaggio da Maximilian »

Mack Smith, smodatamente italofilo, ammetteva che, nella guerra del 1859, i lombardo-veneti inquadrati nell'Esercito Imperiale si erano battuti bene, e con molto impegno.


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Maximilian
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Messaggio da Maximilian »

Ho acquistato il libro e l'ho letto molto volentieri. Ciò che ho subito apprezzato del volume è la sua analiticità: invece di dedicarsi al "mare magnum" dei documenti in circolazione ha preferito concentrarsi sulla situazione di un piccolo comune veneto (Montagnana) e, di lì, effettuare "puntate" nella situazione generale (sia del Lombardo-Veneto, sia del resto dell'Austria).
Il libro non è ciò che si dice un trattato "tecnico" di storia militare, ma è molto divulgativo, e può essere letto facilmente da chiunque.

L'impostazione mi è piaciuta molto: "I soldati dell'Imperatore" non si può certo definire un libro filo-austriaco, ma - se eccettuiamo qualche rara espressione un po' sbilanciata dal lato "patriottardo" - un trattato oggettivo, che spiega le cose come sono andate, comunicando al lettore tutte le informazioni a disposizione. Come dovrebbero essere tutte le pubblicazioni storiche. Invece, come tutti sappiamo, sul cosiddetto risorgimento sono fioriti i libri "scritti dal vincitore", che hanno umiliato l'approccio scientifico e il mestiere stesso di studioso di storia. Probabilmente, ciò non è stato frutto solo di fanatismo, ma anche (e soprattutto) di calcolo politico: condurre in porto un'opera di falsificazione sulla storia significava organizzare un lavaggio del cervello collettivo. E così è stato fatto: nelle generazioni successive, è stato rimosso quell'approccio filo-imperiale che era così diffuso nel Lombardo-Veneto (e soprattutto nelle campagne).

Ecco, mi piacerebbe sapere se qualcuno ha approfondito questo aspetto: in che modo è stata sradicato il ricordo della storia così come si è svolta, in che modo sono stati indiririzzati milioni e milioni di giovani (e non solo nel Lombardo-Veneto: anche a Parma, Napoli...), privati del senso critico e del diritto di studiare la storia tramite l'indagine e l'imparzialità.

Intanto, accontentiamoci dell'importante contributo di Costantini. Che, ripeto, ha scritto un volume oggettivo. Questo chiediamo: libri che si occupino di storia senza dimenticare le fonti, da un approccio "terzo". Nulla più.


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babatriestina
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Messaggio da babatriestina »

Maximilian ha scritto: sul cosiddetto risorgimento sono fioriti i libri "scritti dal vincitore", che hanno umiliato l'approccio scientifico e il mestiere stesso di studioso di storia.

Ecco, mi piacerebbe sapere se qualcuno ha approfondito questo aspetto: in che modo è stata sradicato il ricordo della storia così come si è svolta, in che modo sono stati indiririzzati milioni e milioni di giovani (e non solo nel Lombardo-Veneto: anche a Parma, Napoli...), privati del senso critico e del diritto di studiare la storia tramite l'indagine e l'imparzialità.
.
al di là che credo che la presentazione della storia non possa MAI essere imparziale, per cui è meglio farsene un'idea vedendola da più prospettive, è appena uscito nei Paperbacks del Mulino, di Derek Beales e Eugenio Biagini Il risorgimento e l'unificazione dell'Italia che appunto nell'introduzione dedica un po' di rassegna delle visioni del Risorgimento nelle epoche storiche e a seconda delle prospettive. Essendo scritto da un inglese ( il Biagini ha riveduto e aggiunto qualche capitolo all'originale) presenta , vista dall'esterno, la visione italiana ottocentesca, quella idealistica crociana, quella marxista di Gramsci
Il Risorgimento è uno svolgimento storici complesso e contraddittorio, che risulta integrale da tuti i suoi elementi antitetici, dai suoi protagonisti e dai suoi antagonisti, dalle loro lotte, dalle modificazioni reciproche che le lotte stesse determinano e anche dalla funzione delle forze passive e latenti come le grandi masse agricole, oltre, naturalmente, la finzione eminente dei rapporti internazionali[url] bell'esempio de prosa marxista!!
poi la storiografia inglese ( Mack Smith, Seton Watson : li hai letti?)..
il libro suggerisce la lettura di Il Risorgimento nel dibattito contemporaneo 1998 in Rassegna storica del Risorgimento L XXXV n 1, e Maturi: interpretazioni del Risorgimento Torino 1962. Leggili e poi ci racconti..
Ci sono studi austriaci contemporanei sull'epoca? li conosci? ce ne sono traduzioni italiane?


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Maximilian
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Messaggio da Maximilian »

babatriestina ha scritto: credo che la presentazione della storia non possa MAI essere imparziale
Mah, non è facile, ma è possibile. Detto questo, ci sono due modi di fare storia in modo corretto.
1) Quello "cronistico", che cerca di narrare fatti, nessi causali ed effetti senza esprimere un'opinione;
2) Quello più "schierato", che prende apertamente una posizione, presentando però tutti i documenti, i fatti e, possibilmente, anche le opinioni.

e due modi scorretti:

3) Quello finto-cronistico, che dietro il paravento dell'oggettività omette, in realtà, fatti o documenti;
4) Quello schierato che, oltre a prendere apertamente una posizione, falsifica in qualche modo la storia.

A me può andare bene l' 1) o il 2) (dipende anche dai contesti), non il 4), e tanto meno il 3).

Nel raccontare il cosiddetto risorgimento, l'ampia pubblicistica dall'anno 1860 a oggi ha, salvo ragguardevoli eccezioni, falsificato completamente la storia. Spesso con toni enfatici, tromboneschi, ridicolmente patriottardi; talvolta, invece, in modo più viscido. I sussidiari incaricati del lavaggio del cervello dei ragazzi (non sottovalutiamoli: più di metà dei cittadini si formano su quelle corbellerie...) appartengono spesso a questa categoria.

babatriestina ha scritto: Ci sono studi austriaci contemporanei sull'epoca? li conosci? ce ne sono traduzioni italiane?
Contemporanei non ne conosco...


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Maximilian
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Messaggio da Maximilian »

babatriestina ha scritto: poi la storiografia inglese ( Mack Smith, Seton Watson : li hai letti?)..
Forse la storiografia inglese è quella su cui ho insistito di più... Mack Smith è sicuramente un "ultra" italofilo, però certi fatti li riporta. Dall'altra parte, per esempio, Crankshaw è fortemente austrofilo e anche un po' melenso, ma non omette nulla. Seton-Watson è moderatamente filo-italiano (o sbaglio?), ma mette in buona luce l'assurdità del processo risorgimentale...


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AdlerTS
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Messaggio da AdlerTS »

Un altro libro che mi hanno consigliato di leggere è "L'altro Risorgimento" di Angela Pellicciari, edizioni Piemme: sembra sia frutto di un lavoro molto minuzioso di ricerca.
Maximilian ha scritto:in che modo è stata sradicato il ricordo della storia così come si è svolta, in che modo sono stati indiririzzati milioni e milioni di giovani (e non solo nel Lombardo-Veneto: anche a Parma, Napoli...), privati del senso critico e del diritto di studiare la storia tramite l'indagine e l'imparzialità.


Da noi nel 1918 hanno sostituito in massa maestri e preti :?


muiesan
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Messaggio da muiesan »

El nono de mio nono, se ga fato OTO ani de naja soto Radeschi (scrito ala istriana) in artilieria. A Solferino mio nono me diseva che sto vecio contava che prima che cominci la batalia ga fato un temporal con grandine grande come pomi che ga fato strage dele fanterie. El iera a Milan e a Venezia, dove che iera sempre pupoli perchè i veneziani ghe malediva la mare a sto "tedesco" che però capiva cossa che i diseva.
AdlerTS ha scritto:La parte buffa e impensabile per i giorni nostri xe che tra tutti gli abili, cavadi quindi i veci, i muleti, i maladi e tuti quei per vari motivi dispensadi, la selezion vigniva PER ESTRAZION A SORTE ! :P Ogni Comun gaveva la sua cerimonia, con Podestà , Parrocco, etc e se pescava la baleta col numero, dove numero basso voleva dir esser arruolado e numero alto significava esser lassado a casa. Pareria che derivi da questo el termine ancora in uso ogi giorno de dir "te ga trovado la bala de oro!"
L'arruolamento i lo fasseva coi libri dele parochie: rivava un uficial in paese, ciodeva fora i libri e mandava a ciamar tuti, e dopo i meteva tante s'cinche quanti che iera i omini in una casseta serada, ogni tante bianche iera una nera, se fasseva la leva, e chi levava una nera se curava oto ani de naja. Quando che el xe tornà a casa, el ga trovà un col careto col muss che andava verso Capodistria e el ghe ga domandà che lo porti. I se ga acorto che iera pare e fio quando che i ga visto che i stava andando nela stessa casa.


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Messaggio da ffdt »

muiesan ha scritto:[...] I se ga acorto che iera pare e fio quando che i ga visto che i stava andando nela stessa casa.
flag_ts che tristeza ... :-( ... ste cua xe robe che me fa pensar che fusi de abolir le guere e i exerciti .. ghe ne xe anche altre che me lo fa pensar, ma cuele che piu` me toca xe cuele contade de la gente che le ga visude ... ... ... ... ... e no xe vero che existi la storia "minore" ... ... ... tuti i patimenti ga la stesa dignita` e fusi de evitarli

si, so ... son andado OT ... ... ...

flag_fr quelle triste histoire ... :-( ... ces choses me font penser qu'il faudrait abolir les guerres et les armées ... il y en a aussi d'autres que me le suggèrent, mais celles qui me touchent plus ce sont celles qui sont racontées par les personnes qui les ont vécues ... ... ... ... ... et il n'est pas vrai qu'il ya une histoire "mineure" ... toutes les souffrances ont la même dignité et il faudrait de les éviter

oui, je le sais ... je suis allé hors du sujet ... ... ...

flag_uk what a sad story ... :-( ... these things make me think that we should abolish wars and armies ... there are also others that suggest this to me, but those that touch me the most are the ones told by the people who lived them ... ... ... ... ... and it isn't true that there is a "minor" story ... all sufferings have the same dignity and should be avoided

yes, I know ... I went off topic ... ... ...


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Messaggio da AdlerTS »

muiesan ha scritto:El nono de mio nono, se ga fato OTO ani de naja soto Radeschi (scrito ala istriana) in artilieria. A Solferino mio nono me diseva che sto vecio contava che prima che cominci la batalia ga fato un temporal con grandine grande come pomi che ga fato strage dele fanterie. El iera a Milan e a Venezia, dove che iera sempre pupoli perchè i veneziani ghe malediva la mare a sto "tedesco" che però capiva cossa che i diseva.
Xe bel 'sto "el nono de mio nono ghe contava a lui muleto che dopo de grande me ga contado a mi". Tante famiglie non riva cussì indrio con le robe tramandade a vose. :P


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Messaggio da muiesan »

Xe belissimo, ma forsi xe pochi che se ricorda, pochi che conta, pochi che ga robe de contar e, forsi più grave, pochissimi che scolta.


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Siccome Maximilian sicuramente non legge Il Piccolo, riporto che è uscito un altro libro con un tema analogo: "I senza storia. Uomini al servizio di Francesco Giuseppe 1914-1918 - testimonianze, memorie, diari e documenti d'Archivio" scritto da Giorgio Milocco ed edito dallo studio grafico Barut alle Poligrafiche San Marco e parla appunto delle genti di lingua italiana sul fronte AU.
Se mi capita per le mani in libreria gli darò un'occhiata :wink:


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Messaggio da McFriend »

Un amico mi ha regalato un bel libro che forse non tutti lo conoscono e forse puo interessare anche quelli della sezione inglese.
Il titolo: Lawrence Sondhaus, In the service of the imperor, italians in the Austrian armed forces 1814-1918, East european monographs, Boulder, distributed by Columbia University Press, New York. 1990
1. Before the Risorgimento, the army and navy, to 1814
2. We must not expect more... than is reasonable, the army 1814-1848
3. Discipline and ignorance, the army 1848-1866
4. Austria's italian navy, the navy, 1814-1848
5. Denouement at sea, the navy, 1814-1866
6. Under the dual monarchy, the army and navy, 1867-1918 :wink:


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Messaggio da AdlerTS »

Attendiamo tuoi commenti o parti interessanti del libro :wink:


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Messaggio da AdlerTS »

A proposito del Lombardo-Veneto, mai visto el testo dell'armistizio tra Italia e Austria del 1849 ?

Atto di armistizio

Vittorio Emanuele, re di Sardegna, al quale S. M.il re Carlo Alberto, al momento della sua abdicazione, affidò il comando in capo dell' esercito, viste le circostanze della guerra, conchiuse con S. E. il maresciallo conte Radetzky una sospensione d'ostilità, le cui condizioni (che le parti contraenti si obbligano a mantener fedelmente) sono le seguenti.

Art. 1° Il re di Sardegna assicura positivamente e solennemente che s' affretterà a conchiudere con S. M. l'imperatore d' Austria un trattato di pace, del quale sarebbe preludio quest'armistizio.

Art. 2° Il re di Sardegna scioglierà il più presto passibile i corpi militari formati di lombardi, ungheresi e polacchi, sudditi di S. M. l'imperatore d’Austria, riservandosi tuttavia di conservare nel proprio esercito alcuni ufficiali dei suddetti corpi, giusta le sue convenienze.
S. E. il maresciallo conte Radetzky s' impegna a nome di S. M. l ' imperatore rf' Austria, perché sia accordata piena ed intera amnistia a tutti i sopradetti militari lombardi, ungheresi e polacchi, che ritornassero negli stati di S. M. I. R. austriaca.

Art. 3.° Il re di Sardegna permette, finché dura l' armistizio , l'occupazione militare, per opera di 18 mila uomini di fanteria e 2 mila di cavalleria delle truppe di S. M. l' imperatore, del territorio compreso fra il Po, la Sesia ed il Ticino, e della metà della piazza di Alessandria.
Le truppe sunnominate, in numero di 3 unita, potranno fornire la metà della guarnigione della città e fortezza di Alessandria, mentre l ' altra metà sarà fornita dalle truppe sarde. La parola di S. M. il re é garante della sicurezza di queste truppe di S. M l'imperatore. Quest' occupazione non avrà influenza alcuna sull'amministrazione civile e giudiziaria delle province comprese nel territorio suddetto.
Le truppe austriache avranno libera la via da Valenza ad Alessandria per la loro comunicazione con la guarnigione della suddetta città e fortezza. Il mantenimento di questi 20 mila uomini e 2 mila cavalli per parte del governo sardo, sarà stabilito da una commissione militare.
Il re di Sardegna farà evacuare, sulla riva destra del Po, tutto il territorio dei ducati di Piacenza, di Modena, e del granducato di Toscana, vale a dire : tutti i territori che non appartenevano innanzi la guerra agli stati sardi.

Art. 4.° L ingresso della metà delta guarnigione nella fortezza d' Alessandria, da fornirsi dalle truppe austriache, non potendo aver luogo che in tre o quattro giorni, il re di Sardegna garantisce l' entrata regolare della suddetta parte di guarnigione nella fortezza di Alessandria.

Art, 5.° La flotta sarda con tutte le vele e i battelli a vapore lascerà l' Adriatico nello spazio di 15 giorni per condursi negli stati sardi. Il re di Sardegna darà l' ordine più perentorio alle sue truppe, ed inviterà gli altri suoi sudditi che potessero trovarsi a Venezia, a ritornare immediatamente negli stati sardi, sotto pena di non esser più compresi in una capitolazione che le autorità militari imperiali potessero conchiudere con quella città.

Art. 6.° Il re di Sardegna promette, onde mostrare il suo verace desiderio di conchiudere una pace pronta e durevole con S. M. l' imperatore di Austria, di ridurre il suo esercito sul piede ordinario della pace nel più breve spazio di tempo.

Art. 7.° Avendo il re di Sardegna il diritto di dichiarare la guerra e fare la pace, per questa stessa ragione ritiene inviolabile questa convenzione d' armistizio.

Arti. 8.° Il re di Sardegna manderà immediatamente un plenipotenziario , munito di pieni poteri ad hoc, in una città qualunque da scegliersi di comune accordo, per intavolarvi le prime pratiche detta pace.

Art. 9.° La pace stessa e le sue singole condizioni saranno fatte indipendentemente da questo armistizio e giusta le reciproche convenienze dei due governi. — S.E. il maresciallo conte Radetzky si fa un dovere di prevenire senza indugio la corte imperiale del reale desiderio di S. M. sarda di conchiudere una pace durevole con S. M. I. R.

Art. 10.° La, presente convenzione d' armistizio é obbligatoria per tutto il tempo della durata delle negoziazioni della pace, e in caso di loro rottura , l’armistizio dovrà essere denunciato 10 giorni prima delle rinnovazioni delle ostilità.

Art. 11.° I prigionieri di guerra saranno immediatamente restituiti dalle due parti contraenti.

Art. 12.° Le truppe imperiali si fermeranno nei loro movimenti, e quelle che già passarono ta Sesia rientreranno nel territorio accennato di sopra per l' occupazione militare.

Novara, 26 marzo 1849.

VITTORIO EMANUELE m. p.
CHRZANOWSKY m p., maggiore
generale dell'esercito sardo.
RADETZKY m. p.



el secondo articolo me lassa perplesso :roll:


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babatriestina
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Messaggio da babatriestina »

AdlerTS ha scritto:A proposito del Lombardo-Veneto, mai visto el testo dell'armistizio tra Italia e Austria del 1849 ?

Art. 2° Il re di Sardegna scioglierà il più presto passibile i corpi militari formati di lombardi, ungheresi e polacchi, sudditi di S. M. l'imperatore d’Austria, riservandosi tuttavia di conservare nel proprio esercito alcuni ufficiali dei suddetti corpi, giusta le sue convenienze.
S. E. il maresciallo conte Radetzky s' impegna a nome di S. M. l ' imperatore rf' Austria, perché sia accordata piena ed intera amnistia a tutti i sopradetti militari lombardi, ungheresi e polacchi, che ritornassero negli stati di S. M. I. R. austriaca.

el secondo articolo me lassa perplesso :roll:
se no me sbaglio xe el armistizio de Vignale 24 marzo 1849 , tanto per darghe un nome.
Riporto del mio libro de storia de liceo, Saitta:
"toccò così al giovane nuovo sovrano firmare l'indomani l'armistizio di Vignale, lievemente meno duro di quello proposto il giorno innanzi: contemplava l'obbligo di licenziare i volontari e di permettere l'occupazione parziale del Piemonte fino alla conclusione del trattato di pace"
Me permetto de ricordarte che no se pol parlar de Italia , ma de Piemonte o più correttamente Regno di Sardegna.
Sempre del medesimo testo, el armistizio de Vignale deventava la Pace di Milano 6 agosto 1849, "L'Austria non avanzò alcuna pretesa di acquisti territoriali, ridusse l'indennità di guerra dai 200 milioni in un primo tempo chiesti a soli 75 milioni e concesse un'amnistia agli emigrati lombardo-veneti. [..] " Il Piemonte naturalizzò tutti i profughi del Lombardo veneto.
Commenti a margine del mio prof di storia: una pace troppo dura avrebbe spinto il Piemonte nelle braccia della Francia

Per i ungheresi e polacchi, ricordemose che in quel momento i ungheresi iera in rivolta ( i vegnerà stroncadi de Haynau giusto nell'estate 49) e i polacchi fremeva sempre..
Ma no go ben capido, se i emigrati non ritornava nel Lombardo Veneto, e quindi no i iera compresi nell'amnistia e i li ciapava, cossa nasseva de lori? dal punto de vista legal, xe istesso dei volontari irredenti. alto tradimento e forca?
Difatti, Pier Fortunato Calvi, che gaveva combattudo contro l'Austria in Cadore e a Venezia xe stado impiccado a Belfiore nel 1855
tegnimo presente che dal 1849 al 1854 Radetzky ga mantegnudo el stato d'assedio nel Lombardo Veneto. Solo nel 1857, troppo tardi, xe stado mandado Massimiliano con le più bone intenzioni pacifiste.


"mi credo che i scrivi sta roba per insempiar la gente" ( La Cittadella)
Rawa Ruska
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Messaggio da Rawa Ruska »

Se un poco longo, ma se la traduzion del 6° capitolo del libro de Sonhaus! Magari che i lo tradusesi tuto...

Rawa Ruska

Capitolo 6

SOTTO LA DUPLICE

Il Veneto si era rapidamente adeguato alla nuova vita senza gli Austriaci. Nel giugno del 1867, le spoglie di Attilio ed Emilio Bandiera e di Domenico Moro erano state trasportate con pomposa ostentazione da Napoli fino alla nuova loro ultima dimora di Venezia e la commovente cerimonia era stata organizzata dall'ottantunenne vedova dell'Ammiraglio Bandiera. Tra le personalità presenti vi erano numerosi ex membri dell'Esperia, molti dei quali indossavano l'uniforme della Marina Italiana. Nel frattempo, all'interno di quelle che erano state province austriache, l'esercito italiano compiva i primi tentativi di arruolamento, ricavandone la stessa piacevole sorpresa avuta più volte anche dagli Austriaci: la resistenza risultava inferiore al 3%, contro l'abbondante 50% di Napoli e di altre regioni meridionali del Regno. Nel settentrione come nel meridione le vecchie abitudini erano dure a morire.
Dopo la perdita del Veneto, l'esercito asburgico non contava più nessuna unità in cui gli uomini fossero tutti italiani. C'era bensì ancora il 22esimo Fanteria (Trieste) che aveva una maggioranza di italiani, ma più della metà di tutti gli italiani presenti nell'esercito - provenienti dal Tirolo meridionale (Trentino) - risultavano invece sparpagliati fra i battaglioni del reggimento tirolese dei Kaiser-Jäger. Come già in passato, queste unità di montagna venivano arruolate generalmente nelle province del Tirolo e del Vorarlberg, in modo che ogni battaglione risultasse composto da una maggioranza di lingua tedesca. Nel 1868 erano state istituite nuove regole di arruolamento, che prevedevano non più otto anni di servizio attivo e due anni di riserva, ma tre di servizio attivo e sette di riserva; due anni erano previsti invece per il Landwehr, istituzione rimasta inattiva negli anni più recenti. Ad ogni leva il Landwehr riceveva circa un quarto degli arruolati, più fortunati degli altri visto che assolvevano i loro obblighi in due anni soltanto. In un primo tempo il Landwehr della metà austriaca della Monarchia risultava disorganizzato e meno pronto del suo corrispettivo ungherese, la Honvéd. Era prevista inoltre una terza linea di difesa per entrambe le metà che componevano la Monarchia, ossia il Landsturm, che però esisteva solo sulla carta. Gli italiani rappresentavano la più piccola delle dieci principali nazionalità di questo esercito post-bellico, con uno 0,9% che nel 1872 era ben inferiore al 10,7% registrato solo sette anni prima.
Anche dopo la perdita del Veneto gli italiani continuavano a fornire circa la metà degli uomini per la flotta, risultando di gran lunga il più folto gruppo nazionale, mentre i croati ne rappresentavano un terzo, venendo al secondo posto. Ma nel corso del ventennio successivo queste cifre si capovolsero: nel 1885, primo anno nel quale vennero compilate statistiche ufficiali, il 44,9% risultavano croati e solo il 32% italiani. A partire dal 1866 la marina riconobbe l'importanza di queste etnie e delle lingue da loro parlate nel programma di studi dell'accademia navale. Quando la scuola riaprì a Fiume nell'anno 1866-67 per la prima volta dopo la guerra del 1859, si chiedeva agli allievi la conoscenza sia dell'italiano che dell' "illirico"; ma già nel 1869-70 il programma attribuiva maggiore importanza al croato che all'italiano. I quattro anni di studi prevedevano 148 ore semestrali di corsi (per dirla all'americana), sette delle quali dedicate all' "illirico" e solo quattro all'italiano. Come confronto, 12 ore venivano dedicate al tedesco, cinque al francese e cinque all'inglese.
La gamma delle lingue che il futuro ufficiale di marina era chiamato a padroneggiare era aumentata in seguito al Compromesso (Ausgleich) austro-ungarico del 1867. La lingua ungherese veniva offerta come facoltativa all'accademia a partire dal 1869, ma a partire dall'anno 1882-83 era diventata obbligatoria per tutti gli studenti della metà ungherese della Monarchia. Ciò faceva sì che un italiano di Fiume (unica grossa comunità italiana nella metà non austriaca) avesse la possibilità di aggiungere il tedesco e l'ungherese alla sua lingua madre italiana, studiando inoltre croato, francese e inglese. Un italiano di Trieste, invece, non era obbligato a conoscere l'ungherese e studiava soltanto cinque lingue. Di necessità, gli ufficiali di marina diventavano poliglotti: un ufficiale medio conosceva da 3,5 a 4 lingue, contro la media di 2,5/3 di un ufficiale dell'esercito.
Il calo della presenza italiana tra i marinai a partire dal 1866 non era rispecchiato invece nel corpo ufficiali. Nel 1868 si contavano infatti 21 italiani su 308 ufficiali di marina, mentre nel 1885 se ne contavano 48 su 496, ossia 9% in entrambi gli anni. Ma nel frattempo anche ungheresi e cechi erano arrivati nel corpo in numero sufficiente da diventare rispettivamente il secondo e terzo gruppo nazionale tra gli ufficiali di marina, mentre i croati avevano recuperato il precedente calo superando a loro volta gli italiani. In questo periodo gli ufficiali italiani non avevano nessuno svantaggio di partenza ai fini della promozione di carriera e, diversamente da coloro che erano rimasti in carica avendo iniziato prima del 1848, non erano certamente limitati da scarse capacità linguistiche. Eppure esistono prove di una loro discriminazione ai più alti livelli della gerarchia navale. Infatti nel venticinquennio che va dal 1866 al 1891, come già accaduto tra il 1848-66, nessun ufficiale di origine italiana era stato promosso al di là del grado di capitano. La Marina aveva bensì ufficiali ungheresi, polacchi e addirittura un ruteno che erano saliti fino al grado di ammiraglio, ma di italiani neanche uno. Domenico Adriano Morelli (classe accademica 1841) era riuscito ad arrivare in cima alla lista dei capitani poco prima del 1870, ma non era andato oltre. Gustavo Zaccaria, volontario nella primavera del 1848, aveva incontrato gli stessi ostacoli nel 1880 circa. Anche Marco Florio, altro cadetto volontario nel 1848, aveva comandato una nave nella battaglia di Lissa arrivando al grado più elevato di capitano nel 1871 all'età di 43 anni, dopodichè si era visto negare ogni ulteriore promozione. Eppure l'assenza di italiani al vertice della gerarchia navale non significava che mancasse un'influenza italiana. Gli ufficiali più in vista in servizio fra il 1866 e la fine del secolo avevano studiato tutti all'accademia navale di Venezia prima del 1848: Tegetthoff (classe 1845) aveva comandato la marina dal 1868 fino alla morte avvenuta nel 1871; Friederich von Pock (1843) gli era succeduto fino al 1883 e Max von Sterneck (1847) aveva tenuto la carica fino al 1897. I loro studi di scuola superiore in italiano e l'esperienza a Venezia avevano continuato ad esercitare influsso anche ben dopo la "de-italianizzazione" della marina. Tegetthoff chiacchierava spesso in dialetto veneto con i suoi vecchi amici, mentre l'editore delle memorie di Sterneck aveva riscontrato, anni più tardi, espressioni e modi di dire nella sua prosa tedesca che potevano essere ricondotti alla lingua italiana. Tutti e tre parlavano correntemente italiano, come del resto tutti gli ufficiali dopo il 1866. Addirittura nel 1887 il 100% degli ufficiali di Marina indicavano l'italiano fra le lingue da loro parlate.
Viceversa, l'avanzamento di ufficiali italiani per nascita fino ai ranghi più elevati non incontrava ostacoli nell'esercito, dove infatti sia il conte Carlo di Lilia che Giovanni Bordolo di Boreo avevano raggiunto il grado di Feldmarschalleutenant; Bordolo aveva anzi prestato servizio come comandante di corpo d'armata e successivamente come governatore della Transilvania. Eppure gli italiani avevano rappresentato solo una piccola minoranza tra gli ufficiali dell'esercito negli anni immediatamente successivi al 1814 anche se, eccezion fatta per il pericolo dei Carbonari, la loro posizione non era mai stata soggetta alle stesse controversie che colpivano invece i loro colleghi di Marina. Negli anni successivi al 1866 la loro percentuale era scesa a circa l'1%, cifra che corrispondeva effettivamente alla presenza di italiani nelle file dell'esercito.
Nonostante la loro ridotta presenza, gli italiani erano riusciti a partecipare alla prima campagna dell'esercito dopo il 1866. Nel 1869 i tre battaglioni da campo del 22esimo Fanteria erano stati trasferiti nella Dalmazia meridionale da Buda in Ungheria dove erano rimasti fin dalla fine della guerra. Durante l'autunno di quell'anno erano stati messi in prima fila per sopprimere una ribellione scoppiata alle Bocche di Cattaro. Due compagnie del reggimento erano intervenute in vaste azioni contro i ribelli e cinque uomini avevano ricevuto la medaglia d'argento al valore. I tre battaglioni erano poi rimasti di guarnigione in Dalmazia anche dopo la fine degli scontri, cosa che attribuì automaticamente al reggimento un ruolo in occasione dell'occupazione austriaca di Bosnia ed Erzegovina otto anni più tardi.
L'invasione della Bosnia da parte dell'Austria aveva dato la stura ad un profluvio di propaganda irredentistica in Italia: mentre i diplomatici di tutta Europa si riunivano nel Congresso di Berlino nell'estate del 1878, l'ormai invecchiato ma sempre rivoluzionario Garibaldi indirizzava un manifesto agli italiani del Trentino, di Trieste e dell'Istria esortandoli a resistere alla mobilitazione dell'Austria e promettendo loro che dopo la fuga verso l'Italia sarebbero stati accolti nelle file dell'esercito italiano, il quale si sarebbe ben presto alleato con i Bosniaci per lottare contro l'odiato Asburgo. Chi rispose a questo richiamo fu il triestino Guglielmo Oberdan, appena arruolato nel 22esimo Fanteria, che si imbarcò in una avventura destinata a trasformarlo in martire della causa italiana.
Oberdan era poco promettente come eroe. Figlio illegittimo di una domestica slovena e di un ex soldato dell'esercito asburgico, stava frequentando il primo anno della Technische Hochschule di Vienna quando, avendo compiuto i vent'anni nei primi mesi del 1878, aveva ricevuto la cartolina di reclutamento. Seguendo l'iter abituale degli studenti promettenti, aveva preferito adempiere l'obbligo militare con un anno di servizio volontario, che era stato ritardato al 1880-81. Ma già ai primi di luglio del 1878, il 22esimo Fanteria era stato mandato a svolgere un ruolo attivo nella campagna di Bosnia e il conseguente ordine di mobilitazione aveva richiamato sotto le armi tutti gli uomini della classe 1858. Oberdan aveva fatto ritorno a Trieste ed era stato arruolato, per disertare però dopo solo quattro giorni in uniforme. Il manifesto di Garibaldi iniziava con l' appassionato appello "Ai monti!", ma Oberdan e i suoi compagni, un paio di caporali istriani, preferirono la fuga in barca. Una volta raggiunta Ancona sull'altra sponda dell'Adriatico, Oberdan si offerse volontario nell'esercito italiano.
Ben presto si rese tuttavia conto che i patriottici appelli di Garibaldi mal si ricollegavano alla politica del governo italiano, che risultava invece isolato diplomaticamente e non aveva intenzione alcuna di scendere in guerra nell'estate del 1878. Vistosi rifiutato dall'esercito, Oberdan si recò a Roma per iniziare una carriera che si alternava fra studente universitario e rivoluzionario dilettante, ma con sua intensa frustrazione, tuttavia, i sentimenti dei triestini a favore dell'unione con l'Italia avevano raggiunto il punto più basso e il rinsaldarsi delle relazioni austro-italiane rendevano più improbabile che mai una guerra a favore dell' "Italia irredenta". Nel 1881 arrivarono due colpi assai duri con la morte di Garibaldi ed una cordiale visita compiuta a Vienna da re Umberto. Nella primavera successiva l'Austria-Ungheria e l'Italia consacravano la loro amicizia con la Triplice Alleanza.
Oberdan e gli altri irredentisti radicali dovettero ammettere che la loro causa richiedeva una nuova scintilla per impedirne la scomparsa. L'occasione si presentò pochi mesi dopo la conclusione dell'alleanza austro-italiana: nel settembre del 1882 l'imperatore Francesco Giuseppe doveva recarsi in visita a Trieste per le cerimonie di commemorazione dei 500 anni di unione della città all'Austria. Furono elaborati piani per assassinare il sovrano ed Oberdan era stato incaricato di sferrare il colpo mortale. Ma il giorno precedente l'arrivo dell'imperatore, Oberdan fu arrestato nella cittadina di Ronchi, a metà strada fra Trieste e il confine con l'Italia, venendo trovato in possesso di una pistola e di due bombe rudimentali.Un mese più tardi fu processato da un tribunale militare con l'accusa di diserzione e alto tradimento.
Essendo scontata la condanna a morte di Oberdan, l'interrogativo divenne l'eventuale grazia che l'imperatore avrebbe potuto concedere. Il governatore di Trieste, barone Sisino de Pretis-Cagnodo, ammonì a non giustiziare il prigioniero, dato che ciò avrebbe servito la causa degli irredentisti e avrebbe perturbato la calma relativa che regnava in città. Il Primo Ministro conte Eduard Taaffee ed altri funzionari di grado elevato non erano d'accordo e persuasero l'imperatore a lasciare che la giustizia seguisse il suo corso. Ma le ruote di quest'ultima giravano con lentezza ed il caso finì per attirare una non richiesta attenzione internazionale, al punto che lo scrittore Victor Hugo rivolse a Francesco Giuseppe un appello affinchè risparmiasse la vita di Oberdan. Il governo italiano, invece, preoccupato di non urtare i nuovi alleati, non presentò nessuna petizione o supplica a nome del condannato. Lo stesso Oberdan anelava al martirio e finì per ottenerlo. Venne infatti impiccato nel cortile chiuso della caserma di Trieste in una mattina del dicembre 1882.
Sebbene fosse rimasto nell'esercito per soli quattro giorni nell'anno 1878, Oberdan si guadagnò notorietà ed un posto fra i più conosciuti (o famigerati) disertori austriaci. Negli anni dopo il 1882 i patrioti italiani commemorarono dappertutto l'anniversario della sua morte. Pur avendo fallito di gran lunga il suo obiettivo di assassinare l'imperatore, fornì alla causa irredentista la nuova linfa di cui necessitava. L'esecuzione di Oberdan richiamò l'attenzione sulle inconciliabili differenze esistenti tra Austria-Ungheria e Italia ed il suo ricordo avrebbe gettato un'ombra lunga sulla Triplice Alleanza. Ma per buona sorte di esercito e marina asburgici, assai pochi dei sudditi italiani seguirono lo stesso esempio nell'estate del 1878 e nessuno cercò di commettere un così grave omicidio politico. Oberdan e i suoi due compagni rientravano in un gruppo di soli quattordici uomini che disertarono dal 22esimo Fanteria al momento della mobilitazione per l'invasione della Bosnia. Quattro dei cinque reggimenti del battaglione entrarono in azione in questa campagna, in seguito alla quale furono attribuite decorazioni a ventidue ufficiali e cinquantotto soldati.
Tuttavia gli elenchi dei decorati e dei caduti o feriti indicano fino a che punto il 22esimo aveva cessato di essere "italiano" nel 1878: i soli ufficiali italiani ad essere stati decorati risultavano il tenente Emerico de Sarracca e il tenente conte Luigi Marchesi, mentre tutti gli altri ufficiali erano non italiani e quasi tutta la truppa aveva nomi slavi. Il reggimento era sempre stato composto da un misto di italiani, sloveni e croati dell'Istria, ma l'equilibrio interno si era spostato a favore dei croati dopo il 1874, quando il principale centro di reclutamento era stato spostato da Trieste a Spalato.Da allora il 22esimo aveva reclutato prevalentemente nell'interno della Dalmazia, prendendosi i montanari croati che la marina ormai da parecchio tempo riteneva non adatti al servizio in mare. Il reggimento aveva bensì mantenuto a Trieste un battaglione di riserva e un centro di reclutamento anche dopo il 1874, ma la presenza italiana al suo interno si era ridotta a minoranza in poco tempo, al punto che al momento della campagna in Bosnia anche le canzoni del reggimento venivano cantate in croato. Con la trasformazione del 22esimo Fanteria, l'esercito austriaco si trovò a non avere nemmeno un reggimento a maggioranza italiana ed era la prima volta che ciò accadeva dal 1813.
Il 1 gennaio 1883, nemmeno due settimane dopo l'impiccagione di Oberdan, l'ingrandimento dell'esercito austriaco portò a Trieste un nuovo reggimento di fanteria. Il 97° era infatti uno dei ventidue reggimenti aggiunti nel 1883, portandone il totale da 80 a 102. Nella ridistribuzione del reclutamento, la città di Trieste e la fascia costiera istriana a prevalenza italiana, assieme alla costa dalmata e alla città "ungherese" di Fiume, erano diventate riserva esclusiva della marina. Il 97° aveva il centro di reclutamento a Trieste, ma prendeva gli uomini dai distretti interni della provincia del Küstenland che comprendeva anche Gorizia e la valle dell'Isonzo lungo il confine con l'Italia, nonchè un distretto della Carniola occidentale intorno a Postumia (Adelsburg). Ciò portava il reggimento ad avere una maggioranza slovena, mentre la minoranza italiana oscillava tra il 30 e il 20% minimo necessario per mantenere la lingua italiana come una delle lingue in cui impartire gli ordini. Il 97° aveva anche una minoranza croata, che però era rimasta inizialmente al di sotto della barriera del 20%.
Le riforme dell'esercito del 1883 prevedevano la divisione dell'impero in sedici Wehrkreise (comandi distrettuali?? N.d.T.). In tempo di pace i reggimenti dovevano essere di stanza, se non a casa propria, all'interno del proprio Wehrkreise, ove possibile. I luoghi in cui fu assegnato il 97° Fanteria fino alla fine dell' 800 misero in luce gli effetti della nuova politica: dal 1883-86 a Pola, 1886-87 a Gorizia, 1887-97 di nuovo a Pola e poi a casa a Trieste dopo il 1897. Con un'altra iniziativa volta ad innovare, il Reichsrat di Vienna aveva votato a favore dell'aumento delle formazioni di riserva nella metà austriaca dell'impero. Il Landwehr era stato raggruppato in reggimenti indipendenti, ciascuno dei quali andava a trarre i suoi uomini tra i veterani e tra un certo numero di coscritti in una zona che era generalmente più ampia del distretto di leva del reggimento. Nel Küstenland, il nuovo 5° Reggimento del Landwehr aveva riempito le fila servendosi del 97° cosicchè alla piena mobilitazione si sarebbe trovato con una mescolanza di nazionalità simile a quella dell'unità di fanteria regolare. Ulteriori variazioni fecero sì che nel 1886 il centro di reclutamento del 20° battaglione (stiriano) dei Feld Jäger fosse portato a Trieste. Negli anni seguenti questo si trovò ad avere a sua volta una maggioranza slovena e una minoranza italiana in percentuali simili a quelle del 97° Fanteria.
Le riforme degli anni 80 furono seguite, negli anni 90, dalla ristrutturazione dei Kaiser-Jäger tirolesi. Con l'aumento della popolazione del Tirolo, il reggimento dei Kaiser Jäger aveva aggiunto sempre nuovi battaglioni nel corso degli anni, fino a raggiungerne dodici, ossia il triplo rispetto ad un normale reggimento di fanteria. Nel 1895 il numero dei battaglioni era ancora aumentato fino a sedici, ma suddivisi in quattro reggimenti, denominati "1° Kaiser Jäger", "2° Kaiser Jäger" e così via. Come risultato si ebbe una maggiore efficienza nell'impiego degli uomini provenienti dal Tirolo, inseriti in reggimenti che avevano la stessa grandezza dei reggimenti di fanteria regolare. Eppure agli italiani del Trentino non fu consentito di formare la maggioranza in nessun battaglione: l'esercito arruolava per i quattro reggimenti di Jäger partendo dalla base tradizionale e generale per tutto il Tirolo e Vorarlberg, così mantenendo il predominio tedesco-tirolese.
Prima che venisse creato il 97° Fanteria, la presenza italiana nell'esercito era scesa ad un modesto 0,7% sul totale. Nel 1895, tuttavia, l'effetto combinato del 97°, della ricollocazione del 20° Feld Jäger e l'espansione dei Kaiser Jäger aveva quasi fatto raddoppiare la cifra portandola a 1,3%, in pratica pari alla percentuale della popolazione italiana rispetto alla popolazione totale della monarchia asburgica. Allo stesso tempo la marina continuava invece ad avere una percentuale di italiani ben superiore rispetto all'esercito, anche se il numero effettivo di marinai italiani continuava a scendere rispetto alle cifre del 1866. Nel 1896 essi erano infatti il 27,7% dei marinai semplici, mentre nel 1904 erano scesi a 24,4%, in questo modo sempre secondi solo ai croati, ma a malapena più numerosi della sempre crescente percentuale di tedeschi austriaci. Al contrario, però, tra gli ufficiali di marina gli italiani passarono dal quinto posto del 1893 (7,6%) al terzo posto nel 1907 (10,6%).
Questo modesto recupero italiano nel corpo ufficiali di marina coincideva con la fine di quella "politica" non ufficiale che aveva loro lungamente negato l'accesso ai ranghi più elevati. Il triestino conte Oscare Cassini era stato promosso contrammiraglio nel 1892 ed era stato raggiunto nel grado, due anni più tardi, dal barone Francesco Minutillo, aiutante personale di Tegetthoff nella battaglia di Lissa. Cassini era andato in pensione nel 1897 con il grado di vice ammiraglio, Minutillo invece nel 1905 come ammiraglio (full admiral). Solo un pugno di italiani riuscirono ad arrivare tanto in alto nel 1918, ma il più importante di tutti fu il conte Rudolf Montecuccoli, capitano di fregata (commander of the navy) dal 1904 al 1913.
Servire gli Asburgo come soldati o uomini di stato era una tradizione che la famiglia Montecuccoli seguiva fin dal diciassettesimo secolo, allorquando Raimondo Montecuccoli aveva organizzato e comandato l'esercito imperiale. Ora il conte Rudolf, nato a Modena, appariva il degno erede di questa tradizione: giovane cadetto alla battaglia di Lissa, era salito di grado nei decenni successivi fino a diventare contrammiraglio nel 1897. Dopo aver comandato la squadra navale austriaca al largo della Cina durante la rivolta dei Boxer, era stato promosso vice ammiraglio e comandante in seconda nel 1903, diventando Marine Kommandant l'anno successivo e ammiraglio in capo nel 1905. Montecuccoli aveva 61 anni quando aveva assunto il comando e non era certo il tipo di leader carismatico che gli ufficiali più giovani avrebbero preferito. Ciononostante aveva dimostrato notevole energia ove necessario, soprattutto insistendo per far ammodernare e ingrandire la flotta. Con tatto unito a perseveranza era riuscito ad ottenere dal parlamento austriaco e da quello ungherese i finanziamenti necessari per costose navi da guerra del tipo Dreadnought (corazzata veloce), che le altre potenze stavano già costruendo alla vigilia della prima Guerra Mondiale. Quando era andato in pensione nel 1913, la flotta asburgica era, rispetto alle altre marine europee, più forte rispetto al 1866.
Montecuccoli aveva raggiunto i suoi obiettivi concernenti la flotta in buona parte a causa della risorta tensione fra Austria-Ungheria e Regno d' Italia. I suoi progetti per le navi Dreadnought vennero approvati solo dopo che anche l'Italia aveva iniziato a costruire navi di questo tipo. Gli Italiani per ritorsione risposero costruendo un numero ancora maggiore di navi da guerra, di modo che l'arrivo del 1914 vedeva i due "alleati" impegnati in un'accanita corsa agli armamenti navali. Questa nuova rivalità contribuì a dare slancio all'ultimo sforzo per diminuire la presenza italiana fra i marinai comuni della flotta asburgica. Fino al 1899, il 36% di tutte le nuove reclute erano italiane, ma la cifra scese a 28% nel 1905, a 16,8% nel 1908 e a solo il 14,4% nel 1913. Per ironia della sorte fu proprio Montecuccoli, l'unico italiano ad aver comandato la Marina dopo il 1848, a dirigere gli ultimi tentativi di "de-italianizzazione".
Allo scoppio della prima Guerra Mondiale, la monarchia asburgica contava ancora una piccola ma pur sempre significativa popolazione italiana. L'ultimo censimento imperiale risalente al 1910 aveva registrato poco meno di 800 000 italiani, pari all' 1,5% del totale. Di questi, il 5 - 10% viveva nei territori interni della monarchia (prevalentemente a Vienna e in altre città industriali), mentre i restanti 750 000 circa erano suddivisi quasi equamente fra il Tirolo e il retroterra adriatico. Nel 1914 gli italiani continuavano a fornire l'1,3% delle forze armate, essendo concentrati in poche unità: in Tirolo rappresentavano il 41% del 2° Kaiser Jäger e il 38% nei tre altri reggimenti di montagna; sul litorale vi era un 31% nel 20° Feld Jäger e 20% nel 97° Fanteria. Gli italiani davano solo lo 0,7% degli ufficiali dell'esercito, contro il 9,8% di ufficiali e il 18,3% di uomini per la Marina.
La mancata entrata in guerra dell'Italia a fianco dei suoi alleati nell'estate del 1914 aveva messo gli italiani dell'impero in una posizione poco invidiabile. Cesare Battisti, rappresentante del Trentino nel Reichsrat e nel Landtag tirolese, aveva capeggiato l'esodo di figure di spicco verso l'Italia, dove gli irredentisti già invocavano a gran voce l'intervento a fianco dell'Intesa. Mentre l'Italia negoziava in segreto il Trattato di Londra, in base al quale avrebbe dovuto ottenere le terre irredente ed anche più, l'Austria diventava sempre più diffidente nei confronti della propria popolazione italiana. In alcuni casi questa diffidenza era giustificata, dato che quando l'Italia aveva dichiarato guerra all'Austria-Ungheria nel maggio 1915, centinaia di uomini avevano abbandonato la Monarchia per schierarsi con l'Italia. Trieste era la patria di 1000 di questi volontari, mentre altri 1000 provenivano da altre parti del litorale adriatico e del suo retroterra.
La storiografia tradizionale italiana ha naturalmente messo in luce le gesta di coloro che erano passati all'Italia, ma la rilevanza generale di queste gesta appare in una luce più chiara se si considera che invece decine di migliaia di italiani asburgici prestavano fedelmente servizio nell'esercito e nella marina dell'Austria-Ungheria. Quando ebbero inizio nell'agosto del 1914 le ostilità contro Russia e Serbia, gli italiani del Trentino erano stati mandati nei reggimenti dei Kaiser Jäger e in quattro formazioni di riserva dei Landesschützen; nei quattro anni successivi circa 60 000 avevano fatto parte di queste unità assieme ai Tirolesi di lingua tedesca. Gli italiani dell'Adriatico avevano a loro volta fornito più di 50 000 uomini per la guerra tra il 1914 e il 1918, suddivisi fra marina, formazioni regolari dell'esercito e riserva del 5° Landwehr o Schützenregiment. Oltre a ciò, anche gli uomini delle minoranze italiane presenti in quei crogioli che erano le città dell'impero entravano a far parte di reggimenti locali.
I battaglioni da campo del 97° Fanteria avevano ricevuto il battesimo del fuoco all'inizio della campagna sul fronte orientale. Le truppe avevano raggiunto la Galizia provenienti dalle guarnigioni in Croazia per essere immediatamente travolte dai Russi il 26 agosto, solo tre giorni dopo che le ostilità erano iniziate sul serio. Buona parte del reggimento era finita dietro le linee russe a Kniaze, dove molti dei feriti erano morti prima di essere trasportati ad un campo per prigionieri di guerra a Tambov, località che aveva finito per diventare la casa di quasi tutti gli italiani catturati sul fronte russo. I malconci resti del 97° furono ritirati dal fronte alla fine di agosto ed inviati a Leopoli (Lvov) per essere riorganizzati. Nel frattempo il 5° Landwehr passava la prima parte della guerra contro la Russia lontano dalla linea d'azione, come guarnigione della grossa base navale di Pola. Ma la necessità di avere uomini ad oriente pose ben presto fine a questa comoda situazione e nel dicembre 1914 due battaglioni del reggimento erano in marcia verso l'Ungheria settentrionale, dove furono schierati a guardia di linee ferroviarie strategiche dietro il fronte.
Sebbene tutti i belligeranti avessero sofferto enormi perdite nei primi mesi della guerra, l'Austria-Ungheria in particolare non riuscì mai a riprendersi dalle perdite di uomini e materiali. Secondo la descrizione di uno storico, dopo l'inverno del 1914-15 l'esercito austriaco era "sostanzialmente uno scheletro, rimpolpato di coscritti frettolosamente raggruppati". E per peggiorare ulteriormente le cose, nella primavera del 1915 il problema delle nazionalità si fece finalmente sentire nel modo peggiore: la vigilia di Pasqua, nella battaglia per conquistare lo strategico passo Dukla nei Carpazi, il 28° Fanteria (di Praga) si era arreso ai Russi senza opporre resistenza. La mancanza di volontà di combattere dimostrata dai soldati cechi contro i loro fratelli slavi non fu ignorata dalle autorità imperiali. Sei settimane più tardi, quando entrò in guerra l'Italia, l'Austria intervenne con misure decisive nei confronti dei propri cittadini italiani per assicurarsi che questi non compromettessero lo sforzo bellico sul nuovo fronte meridionale.
Sia per mare che per terra, le zone di guerra del conflitto austro-italiano sfioravano città e villaggi in cui vivevano popolazioni italiane della Duplice Monarchia. Circa 114 000 residenti del Trentino - ossia quasi un terzo degli italiani di tutto il Tirolo - vennero evacuati durante o subito dopo la primavera del 1915 per passare gli anni della guerra nelle zone interne della monarchia. Gli italiani del litorale, che vivevano quasi tutti più lontano dal fronte, non condivisero questa sorte. Inferiore fu anche il numero di questi ad essere internati per motivi politici: meno di 1000, rispetto ai circa 1700 tirolesi italiani, sebbene gli uomini del litorale avessero rappresentato la stragrande maggioranza di coloro che erano fuggiti in Italia nel 1914-15. Ma per ironia della sorte l'invasione da parte dell'Italia di queste zone di confine non aveva portato nessun sollievo alla popolazione: i "redentori" internarono infatti 30 000 civili del Trentino in campi della Lombardia e continuarono a nutrire forti sospetti sulla lealtà degli italiani ex-asburgici.
La scarsità di uomini aveva raggiunto il livello di crisi ancora prima che l'Italia dichiarasse guerra e fu pertanto immediatamente chiaro che l'esercito austriaco avrebbe dovuto rimanere sulla difensiva lungo il fronte meridionale, coprendolo con le unità che sarebbe riuscito a mettere insieme. Nonostante la sempre crescente sfiducia nei loro confronti, tuttavia, gli italiani risposero alla nuova chiamata alle armi. 3 400 italiani del Tirolo furono arruolati con la mobilitazione degli Standschützen, dei quali costituivano il 15%. Nello stesso tempo a Trieste gli adolescenti figli delle famiglie kaisertreue formavano il Triester Jungschützbataillon a difesa della loro città in pericolo. Altre unità furono fatte trasferire dal fronte orientale per ostacolare l'avanzata italiana e fra queste il 20° Feld Jäger, alcuni Kaiser Jager e Landesschutzen che avevano combattuto sui Carpazi. Nell'inverno del 1915-16 le minoranze italiane di questi reggimenti furono affiancate sul fronte meridionale da un battaglione del 5° Reggimento Landwehr, parte del quale prestava ancora servizio nella guarnigione di Pola. Contemporaneamente, altre formazioni italiane furono trasferite più lontano dall'Italia. Nel maggio 1915, la riserva dei battaglioni Ersatz del 97° Fanteria e del 5° Landwehr furono destinate all'interno della Stiria, dove potevano svolgere meglio il loro compito come corpo di fureria per i loro reggimenti, incanalando verso il fronte rifornimenti e reclute. Con il prosieguo della guerra, i battaglioni Ersatz assunsero sempre più la funzione di operazioni di polizia dietro le linee, dando all'esercito ancora più motivo di mantenerli in zone in cui le truppe non fossero della stessa nazionalità della popolazione.
E' chiaro che le storie più clamorose aventi come protagonisti soldati italiani provenienti dall'impero austriaco non riguardavano le molte migliaia che combattevano sul lato austriaco, ma piuttosto alcuni uomini fra le poche centinaia che erano fuggiti in Italia nell'estate del 1914. Il giorno del primo anniversario della dichiarazione di guerra dell'Italia, gli austriaci catturarono il tenente d'artiglieria Damiano Chiesa nel corso di una battaglia sulle Alpi. Figlio di un membro italiano del Landtag tirolese, Chiesa si trovava a casa sua in vacanza dagli studi che seguiva al Politecnico di Torino quando l'Austria era entrata in guerra con la Russia; era scappato in Italia per evitare di entrare nell'esercito austriaco e si era successivamente offerto come volontario nell'esercito italiano. Gli austriaci, anzichè trattare Chiesa come un qualsiasi prigioniero di guerra, lo accusarono di alto tradimento e lo giustiziarono a Trento solo tre giorni dopo la sua cattura.
Ma l'estate del 1916 regalò alla causa irredentista martiri ancora più celebri. Agli inizi di luglio le forze austriache sulle Alpi catturarono una compagnia italiana di Alpini capeggiata da Cesare Battisti, il più in vista tra gli espatriati del 1914. Come Chiesa, anche questo ex membro del Reichsrat comparve davanti al tribunale militare con l'accusa di alto tradimento; le stesse accuse vennero mosse ad uno dei suoi subalterni, Fabio Filzi, nativo dell'Istria. Entrambi furono impiccati il 12 luglio, nella Trento in cui Battisti era nato e vissuto. Ma la storia non era finita qui: con raccapricciante voglia di scherzare, gli ufficiali austriaci e i loro uomini fecero a turno per essere fotografati accanto al cadavere penzoloni del traditore Battisti. Copie delle fotografie comparvero sulla stampa austriaca e addirittura sulle cartoline, inducendo l'Italia e le potenze dell'Intesa a protestare per la brutalità dell'esecuzione. La scena di soldati austriaci che facevano smorfie verso l'obiettivo accanto al corpo senza vita di Battisti ispirò il famoso scrittore e critico viennese Karl Kraus a comporre il suo lavoro epico contro la guerra Die letzten Tage der Menschheit. Soltanto un mese dopo l'impiccagione di Battisti e Filzi, fu la marina austriaca a dare un nuovo eroe agli irredentisti con la cattura del tenente della marina italiana Nazario Sauro. Capitano di marina mercantile, Sauro era fuggito a Venezia durante l'estate del 1914 e nella primavera seguente si era presentato come volontario per la marina italiana. La sua conoscenza della costa dalmata lo rendeva un ottimo comandante per le missioni di sabotaggio, ed in effetti Sauro ne stava guidando una nell'agosto del 1916 quando gli austriaci catturarono il suo sommergibile in emersione al largo di Fiume. Sauro fu condotto dinanzi a un tribunale militare a Pola e, come già i suoi più famosi predecessori, fu giustiziato per alto tradimento.
Se da un lato c'erano questi uomini la cui coscienza patriottica li induceva a lottare e a morire contro l'Austria, c'erano anche centinaia di altri italiani del Trentino e del litorale adriatico che continuavano a sacrificarsi sui fronti meridionale e orientale. Nel contrattacco austro-tedesco contro la Russia dell'estate del 1915, i battaglioni del 5° Landwehr combatterono tanto quanto il 97° Fanteria, pur essendo considerati formazioni di riserva. Morti e feriti di entrambe i reggimenti entrarono nel numero delle circa 700 000 perdite sofferte dall'esercito austriaco nei combattimenti contro i Russi per respingerli dalla Galizia. Le perdite furono ancora più elevate nell'estate successiva, quando la Romania aderì all'Intesa ed affiancò i Russi nel contrattacco condotto dal generale Alexei Brusilov, attacco che giunse fin nell'interno del territorio austriaco prima di risolversi in un nulla di fatto. I primi mesi del 1917 videro il crollo politico del governo zarista, ma ciononostante l'esercito asburgico dovette sostenere ancora un assalto dopo che Alexander Kerensky e i capi del nuovo regime provvisorio russo decisero di mantenere in guerra il paese. Ma la cosiddetta "offensiva Kerensky" del luglio 1917 non potè essere portata avanti e l'esercito russo iniziò a disintegrarsi. Con l'avanzata delle unità austriache e tedesche su tutta la lunghezza del fronte senza che fosse opposta loro praticamente nessuna resistenza, il 97° Fanteria finì per trovarsi in Ucraina ed il 5° Landwehr in Romania, paese che era stato invaso in seguito al crollo della Russia.
La vittoria ad oriente era stata di scarsa consolazione per il nuovo imperatore Carlo, succeduto a Francesco Giuseppe nel novembre 1916. I suoi tentativi di salvare dal crollo politico il paese ormai esausto per la guerra portarono ad una iniziativa segreta di pace nei confronti dell'Intesa e, all'interno, alla riconvocazione del Reichsrat. Nel giugno del 1917, in una delle prime sessioni del Parlamento, il rappresentante del Trentino Alcide de Gasperi, collega del defunto Battisti, si espresse con parole amare contro la politica austriaca di trasportare i civili italiani all'interno del territorio della monarchia. Ma le sue proteste a Vienna trovarono orecchie sorde: nella capitale imperiale, e sullo stesso fronte meridionale, sospetti e discriminazioni nei confronti dei sudditi italiani della monarchia continuarono ad aumentare incessantemente. Ad eccezione di circa 500 Kaiser Jäger e Landesschützen tirolesi che erano passati a combattere per i Russi dopo essere stati catturati sul fronte orientale, non si erano verificati episodi significativi di diserzione o ribellione da parte dei sudditi italiani. Ciononostante, dopo che il grosso di queste truppe di montagna furono schierate nuovamente sul fronte meridionale contro l'Italia, l'esercito procedette ad una graduale eliminazione di tutto il personale italiano. Nella primavera del 1918 solo il 6% del 2° Reggimento di Kaiser Jäger risultava essere italiano e nelle altre unità le percentuali erano ancora più basse: solo 4% nel 2° Reggimento Landesschützen, appena 3% nel 1° e 3° Landesschützen e 2% nel 1° e 3° Kaiser Jäger, mentre nel 4° Kaiser Jäger e nel 20° Feld Jäger non rimaneva più nessun italiano.
Dopo essere stati esclusi dalle loro unità solite, gli italiani del Tirolo furono costretti ad entrare in otto nuove formazioni accortamente denominate Südwestbataillone, ma più correntemente note come Italienerbataillone. Queste facevano parte di un numero sempre crescente di unità note come PU-Einheiten, così definite a causa della reale o immaginaria politische Unzuverlässigkeit (inaffidabilità politica) dei soldati che le formavano.Durante il 1917-18, l'esercito si servì di queste truppe per pattugliare zone in cui le truppe stesse avrebbero potuto giovare all'ordine pubblico anzichè danneggiarlo. Nell'estate del 1918, tre battaglioni "sudoccidentali"erano stati destinati ai territori fra Galizia ed Ucraina, ancora occupata dalle forze austro-tedesche, mentre altri tre battaglioni svolgevano funzioni simili nella Valacchia romena.
Pochi erano dunque gli italiani ancora presenti nei suoi ranghi quando l'esercito austriaco riuscì finalmente a superare il punto morto nella guerra contro l'Italia. Mentre il fronte orientale era rimasto relativamente fluido durante tutta la guerra, i combattimenti sul fronte meridionale assomigliavano molto a quelli sul fronte occidentale con la Francia. Ma le linee del fronte alla fine cambiarono rispetto a quelle del confine pre-bellico fra Italia e Austria quando, nell'ottobre 1917 l'offensiva austriaca appoggiata dalle truppe tedesche spezzò le linee italiane a Caporetto e avanzò verso il fiume Piave nel Veneto. L'esercito italiano formò un nuovo fronte con l'aiuto dei francesi e degli inglesi e il fronte tenne fino al momento del collasso interno della monarchia asburgica avvenuto un anno più tardi.
Con l'inizio dell'ultimo anno di guerra il multietnico esercito asburgico divenne ancora più spiccatamente un crogiolo di nazionalità di quanto non fosse stato in tempo di pace. La decimazione subita dai reggimenti al fronte e il costo - in termini di tempo e denaro - del loro ripristino con uomini provenienti dai distretti d'origine aveva portato a molte soluzioni "arrangiate", nel senso che le truppe venivano trasferite da un'unità all'altra, dalla fanteria al fronte al Landwehr e di nuovo al fronte e andava a finire che spesso i reggimenti riempivano i loro ranghi semplicemente con uomini presi nel posto in cui si trovavano stazionati i reggimenti stessi o i loro battaglioni di riserva. Quasi tutti gli italiani che non erano stati assegnati alle "unità P.U." furono in ultima analisi concentrati nel 5° Landwehr, che aveva il suo battaglione Ersatz (di riserva) a Voitsberg in Stiria per quasi tutta la durata della guerra. Il suo contingente italiano era salito a 61% nel maggio 1918, ossia più del triplo rispetto al 97° Fanteria. Quest'ultimo, che aveva la sua formazione Ersatz nella città di Radkersburg sul confine fra Stiria e Ungheria, finì col trovarsi una maggioranza di sloveni ancora superiore agli anni precedenti la guerra, in parte perchè Radkersburg si trovava nelle adiacenze dell'area slovena della Stiria meridionale. Alla stessa epoca un certo numero di unità tradizionalmente non italiane finì per avere grosse minoranze di italiani tra le sue fila: l'84° Fanteria (Vienna) ne dichiarava un 20%, il 4° Fanteria (Vienna) il 18,5%, e il 40° Fanteria (Galizia) un 3%. Anche il 110° Fanteria - uno dei 39 nuovi reggimenti creati sul campo nel 1917 - contava un 3% di italiani. L'ultimo reggimento italiano di cavalleria nell'esercito degli Asburgo era stato sciolto nel 1859, però le cifre relative al maggio 1918 indicano che il 13° Ulani (Galizia) era italiano al 14% e il 6° Landwehr a cavallo lo era al 3%. Quanto alla fanteria leggera, il 4° Feld Jäger (Galizia) e il 10° Feld Jäger (Austria) contavano ciascuno un 11% di italiani. Altri undici reggimenti di fanteria, due reggimenti Landwehr, due battaglioni di Feld Jäger, un reggimento di dragoni e tre di Landwehr a cavallo registravano minoranze di italiani nella misura del 2% e molti altri italiani ancora erano sparpagliati nel Landsturm e in altre formazioni che costituivano l'ultima linea di difesa. Queste unità, il 97° Fanteria, il 5° Landwehr e gli otto battaglioni "sudoccidentali" riunivano le decine di migliaia di italiani che ancora indossavano l'uniforme asburgica negli ultimi mesi di guerra.
La presenza italiana nell'esercito aumentò nuovamente in seguito alla pace di Brest-Litovsk del marzo 1918. Con la fine ufficiale della guerra sul fronte orientale, il nuovo governo bolscevico cominciò a rimpatriare i prigionieri austriaci che erano stati fatti prigionieri dai russi fra il 1914 e 1917. Una stima prudente li faceva arrivare ad un totale sbalorditivo di 1,6 milioni, fra i quali si contavano migliaia di italiani. Ma laddove i prigionieri tedeschi e austriaci venivano mandati per lo più nell'interno dell'Asia centrale o in Siberia, agli italiani toccava maggior fortuna, visto che il loro campo principale di Tambov si trovava a poco più di 300 km a sud-est di Mosca. Mentre questo fiume di uomini entrava in Galizia, l'esercito austriaco tentò di estirparne quelli contagiati dal bolscevismo prima di spedirne il resto ai battaglioni Ersatz dei loro ex reggimenti. Alcuni uomini erano destinati a rimanere con queste unità per aiutare a svolgere compiti di polizia nei territori interni dell'impero, mentre i più sani e robusti furono restituiti al servizio attivo sul fronte italiano.
Un piccolo numero di soldati fra gli ex prigionieri aveva deciso di diffondere la rivoluzione che avevano visto trionfare il Russia, ma il resto degli uomini voleva semplicemente fare ritorno a casa. Di sicuro nessuno desiderava andare sul fronte italiano. La resistenza nei confronti dell'esercito prese svariate forme. Alcuni dei rimpatriati disertarono non appena messo piede sul suolo asburgico, sia prima che dopo l'inchiesta (??? N.d.T.) ufficiale, mentre altri approfittarono dei mezzi di trasporto dell'esercito per arrivare al loro battaglione Ersatz e poi disertare. Altri ancora rimasero nelle formazioni di riserva, piene di adolescenti reclutati per essere mandati al fronte, con l'intenzione di fare proseliti a favore della rivoluzione in nome di una causa nazionale oppure di classe. I primi erano ovviamente i più pericolosi per l'esercito e per l'impero in generale. Il loro numero rimase relativamente ridotto nell'unità Ersatz del 5° Landwehr di Voitsberg, ma così non fu a Radkersburg. Nel maggio 1918 il battaglione di riserva del 97° Fanteria organizzò una delle più gravi ribellioni che si ebbero nelle retrovie durante la guerra.
Negli ultimi tre anni, la guarnigione di Radkersburg aveva contato alternativamente fra i quattro e i cinquemila uomini, ossia quasi il doppio della popolazione abituale della cittadina. Con la continuazione della guerra i soldati che andavano e venivano dal fronte russo con il battaglione tendevano a divenire sempre più disillusi e più insofferenti alla disciplina. Terrorizzavano regolarmente la popolazione tedesca con attacchi che divennero ancora più brutali dopo che una generale penuria di generi alimentari aveva fatto sì che le loro razioni venissero ridotte. Ma la situazione peggiorò con l'arrivo dei primi ex prigionieri. Ad aprile i muri delle latrine della caserma erano coperti di svariate frasi proibite: a fianco di un "*ivjo Jugoslavija!" in sloveno, gli italiani avevano scritto "Viva la rivoluzione russa!" e "Soldati disertate!", assieme al più inquietante "Al primo maggio aspettiamo l'ora della rivoluzione."
Il Primo Maggio passò senza incidenti, ma una settimana più tardi un soldato del reggimento uccise un postino per rubare il denaro contenuto in una lettera raccomandata e alla metà del mese un gruppo di soldati incrociò il fuoco con i gendarmi ungheresi in un'incursione organizzata per procacciarsi da mangiare. Poi, la notte del 23, 1600 veterani del battaglione, quasi tutti sloveni, decisero di ribellarsi. Gli ufficiali tedeschi dovettero soffocare la loro furia scatenata facendo entrare in azione le inesperte reclute che avevano sottomano, alcune delle quali erano italiani. La sorte fece sì che le leali reclute disponessero di mitragliatrici e i rivoltosi solo di fucili, cosicché la caserma fu ripresa entro la mattina seguente. In totale erano stai uccisi quattro uomini e sei gravemente feriti, mentre alcune decine erano rimasti feriti leggermente. Nel giro di una settimana, però, i capi della rivolta erano stati giustiziati. Le cronache dicono che i condannati erano andati incontro alla morte gridando "*ivjo Jugoslavija!" ed un singolo "Viva l'Italia!", il che indicava che vi era stata la partecipazione anche di qualche italiano. Nell'estate del 1918 il battaglione fu trasferito da Radkersburg a Székesfehérvar (Stühlweißenburg) in Ungheria, ossia in un posto ritenuto più sicuro, ma anche qui i soldati disertarono in gran numero. Infatti a metà di agosto non risultavano presenti più di 2000 uomini, oltre ai più di 400 prigionieri di guerra del reggimento che erano stati rimpatriati: avevano preferito unirsi alla crescente massa di uomini, armati e non, che vagavano per il territorio mentre l'esercito austro-ungarico cominciava a disintegrarsi.
Durante gli ultimi mesi di guerra, le truppe italiane nei territori orientali erano in condizioni solo di poco migliori di quelle delle riserve. Nell'agosto del 1918 la 43a Divisione Landwehr, comprendente anche il 5° Reggimento Landwehr, fu ritirata dalla Romania, spostata in Bucovina e quindi destinata ad essere trasportata per ferrovia sul fronte italiano; ma all'ultimo momento il reggimento, in stragrande maggioranza italiano, fu trasferito invece alla 54a Divisione Landwehr, appartenente all'esercito austro-tedesco che occupava l'Ucraina. Il morale del 5° Landwehr crollò e quando finalmente arrivò novembre, gli uomini correvano come impazziti per le strade di Odessa, partecipando alla ribellione generale della 54a Divisione. Nel frattempo i battaglioni da campo del 97° Fanteria, che già si trovavano sul confine tra Ucraina e Bessarabia al momento della firma del trattato di Brest-Litovsk, si spinsero in profondità nel territorio ucraino come parte delle forze di occupazione. Sembra dunque che nessuno abbia pensato di trasportarli verso occidente a combattere contro l'Italia.
Se paragonati alla sorte toccata ai soldati italiani nell'esercito austriaco, gli italiani dell'imperial-regia marina attraversarono invece quattro anni di guerra relativamente tranquilli e senza scossoni. Dato che le principali potenze navali del Mediterraneo erano tutte schierate nell'Intesa, l'i.r. marina si ritrovò inoperosa, come peraltro accadde anche alla marina tedesca nel Mare del Nord. Per il fatto stesso di esistere, la marina austriaca attirava un'attenzione addirittura eccessiva da parte delle marine nemiche, tenendo così bloccate navi da guerra che le potenze dell'Intesa avrebbero potuto impiegare più utilmente altrove; alla lunga, la monotonia e la tensione della vita a bordo produssero a Pola e Cattaro lo stesso effetto di demoralizzazione registrato a Kiel e Wilhelmshaven per la marina germanica.
Ma allorquando l'i.r. flotta cominciò a sentire acutamente questi problemi, la percentuale di italiani che la componeva era stata ridotta al livello più basso di tutti i tempi. La tendenza alla "de-italianizzazione" degli anni immediatamente precedenti la guerra era continuata anche dopo il 1914, cosicchè all'inizio del 1918 era italiano solo il 14,4% degli uomini, mentre risultava del 18,3% nel 1910. I primi segni di aperto malcontento si ebbero nel luglio 1917, quando a bordo delle navi della flotta principale di stanza a Pola vi furono dimostrazioni che coinvolgevano uomini di tutte le nazionalità. I disordini furono diffusi ma, fortunatamente per la marina, anche facilmente soppressi. Gli italiani non parteciparono proprio al primo ammutinamento avvenuto nell'ottobre del 1917 a bordo della Torpediniera 11, quando la piccola imbarcazione si trovava in regolare pattugliamento in Adriatico e un macchinista ceco assieme a un aiutonostromo sloveno convinsero l'equipaggio a sopraffare i loro due ufficiali. Dopo aver ottenuto il controllo dell'imbarcazione, issarono bandiera bianca, attraversarono l'Adriatico e si consegnarono all'Italia.
Nel gennaio 1918 vi fu un'ondata di scioperi che attraversarono tutto l'impero e tra questi uno sciopero attuato dai 10 000 italiani e slavi meridionali che lavoravano all'Arsenale di Pola. La loro manifestazione aveva riscosso simpatie anche nella flotta, al punto che un certo numero di rappresentanti fra i 15 000 marinai della base navale cercarono di fare causa comune con gli operai. Alla fine i negoziatori riuscirono a persuadere gli scioperanti di Pola a tornare al lavoro, ma questo successo arrivò troppo tardi per impedire che il contagio si propagasse nella marina. Le generali tendenze rivoluzionarie indussero la bassa forza a protestare contro l'ingiustizia delle divisioni sociali all'interno della Marina: vi furono proteste per il fatto che gli ufficiali avevano facilità di accesso alla vita sociale in terra, mentre i marinai dovevano passare la maggior parte del tempo confinati a bordo; anche che la mensa ufficiali era ben rifornita di cibi e bevande prelibati, mentre i marinai si sentivano dire che a causa della penuria di generi alimentari le loro razioni dovevano essere ridotte. La tensione si fece particolarmente acuta a Cattaro, nella Dalmazia meridionale dove, relativamente isolata, si trovava la base navale della Quinta Flotta. Là infatti erano imbarcati più di 2700 marinai sulle sei navi più grandi, con altre centinaia di uomini imbarcati invece su navi più piccole e su sommergibili. La flotta comprendeva anche l'incrociatore Kaiser Karl VI, che si trovava a Pola durante i disordini dell'estate precedente.
Nelle prime settimane del 1918 le notizie dei recenti problemi scoppiati a Pola si combinarono con la notizia dei Quattordici Punti di Woodrow Wilson, il tutto creando a Cattaro lo scenario adatto per una sollevazione. Gli ufficiali non migliorarono certo la situazione mettendosi più di una volta in contrasto con gli uomini nei giorni che seguirono. Vi fu anche un famigerato episodio a bordo dell'incrociatore Novara, dove un ufficiale di Marina figlio e nipote di altri imperial-regi ufficiali, il tenente di vascello Osvaldo Salvini, aveva brandito una bottiglia di champagne al termine di una festa per ufficiali e si era aggirato scompostamente a bordo sbraitando brindisi a favore di "altri dieci anni di guerra". Per i marinai che agognavano la pace, questa scena fu vista come il colmo della pazzia. L'esplosione arrivò finalmente la mattina del 1 febbraio e in poche ore, a mezzogiorno, gli ammutinati erano ormai praticamente padroni delle navi.
I marinai di tutte le nazionalità si unirono per issare la bandiera rossa della rivoluzione, visione prodigiosa agli occhi degli uomini disillusi e mal nutriti della flotta. "La bandiera rossa trionferà!" gridava il marinaio Giovanni Vascotto che osservava lo spettacolo dal ponte di una delle torpediniere. Alla fine però la Marina riuscì a mantenere il controllo delle installazioni in terra che sovrastavano le bocche ed il comando locale richiese urgentemente aiuto. Tre navi da guerra arrivarono da Pola per chiudere l'entrata al porto, mentre truppe provenienti dalla Bosnia isolarono la zona da terra. Quando una delle navi ammutinate volle sfidare l'ordine e tentò una manovra, le batterie aprirono il fuoco. La ribellione si esaurì e il 3 febbraio gli ufficiali detenevano di nuovo il comando della flotta.
L'ammutinamento di Cattaro aveva spaccato la flotta piuttosto nel senso della distinzione di classe che in quello della nazionalità, con gli italiani ben presenti nel numero degli ufficiali che avevano rischiato la vita per contrastare i piani dei ribelli. A soffocare la sollevazione avevano infatti contribuito le decisive azioni del capitano Gaetano Afan de Rivera sulla nave ausiliaria Cyclop, del capitano Riccardo Florio sulla nave di pattuglia del porto Erzherzog Rudolph, del tenente di vascello conte Gastone degli Alberti sull'incrociatore Helgoland, del tenente di vascello Carlo Cerri sulla Torpediniera 15 e del tenente di riserva Oreste Cheracci sul rimorchiatore Büffel. Va inoltre detto che i marinai italiani non si erano messi in mostra quali capi dell'ammutinamento. Dopo che l'ordine fu ristabilito, circa 800 degli ammutinati erano stati comandati in terra e, dopo le prime inchieste, ne vennero accusati 392, dei quali 167 slavi meridionali, 81 italiani ed altri appartenenti a tutte le nazionalità in maniera indistinta. Un ulteriore gruppo più ristretto di 40 uomini, identificati come capi dell'insurrezione, comprendeva solo cinque italiani: Marcello Calligaris, Raffaele Turina, Giovanni Chibo Paroi, Paolo Ubaldini e Renato Berti. Nel corso del processo Berti fu il più energico nel negare ogni comportamento irregolare per se stesso e per altri marinai italiani:" Non ho incitato alla rivolta né tentato di sovvertire ..." aveva testimoniato "... a bordo eravamo solo quattordici italiani (sulla sua nave, l'ausiliaria Gäa ) e abbiamo giurato di stare lealmente dalla parte degli ufficiali." Le sue parole dovevano corrispondere al vero, visto che né lui né nessun altro del suo gruppo di italiani furono condannati a morte. In seguito all'ammutinamento furono condannati e giustiziati solo quattro uomini, che erano tre slavi ed un ceco.
Negli ultimi mesi di guerra il malcontento si spostò più a nord, quando in maggio fu scoperto da parte degli ufficiali un complotto per impadronirsi del porto di Sebenico e ne furono giustiziati i capi, un ceco e un dalmato croato. Una volta di più, non era coinvolto nessun italiano, anzi, gli aspiranti rivoltosi risultarono avere contatti con i nazionalisti jugoslavi di Zagabria. Durante l'estate del 1918 era nuovamente cresciuta la tensione nella base navale di Pola, ma questa volta il tema principale del malcontento risultava essere il nazionalismo anziché il conflitto di classe. Arrivato l'autunno, il consistente gruppo croato presente nella flotta aveva ormai la sua organizzazione politica, godendo in questo dell'appoggio dei cechi grazie alle simpatie slave. Gli italiani invece erano presenti a Pola in percentuale più piccola che non a Cattaro e nel crepuscolo della monarchia asburgica gli episodi di nazionalismo italiano risultavano limitati ai soli abitanti della città.
Alla fine di ottobre, mentre l'esercito italiano lanciava l'assalto finale sul fronte meridionale, il comando navale di Pola informava Vienna che non si poteva fare affidamento sulla flotta per respingere un attacco nemico. Desiderando una transizione ordinata e tranquilla, l'imperatore Carlo decretò il 30 ottobre che la flotta fosse consegnata ai rappresentanti del comitato nazionale jugoslavo. Il passaggio avvenne il giorno seguente in tutte le installazioni navali della costa adriatica. Il personale jugoslavo assunse il controllo delle navi e tutti gli altri ufficiali e marinai furono lasciati liberi di tornare a casa. E fu forse quanto mai appropriato che l'ultimo ammiraglio a rimettere il comando in mano altrui fosse il veneziano Alfredo Cicoli: nato a Venezia durante le ultime settimane di dominio austriaco nel 1866, Cicoli era stato promosso contrammiraglio nel 1917 e nominato comandante del porto di Pola agli inizi del 1918; con questa carica spettava a lui la responsabilità di consegnare la flotta. E con questa cerimonia, tenutasi pochi giorni prima della conclusione ufficiale della guerra, si concludeva l'esperienza degli italiani nella imperial-regia marina austriaca.
Diverso fu invece il caso dei molti italiani dell'esercito austriaco che rimasero in uniforme anche per parecchio tempo dopo la fine delle azioni. Quando i soldati di Trieste e del litorale furono finalmente rimpatriati, l'Austria-Ungheria aveva ormai cessato di esistere. L'impero contava circa 4,6 milioni di uomini in uniforme nell'autunno del 1918, ma meno di 900 000 furono considerati affidabili al punto da poter essere inviati sul fronte meridionale. Quando ebbe inizio l'offensiva finale dell'Italia il 24 ottobre, le truppe austriache erano troppo scarse per poter tenere la linea del Piave. La loro ritirata si trasformò ben presto in rotta e l'esercito italiano potè fare ben 350 000 prigionieri prima che l'armistizio del 4 novembre mettesse fine alla guerra. Tra i prigionieri c'erano 7000 soldati italiani, a dimostrazione che almeno alcuni erano stati ritenuti affidabili per combattere sul fronte meridionale anche negli ultimi mesi del conflitto. L' imperatore Carlo non emise nessun ordine ufficiale di smobilitazione di quel che restava dell'esercito e lasciò l'Austria senza abdicare al trono. I soldati ancora presenti sul fronte meridionale e nei territori interni dell'ormai ex impero fecero ritorno alle loro case oppure si unirono alle forze armate dei diversi stati successori. L'esercito sul fronte orientale abbandonò alla fine l'Ucraina e l'ironia della sorte volle che fosse un italiano a dirigere il rimpatrio. Fu infatti il generalmaggiore conte Lelio Spannocchi, ultimo plenipotenziario austriaco a Kiev, a coordinare l'evacuazione per ferrovia delle ex truppe di occupazione e tra queste c'erano il 97° Fanteria ed il 5° Landwehr. Lo stesso Spannocchi lasciò il proprio posto nel gennaio del 1919.
Durante la Grande Guerra non c'era stato proprio nessun emulo dei fratelli Bandiera nella Marina e nell'Esercito dell'Austria. Anche con il crollo finale dell'impero, gli italiani erano risultati decisamente assenti fra i capi delle rivolte o delle diserzioni di massa registrate tra le forze armate. Più propensi a farsi coinvolgere in questo tipo di attività erano piuttosto soldati e marinai appartenenti a gruppi nazionali che formavano o tentavano di formare nuovi stati nazionali: croati, sloveni e serbi a sud; cechi e slovacchi a nord; ucraini e polacchi ad est. Gli italiani, peraltro, si trovavano in una posizione simile a quella dei Romeni, con i simpatizzanti irredentisti che semplicemente aspettavano l'arrivo dei liberatori provenienti da uno stato loro confinante. Il governo romeno, costretto ad arrendersi agli austro-tedeschi nel 1917, non era in grado di agire anche a nome dei romeni di Transilvania, proprio come l'esercito italiano che, ancora sul proprio territorio lungo il Piave negli ultimi giorni di ottobre, non sembrava costituire una minaccia imminente in favore della liberazione degli italiani del Trentino e del litorale adriatico. Anche gli italiani dell'esercito austriaco affiancarono Tedeschi, Magiari e Romeni nel gruppo di nazionalità leggermente più stabili che preferirono attendere gli eventi anziché cercare di agire su di essi.
Alla fin fine, naturalmente, poca differenza faceva. La Duplice era destinata a crollare comunque e pochi italiani la rimpiangevano. La fedeltà degli italiani d'Austria, che non aveva costituito un problema negli anni seguiti al 1866, lo era ridiventata negli anni immediatamente precedenti il 1914 con il deteriorarsi dei rapporti italo-austriaci. Le preoccupazioni di Vienna si erano intensificate durante il periodo di neutralità dell'Italia, per esplodere in paranoia bella e buona dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia. Mentre la politica di reclutamento della Marina aveva condotto ad una drastica riduzione della presenza italiana tra i suoi ranghi prima dello scoppio della guerra, la "de-italianizzazione" di unità dell'esercito come i Kaiser Jäger aveva dovuto attendere fino all'inizio delle ostilità. La maggioranza degli italiani dell'Adriatico e del Tirolo si era mostrata indifferente nei confronti dell'irredentismo per quasi mezzo secolo, soprattutto perché nazionalismo e identità nazionale erano temi quanto mai complessi in quelle zone. Fu durante gli anni della guerra che la diffusa diffidenza verso il litorale e l'internamento di civili del Trentino guastarono il sangue anche agli italiani più austriacanti e kaisertreu. Nel novembre del 1918 l'avanzata delle forze italiane fu salutata calorosamente a Trento, Gorizia, Trieste e Pola. I ripensamenti dovevano venire più tardi.


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Messaggio da AdlerTS »

Orpo, me lo copio e me lo legio con calma :-D


Mal no far, paura no gaver.
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Messaggio da babatriestina »

Estremamente interessante, grazie!


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