Il Carnevale

Se gave` de scriver chi che se, cos' che fe, farghe i auguri a cualched'un e robe compagne felo cua dentro
Regole del forum
Collegamenti al regolamento del forum in varie lingue ed alle norme sulla privacy in italiano.
Avatar utente
rofizal
Eximio
Eximio
Messaggi: 3396
Iscritto il: dom 1 gen 2006, 18:56
Località: Terra

Il Carnevale

Messaggio da rofizal »

Ve riporto dal vecio sito.

--------------------------------------

BREVE STORIA DEL CARNEVALE

Sembra che la parola "Carnevale" derivi dal latino "carnem levare", cioè togliere la carne, con riferimento al periodo di penitenza successivo a quello festivo.
Il Carnevale ha origini molto antiche. Esso ebbe origine dai Baccanali greci e dai Saturnali romani.

I Saturnali furono istituiti per celebrare la costruzione del tempio a Saturno, nel 263 a.C.
Originariamente, i Saturnali duravano un solo giorno, poi l'imperatore Augusto li portò a tre giorni, e Caligola a quattro. Successivamente la loro durata fu estesa ad una settimana. In quei giorni i romani si riversavano nelle strade, cantando e osannando il padre degli dei. Sparivano le differenze sociali e il popolo si dava a gran feste, culminanti nel giorno dedicato alla dea Opi.
Nulla veniva rispettato e venivano dette pubblicamente delle cose che in altre circostanze non sarebbero state tollerate.

A Bacco erano invece dedicati i Baccanali, dove forse vennero usate le prime maschere, anche se studi più recenti ipotizzano che la maschera venisse già prima utilizzata dagli Egiziani e dagli Indiani. Veniva eletto un capofesta che organizzava i giochi e in seguito si adottò un vestito che impediva di riconoscere il nobile dal plebeo, lo schiavo dal padrone (anche l'imperatore partecipava alla festa mascherata). Probabilmente si voleva anche non essere riconosciuti durante le licenziose pratiche festaiole.

Anche nei Lupercali, feste in onore di Fauno, i Romani facevano uso della maschera. Gli uomini si coprivano il volto con foglie di vite, sulle quali praticavano due fori in corrispondenza degli occhi. Altrettanto facevano i soldati, che, così mascherati, formavano un corteo con caricaturali carri di trionfo, che servivano a fare della satira verso i loro capi.

Con l'avvento del Cristianesimo si cercò di eliminare gli eccessi trasgressivi e al posto dei Saturnali venne introdotto il Carnevale.

Nel Medio Evo il Carnevale vide le feste dette dei Pazzi o degli Innocenti o degli Asini. Nella Festa dei Pazzi, a Parigi, il personaggio principale era un asino che riceveva onori ridicoli e veniva schernito della folla. Davanti alla basilica di Notre-Dame si svolgeva uno spettacolo burlesco, improvvisato, che si concludeva con getti d'acqua sugli spettatori. Vi era una grande partecipazione di studenti ed esistono addirittura medaglie commemorative recanti figure grottesche con grandi orecchie d'asino ed iscrizioni satiriche.

Simile alla Festa dei Pazzi era nel XV secolo la "Compagnia della Madre Pazza" di Digione, formata dai più seri professionsiti della città, bizzarramente mascherati, con berretti a corno e sonagli. Essi percorrevano le strade su carri variopinti, agitando scettri di legno sormontati da una testa della Follia. Approfittando del Carnevale facevano pubblicamente la satira dei costumi e dei personaggi più in vista del tempo. In seguito alle forti proteste dei nobili di Digione, Luigi XIII soppresse la Compagnia della Madre Pazza. In Francia, il Carnevale raggiunse il suo massimo splendore sotto Luigi XIV, con celeberrime feste di Corte. Lo stesso re si presentò una volta con un bellissimo costume raffigurante il sole.

A Venezia la maschera ha origini antichissime e veniva utilizzata per molti mesi durante l'anno: le maschere erano permesse dal giorno di S. Stefano (il 26 dicembre, inizio del Carnevale veneziano) fino alla mezzanotte del Martedì Grasso, che concludeva il Carnevale, avendo il suo culmine il Giovedì Grasso. Durante questo periodo tutto era permesso e sotto maschere e costumi cadevano anche le differenze sociali. Dappertutto era festa, balli, canti e giochi.
Il costume più classico era la baùtta, ed era composto da un cappuccio di seta nera, da una cappa di merletto, un ampio mantello (il tabarro) e da un cappello a tricorno, mentre una maschera bianca copriva il volto e permetteva di non essere riconosciuti. Molti ne approfittavano per entrare nei casini dell'epoca, dove si poteva giocare d'azzardo.
Meritano una citazione pure le "compagnie della calza", dove i vari gruppi si distinguevano tra loro per le calze variopinte e ricamate che i loro membri indossavano. Queste compagnie sceglievano dei nomi di fantasia, come Cortesi, Ortolani, Sempiterni ed avevano un loro statuto. Il loro scopo era la creazione e l'allestimento dei divertimenti e degli spettacoli durante il Carnevale. Tra il 1487 e il 1565 si contano ben 23 compagnie in tutta Venezia.

A roma il Carnevale ebbe il suo momento magico sotto Papa Paolo II, nel 1466. Ricordiamo la famosa corsa dei cavalli, detta "Corsa dei barberi", come pure il corteo funebre del Carnevale defunto, la sera dell'ultimo giorno di Carnevale, dove ognuno reggeva un moccolotto e cercava di spegnere quello del vicino, difendendo il proprio. Il simulacro del Carnevale veniva arso in piazza del Popolo.

Il primo carro allegorico moderno venne costruito a Viareggio nel 1873. Esso era stato realizzato ispirandosi alle tecniche di costruzione delle navi, con corde, cavi d'acciaio e paranchi usati nei cantieri. Queste prime opere avevano dei mascheroni realizzati in gesso pesando, quindi, anche parecchi quintali. Nel 1921 un carro ospitò, per la prima volta, un'intera orchestra.

La nascita della moderna "cartapesta" (in realtà carta da calco) è però dovuta al Maestro Antonio D'Arliano (1925) che pensò di ricoprire la creta con il gesso, in modo da ottenere uno stampo al negativo della figura originale, e poi mettere vari strati di carta all'interno di un modello in gesso. Una volta asciugata, la sagoma in carta si staccava dal gesso senza problemi e, identica all'originale, pesava qualche chilo invece di quintali.



IL CARNEVALE A TRIESTE
A Trieste anche il Carnevale (o Carnovale, come preferiscono scrivere alcuni autori) possiede le sue tradizioni, in parte ancora vive e interessanti.
Le maschere permesse durante il Carnevale, venivano tollerate anche lungo tutto il corso dell'anno, però in luoghi chiusi; alcune città tentarono di bandirle del tutto con divieti, che non ebbero effetto. Venezia nel 1339 inibiva l'abuso dei volti a dei travestimenti, ma 1'arte dei mascheraì era già unita in confraternita, e seppe rendere vana la proibizione. Nel XVI secolo, a Trieste, incaricati i giudici "di condure i piffari al tempo di Carnevale", si ordinava che "non ardisca alcun maschio andare mascherato, o travestito non solamente di notte, eziandio con lume, ma ne anco il giorno, ne ritrovarsi in cotal guisa in alcuna casa dove si danzasse, o ballasse sotto pena di lire otto di piccoli. Sia nondimeno lecito andar il giorno così mascherato ad ognuno dal dì della Natività di Gesù Cristo fin al primo giorno di Quadragesima, purchè ciò faccia con licenza di due de' Giudici, a' quali prima abbia scoperto ed i1 nome e l'abito o maschera."
[da "Il Trecento a Trieste di Giuseppe Caprin]

Oggi il più importante è quello di Muggia, ma meritano attenzione pure quelli di Servola e Opicina.
In passato i punti di ritrovo erano Servola, Sant'Andrea, San Giovanni e Barcola.


Il Carnevale a Sant'Andrea

Mercoledì delle ceneri. Passeggio di S. Andrea. Nell'aria sale un delicato profumo di viole. Il colore oscuro del fiore s'attaglia allo sipirito triste del periodo quaresimale. Esso è pur nelle chiese, dove si diffonde sui paramenti indossati dal celebrante nella Messa. Alla fine della stessa i presenti si accostano compunti ai piedi dell'altare e piegano il capo al sacerdote, perché egli col segno della Croce vi imponga la cenere a ricordare la misera polvere the conforma il nostro corpo e nella quale ritorneremo nel sonno della morte. Le vivaci maschere di ieri si sono cambiate in umili penitenti. La tradizione chiama tutti al raccoglimento spirituale nel brevissimo e rapido atto del cerimoniale ecclesiastico. Di sera il predicatore di grande fama richiamerà la folla a udire le sferzate contro le male costumanze, a udire i richiami alle meditazioni sulla caducità delle cose mortali nei quaranta giorni che ci separano dalla celebrazione pasquale.
Ma tra i due richiami alla squilla delle torri campanarie c'è una parentesi di mondanità. In quella si effonde il ricordato profumo di viola, che perde la sua ombra di tristezza e acquista un sapore di grazia. Sono le violette che infiorano i petti delle signore raccolte nei loro lussuosi equipaggi sfilanti nel Corso delle Ceneri lungo il Passeggio di S. Andrea. E' la sfilata aristocratica dopo quella carnovalesca dei carri trionfali e simbolici del giorno precedente, del martedì grasso, svoltasi tra lanci di stelle filanti, tra pioggie di coriandoli variopinti, tra grandine di grossi confetti. Le vie della città al centro portano ancora i segni del festoso percorso. Lavorio speciale degli spazzini il mercoledì delle Ceneri! La giornata s'apriva un po' pigra tra gli sbadigli di chi la notte aveva conosciuto il vortice della danza, anziché il riposante sonno, sotto le morbide coltri, tra la stanchezza di chi aveva partecipato alla ridda chiassosa cittadina del corso mascherato. Veramente nella vecchia Trieste di nn secolo fa erano quattro i giorni di festa e di veglia, da sabato grasso a martedì grasso, preceduti dalla giornata del giovedì, dedicata nel pomeriggio al grande ballo dei fanciulli, che, negli anni più tardi del secolo passato e nei primi di questo, si svolgeva al Politeama Rossetti. Un po' alla volta le festosità bizzarre e folli andarono decrescendo di trovate e di concorso. Scemarono anche nel numero dei giorni, limitandosi le grandi manifestazioni stradaiole alla domenica e al martedì. Si ridussero infine ad una larva dell'antica gioiosità e segnarono da sole il loro tramonto intorno al 1910.

Moriva così anche la caratteristica usanza che animava di severa pomposità e di civettuola grazia il passeggio inferiore di S. Andrea, quando ancora una piccola stazione ferroviaria di transito con pensilina aperta su quattro tracciati di binari metteva capo alle due linee istriane di Pola e di Parenzo. La stazioncina sorgeva nel tratto inferiore del passeggio, percorso negli ultimi anni dal tram, nel punto corrispondente circa al termine meridionale della grande terrazza del piano superiore. L'edificio accoglieva i viaggiatori con una duplice scala, che serviva a portarli al piano attuale del tracciato ferroviario. Festoni di foglie rinverdivano le spranghe di ferro che, correndo sopra un parapetto di bassa cancellata, sostenevano il tetto inclinato della pensilina, la cui parte inferiore era adibita al servizio di ristorante. Si assisteva così comodamente alla partenza a all'arrivo dei treni, prima che nel 1907 fosse aperta la nuova ferrovia transalpina e fosse trasportata la stazione al margine della Riva Ottaviano Augusto, erigendola a tipo di termine con pensilina coperta da arco. Quel ristorante richiamava nel Mercoledì delle Ceneri gruppi di triestini accorsi a godersi lo spettacolo delle carrozze sfilanti e passati poi a rifocillarsi con i piatti di magro di formaggio e di pesci.

Il corso degli equipaggi era un epilogo di gala del carnovale; era un addio estremo a una nota di mondanità. Vi partecipava l'aristocrazia cittadina ed era uno sfoggio delle pariglie più belle, trascinate da formosi cavalli tenuti al passo dal cocchiere in uniforme di gala con cilindro, mentre nella parte posteriore della carrozza sporgeva un sediolino per il servitore in livrea, addetto all'apertura degli sportelli. Le ampie carrozze, dove quattro persone stavano comodamente di faccia a due a due e si chiamavano "landau", erano naturalmente aperte e così le signore ed i signori potevano far mostra dei loro mantelli invernali sotto il cappello piumato delle prime e le tube dei secondi. Dominava l'ambizione del veicolo più elegante, della tappezzatura più lussosa, dei quadrupedi più superbi. La musica bandistica faceva echeggiare nell'aria le note dei più recenti motivi ballabili delle canzonette carnovalesche. Fitte spalliere di ammiratori stavano a godersi i fasti delle casate triestine. Ieri le sonorità assordanti di fischietti e di trombe; oggi il passo elastico dei cavalli, il cicaleccio sommesso tra sorrisi ed inchini. Ieri la bonarietà grassoccia, oggi la malignità in sordina. La sfilata si trasferì dopo l'apertura della nuova stazione di Campo Marzio al Passeggio di Barcola e in breve tramontò nell'oblio di tante tradizioni scomparse.

[da "Trieste - Spunti del suo passato" di Silvio Rutteri, 1950]



Il Carnevale a Servola

Non le lussuose carrozze, ma le minuscole e sgangherate "grìpizze" o le rumorose "giardiniere" - specie di omnibus a due e anche a quattro cavalli - portavano sciami di cittadini sulla collinetta della romana Silvula, senza contare quanti ci andavano a piedi. Se non il digiuno, il magro era, come lo è, rispettato: grancevole e ostriche inaffiate dal dolce e bianco vino di Servola e accompagnate dal saporoso pane delle pancogole tanto famose, da esser state chiamate persino alla Corte di Vienna. Le osterie sopraccariche prolungavano la veglia al carnovale defunto.
Ed esso giungeva, fantoccio fatto di stracci, disteso su una lettiga, portata da due uomini col viso ricoperto di catrame. Era preceduto da un battistrada che, con una grande bandiera, avanzava sulla schiena di un asinello. Pizzicati di chitarre, boati di trombe, rulli di tamburi si accompagnavano agli urli di una rumorosa compagnia. Non mancava il corteo del seguito con alte tube fuori moda e con fazzoletti rossi portati agli occhi a segno di pianto. Naturalmente ogni trattoria esigeva la sosta del grottesco corteo. E in ogni sosta si svolgeva la questua per i poveri superstiti tra lazzi a risate. Ma intanto i piattellini si coprivano di monete spicciole e il vino generoso incoraggiava l'allegra compagnia a proseguire verso un'altra tappa e un'altra libagione. Ma l'ora del tramonto solare si approssimava. Si dovevano affrettare le esequie. Il fantoccio veniva disteso sull'erba, mentre un pagliaccio lo stava incendiando. Rapida la fiamma anneriva i miseri cenci al suono d'una marcia funebre a tempo di valzer.

[da "Trieste - Spunti del suo passato" di Silvio Rutteri, 1950]



Il Carnevale a San Giovanni

Già col terz'ultimo decennio dell'ottocento la festa di Servola ebbe una concorrenza con quella di S. Giovanni. Poche erano ancora le case dell'ameno sobborgo, per cui nell'ampia distesa dei prati si improvvisavano al riparo di rami o di tele slavate gli spacci di vino. I clienti dovevano portarsi anche il bicchiere, insieme naturalmente al companatico, perché altrimenti correvano il rischio di bere fuor delle terrine e di non aver di che bocconcellare. Erano sardelle salate, acciughe, formaggi, anche qualche fritella, la triestina "fritola" che poi veniva offerta pure dai venditori ambulanti assieme a quel tipo di ciambella a cerchio, spalmata di zucchero variopinto, chiamata "buzzolà".
Il colpo del mortaretto dava inizio al corteo funebre. La lettiga di Servola era sostituita dal carro a quattro ruote con cassone a fianchi inclinati chiamato "zaia". Palloncini e bandierine l'ornavano tutt'intorno. Bardati erano i quattro muli che lo trascinavano, mentre il costume territoriale dei mandriani, volgarmente conosciuti col nome di "mandrieri", pomponeggiava intorno al pesante copricapo di pelo, battezzato dalla sua forma troneggiante col nome di "caregon", cioè di seggiolone. Strepito di strumenti musicali attirava l'attenzione dei bevitori. L'accompagnamento funebre girava questuante fra le frotte dei cittadini convenuti alle esequie. I cappelli degli accompagnatori servivano da piattelli per l'elemosina, che sarà votata al trionfo di Bacco. Si raggiungeva la Rotonda del Boschetto e si risaliva al centro del sobborgo, dove su un prato arderà il rogo del fantoccio, deposto su mucchi di paglia. Le ceneri erano disperse ai quattro venti tra parodie di musiche funebri e tra strida di fischi. L'ombra della sera calante metteva fine al fervore delle danze campestri. Seguiva l'assalto alle trattorie, di cui la maggior fama aveva quella "de Brocheta". Caldi sui tavoli fumavano i pesci arrostiti tra "doppi" di vino, cioè fiaschi da due litri,

A sera molto inoltrata, con qualche bagliore di candeluccia o di lanterna, seguirà il ritorno verso la città, nè tutti saranno di piè fermo. Come a Servola, anche a S. Giovanni le esequie tradizionali si mutarono in una lagrimevole gazzarra di monelli e scomparvero del tutto. Qualche ostinato tradizionalista ricercava soltanto il tempo di andar a gustare "el vin de Servola".

Ancora uno sprazzo di carnovale, anche mascherato ma senza larva, segnava il giorno di metà quaresima. Le sale dei Ridotti prima, i teatri stessi poi, si aprivano a una serata di veglia danzante. Ma papà Carnovale era realmente morto: un'aria più distinta e più seria avvolgeva della sua impronta la notte di mezza quaresima.

[da "Trieste - Spunti del suo passato" di Silvio Rutteri, 1950]



Il Carnevale a Muggia

Testimonianza dell'esistenza del Carnevale di Muggia è uno statuto del 1420 che "favoriva il costume di costituirsi in società per i divertimenti carnevaleschi dando un ducato a quelle che ne spendeva più di tre per i suonatori". Probabilmente quindi le sue origini sono precedenti a quella data.
Esiste un altro documento del 1611 dove viene affermato: "si vuole, l'ultimo giorno di carnevale dare un ballo detto della verdura, nel quale le donne e gli huomini hanno verdi ghirlande in testa, e un Arco d'oro di fronde e di Aranzi composto in mano." L'usanza della sfilata dei carri e delle maschere invece risale probabilmente al 1800, seguendo l'esempio di Venezia. Durante le guerre mondiali questa tradizione si interruppe, ma venne poi ripresa agli inizi degli anni 50, per giungere fino ai giorni nostri.

Caratteristica del Carnevale di Muggia è che i carri e la maschere appartengono a diverse Compagnie, molte delle quali si sfidano per la vittoria finale. Dal 1954 ad oggi sono sorte 94 compagnie diverse, tra quelle partecipanti al corso mascherato ufficialmente (52 di esse) e quelle fuori concorso composte da gruppi di apertura o di chiusura. Attualmente ve ne sono 8: Ongia (fondata nel 1939, 1ª nel 2000, l'unica Compagnia ad aver partecipato senza interruzione a tutte le edizioni del Carnevale Muggesano), Bellezze Naturali (fondata nel 1954, 2ª nel 2000), Brivido (fondata nel 1946, 3ª nel 2000), Lampo (fondata nel 1958, di Santa Barbara, 11 vittorie), Trottola (fondata nel 1968), Bulli e Pupe (fondata nel 1960, ma presente dal 1954 prima con il nome di "Verdi" e poi con quello di "Muli e Pupe"), La Bora (fondata da poco) e i Mandrioi (fondata nel 1972, di Zindis).
Molte compagnie hanno (o hanno avuto) la loro banda musicale che accompagna la sfilata.

Per ulteriori informazioni potete rivolgervi all'Associazione delle compagnie del Carnevale di Muggia: c/o Piazza della Repubblica, 4 Presidente Mario Vascotto Tel: 0348 4415795 e-mail: vasco53[chiocciola]jumpy.it

Esiste anche un sito ufficiale del Carnevale di Muggia.

======================


Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera

[S. Quasimodo]
Avatar utente
AdlerTS
cavalier del forum
cavalier del forum
Messaggi: 9561
Iscritto il: mar 27 dic 2005, 21:35
Località: mail: adlerts[at]email.it

Messaggio da AdlerTS »

Lo go za scrito da qualche parte, ma per par el caso de meter de novo, da Trieste ed i Suoi Dintorni Nel 1807 de Ignazio Kollmann :
AdlerTS ha scritto: il popolo [...] affluisce alla sala del Ridotto, che, eccetto il venerdì ed il sabato, rimane aperta per tutto questo allegro periodo. Alla domenica, a metà settimana ed al giovedì si possono scorgere colà variopinti gruppi di persone accozzate insieme senza distinzione alcuna e poste in agitazione sia dall'effetto elettrizzante della musica che dagli spintoni e dai confidenziali brindisi di altrettanto confidenziali maschere.[...]
Gruppi di maschere trasandate, [...] costituiscono l'ornamento dei sedili posti tra le colonne laccate, le quali sono state accuratamente coperte sino a metà altezza con un rozzo lenzuolo per evitare che siano insudiciate dai partecipanti al ballo. Tale ballo prende il nome di... "ballo di petìzza" (dallo sloveno pet, cinque, perché la moneta da 5 carantani costituiva il prezzo d'ingresso originale di questi balli).

Al lunedì il teatro viene rassettato e la platea viene ampliata levando una parte del palcoscenico. Il ballo che qui viene organizzato con dei prezzi di ingresso più elevati ed al quale le persone più in vista assistono dai palchi, è chiamato "il Veglione" [...] Il ballo più sfarzoso e di maggior prestigio viene organizzato al Ridotto al martedì con un prezzo d'ingresso di un fiorino, ed in questa circostanza la sala acquista uno splendido aspetto in grazia ad una più ricca illuminazione, liberando le pareti dai quadri e dagli specchi, e con l'eleganza dell'arredamento.


Mal no far, paura no gaver.

Torna a “Saluti, presentazioni feste comandade e gentileze varie”