triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da sono piccolo ma crescero »

Se le carte del catasto franceschino sono giuste dovrebbe essere, uscendo sulle rive dal canal grande, quello a destra (a sinistra c'è invece il molo audace).


Allora s’accorse che le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi; e prese un po’ più d’abitudine d’ascoltar di dentro le sue, prima di proferirle. (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXVIII)
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Grazie infinite. Scusate, ma quest'informazione l'ho trovata oggi e ho pensato che mi piacerebbe, quasi 100 anni dopo, camminare nelle vicinanze di dove sbarcarono quei ragazzi, lontani da 6 anni da casa loro. No troverò foto, ma almeno il Ponte Verde e il molo, ci saranno ancora, spero!
E prima o dopo riuscirò almeno a capire dove attraccarono le navi...Sentimental, diserè voi... :roll:
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da babatriestina »

Non occorre il catasto franceschino, perchè i moli non hanno cambiato numero :-D
Il Molo IV è sempre ilprimo molo del Porto Vecchio guardando dalle Rive, abitualmente inaccessibile ai normali cittadini perchè facente parte del Punto franco vecchio, però viene spesso usato, anche per attracchi di linee se non erro verso l'Istria. Hanno restaurato i magazzini che erano diroccati, ecco verso il molo IV dal molo Audace:
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il molo IV è quello col magazzina basso giallo, adesso non ne trovo una foto migliore.
In un'occasione in cui c'era una mostra mercato di piante, ci sono arrivata ed ecco una foto scattata al termine del Molo IV
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ecco quel che si vede verso la città, proprio verso il punto dove c'era il Ponte Verde:
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Non videro ovviamente l'edificio rosa a sinistra, perchè l'idroscalo è successivo. Il Ponte Verde non esiste più perchè interrato e inglobato nella strada delle Rive, corrisponde al punto in cui il canale si immette in mare


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Sempre grazie mille. Era una parte di città che non avevo mai visto, e vedo che si gode un bel panorama verso la città. C'è scritto, all'inizio, ancora adesso : Molo IV. Ricordo però una volta che a Trieste avevo chiesto a una persona dove fossero Ponterosso e Ponteverde. Lui mi aveva risposto che Ponterosso c'è ancora, ovviamente, mentre il Ponte verde, come struttura, è stato trasportato tra Cherso e Lussin, perchè lì dov'era non serviva più per via della costruzione o rinnovamento della strada. Può essere?
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Son contenta che i nostri ragazzi, tornando, abbiano visto quella parte di Trieste. (In aprile è molto bella.)


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da babatriestina »

mandi_ ha scritto: il Ponte verde, come struttura, è stato trasportato tra Cherso e Lussin, perchè lì dov'era non serviva più per via della costruzione o rinnovamento della strada. Può essere?
é una leggenda metropolitana che il Ponte Verde sia finito a fare il Ponte di Ossero fra Cherso e Lussino. L'ho sentita smentire.
Ma poi a sti poveri ragazzi sbarcati al Molo IV, mica hanno fatto fare magari quarantena all'arrivo?


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Mi spiace, a mi per prima, ma sembra proprio di sì. Cioè da quel che so io , quelli arrivati per ultimi nel 1920 a bordo delle navi Nippon, England, Texas, French Maru furono fermati a Trieste pochi giorni, in base a quel che vedo sul foglio matricolare di mio nonno. Poi i Trentini, i Friulani, gli Istriani furono liberi di tornare a casa in treno, fermandosi ancora nelle loro città pricipali : a Trento un'altra settimana in caserma. Infine tornarono nelle loro case, peraltro distrutte dalla guerra.

Per i Triestini San Giusto fu il luogo dove dovettero stare, o la caserma. Si trattava di migliaia di persone sbarcate.
Gli ex prigionieri che arrivarono nel 1919(sempre a Trieste) l'ebbero più dura: quarantena e indagini sulla loro "Italianità" ed "esposizione al bolscevismo". In pratica, gli Italiani veri furono quelli rimasti qui a combattere fino al 1918, gli altri, i tornati dalla Russia, pur avendo avuto promesse di gloria, l'hanno avuta molto dura dopo, a meno che accettassero in seguito di iscriversi al partito fascista.
Ben, insoma, dimenticarono in fretta el bel mar e tornarono a una vita piuttosto dura.Me nono tornò a far el contadin.

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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da babatriestina »

mandi_ ha scritto: Gli ex prigionieri che arrivarono nel 1919(sempre a Trieste) l'ebbero più dura: quarantena e indagini sulla loro "Italianità" ed "esposizione al bolscevismo".
Sarà stata così per il mio prozio Piero, prigioniero in Russia. Giù era socialista anarcoide prima, era entusiasta dei russi ( che bona gente!) e rimase socialista anche dopo. Purtroppo lo conobbi che ero assai piccola e lui era assai vecchio, per cui non ebbi colloqui con lui, le notizie me le diede la mamma che a sua volta credo le avesse avute dalla nonna.
Ma, leggendo libri di storia europea, noi ,che col senno di poi e con le memorie della II guerra sappiamo che i danni li fece il fascismo successivamente, dimentichiamo che nel primo dopoguerra la rivoluzione russa era vista solo come l'inizio della rivoluzione mondiale che si sarebbe allargata in tutte l'Europa e ci provarono in tantissimi Paesi, soprattutto dell'Europa centrale. Non si diceva comunista, si diceva bolscevico, allora. La minaccia della rivoluzione sembrava seria.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da macondo »

Una bella foto tratta dal Il Piccolo d'oggi.
Il Molo IV é quello da me marcato con un punto rosso.

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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da babatriestina »

sai che proprio leggendolo stamattina ho visto questa foto ed ho pensato a questa discussione :-D


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Io veramente non so come ringraziarvi, tutti quanti, per avermi aiutato. Sono stata via da casa qualche giorno, col mio nuovo ebook a seguito, (qualcuno mi criticherà)ma, pur usandolo poco, avevo piacere di non perdere i contatti con le persone che mi stanno a cuore, compresi gli amici del Forum.
Adesso sono a casa, e ho avuto la piacevole sorpresa di vedere le foto e la città dall'alto, per poter capire meglio.Ero ansiosa , tra l'altro, di confrontare quello che avevo visto quando sono arrivata a Trieste, con il dipinto di" Trieste a volo d'uccello", che da 30 anni sta appeso in camera mia.
Ma le foto che Baba e Macondo mi hanno "mostrato " sono più efficaci, da quel che vedo. Mi aiutano maggiormente a "vedere" , perchè nel quadro vedo molti moli, e non mi è mai venuto in mente di confrontarli con quelli attuali.
Per me è importante aver individuato il molo, perchè penso che se mai riuscirò a trovare una foto delle navi che attraccarono in quel molo, sarà un indizio in più.
Se il molo è cambiato nell'aspetto, e così il ponte (ma quando è stato interrato sto Ponte verde?), beh , il mare no e la vista da quel punto è spettacolare , sulla città.
Questo è più o meno quel che han visto tutti i Triestini rientrati dalla gelida Siberia, e mio nonno, e il fratello di mio nonno, ed anche Anna, ragazza russa, e il suo giovanissimo figlio, di cui ho accennato nella memoria precedente....
Direi che sicuramente tanta bellezza li abbia rincuorati un poco.
Scusate, ma ho voluto, per quello che sono riuscita a rintracciare, raccontare ogni singolo viaggio nelle sue tappe,anche se simili, perchè su quelle navi per me non c'erano numeri e nomi, ma persone, ognuna con la sua storia individuale.
Perciò , per me, il viaggio della Texas Maru rimane il viaggio di Anna, Nicolaj e Giuseppe, in cerca di salvezza da una situazione terribile, ed appena potrò ve lo racconterò.
Non dimentico neppure Piero, Baba, e se dovessi rintracciarlo, te lo farò sapere.
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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

IL VIAGGIO DEL PIROSCAFO GIAPPONESE TEXAS MARU

La nave salpò finalmente da Vladivostok il 20 febbraio 1920, dopo aver terminato il carico di carbone e acqua. Prima della partenza vi era molta paura da parte degli uomini imbarcati di esser trasportati non in Italia, ma in qualche altra nazione, o magari in America. C’era grande ressa in coperta, per vedere la nave staccarsi dalla banchina del Corno d’oro. Improvvisamente si sentirono i tre fischi della partenza.
In mezzo a tutti questi uomini, Anna e suo figlio Nikolaj osservavano ansiosamente la superficie ghiacciata, dove il passaggio era aperto dai rompighiacci. Stavano per lasciare la loro Terra, dove il grano tra pochi mesi sarebbe cresciuto, indorando il paesaggio ora reso tutto candido dalla neve.

Ne bo?sya, mo? syn, non aver paura figlio mio…

Ma più importante di ogni cosa era portare in salvo il figlioletto, che alla sua giovane età aveva conosciuto fin troppo dolore, a partire dalla morte dell’amato padre.
Anna lasciava tutti i parenti, le abitudini di una vita intera, in cambio delle promesse di un uomo che le aveva lasciato intuire un futuro di sicurezza e benessere.
Nikolaj guardava i riflessi che brillavano sul ghiaccio e si teneva aggrappato alle gonne della madre, cercando rassicurazione. A nove anni vedeva forse il viaggio come un’avventura, ma che nostalgia dei nonni e dei parenti…
Per una giornata intera Nikolaj non vide il mare, perché era un solo pezzo di ghiaccio, ovunque guardasse.

Nel piroscafo erano stati costruiti provvisoriamente dei tavoloni per permettere ai soldati di poter dormire; le cucine erano all’aperto, ed erano cucine da campo, legate alla spalliera della nave, per evitare che finissero in fondo al mare, col rollio . Gli ex prigionieri non pensavano certo alle comodità, pur di arrivare finalmente a casa loro. Ad Anna e Nikolaj probabilmente fu lasciato uno spazio un po’ appartato. In loro ciascuno vedeva forse la sposa, la mamma, il figlio che da tanti anni non rivedevano.

C’era vicino a loro anche Antonio, che aveva scelto l’Italia, ma non aveva volto indossare la divisa. Egli sperava tanto di rivedere presto la moglie molto bella, che sperava gli fosse stata fedele in quei lunghi sei anni di lontananza. Il piccolino gli faceva rammentare il suo, che aveva appena conosciuto, prima di partire per la guerra. Da molto non riceveva posta da casa : si sarebbero ricordati di lui?

Pietro Novacco non vedeva l’ora si rivedere la sua Parenzo in riva al mare più bello del mondo e Ferdinando Scapin di Trieste si vedeva già sulle Rive: “Darìa no so cossa per poder veder la me baba al molo, co pici.e darghe ‘n basin . Me par de bazilar…. Cossa ghe podo far.... co rivo a Trieste , dopo scampo en zitavecia e me ciogo un bicer, per desmentegar.”

Pochi giorni dopo la partenza ,il 4 marzo 1920, la nave fece sosta a Shanghai, in Cina e calò le ancore restando a poca distanza dal porto. Intanto un ufficiale insieme a pochi uomini a bordo di un vaporino ,si recò a far provvista di viveri. La fermata fu di qualche giorno. Il porto era ingombro di battelli di ogni dimensione e di ogni nazione.
Intanto la temperatura era cambiata : dai 9 gradi sottozero di Vladivostok , a Shanghai era a 4 gradi sopra zero.

Anna scese con il figlio e Giuseppe. Si fermò ad una bancarella dove vide un frutto che assaggiò per la prima volta nella sua vita: porse l’uva al figlio, che la mangiò di gusto,perché era molto dolce. I signori di Shanghai regalarono al bambino una scatola di zucchero . Pane, zucchero , limonata fu tutto quel che mangiò fino a Port Said, dove finalmente poterono avere un po’ di brodo di carne.

Poi la nave proseguì per Hong Kong, dove fu fatta una nuova sosta. Il piroscafo , a causa dell’acqua bassa, non poteva avvicinarsi alla banchina e per andare in città si doveva montare su un vaporetto.
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Hong Kong era molto bella e sembrava innalzarsi dal mare.
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Anche per questa città si girava in risciò e per passare da una via all’altra , situata più in alto, c’erano le scalinate. Furono tirate a bordo delle mucche, che vennero legate alla spalliera della nave. Le mucche erano magre “sembravano tirate su per la quaresima”: non era possibile certo far indigestione.
Giuseppe diceva ancora ad Anna: “ Te vedrai, da noi, no te crederai mai come l’è grande, le nose vache. Te se ghe volerà la scala, per monzerle!”
Anna, gironzolando in mezzo ai venditori ambulanti, comprò per suo figlio delle “cineserie”di avorio e rame.

La nave continuò il viaggio, facendo un’ulteriore tappa a Colombo, dove Anna comprò dei shari coloratissimi, incantata dalle tinte variopinte e luminose. Tanti anni dopo, diventata nonna, quei shari furono adattati per confezionare i costumi di carnevale per le nipotine.
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Non sempre le vicende in mare e i viaggi sono esenti da imprevisti terribili. In un punto imprecisato del viaggio Nikolaj, che spesso stava affacciato sulle sponde della nave,con le braccia incrociate ed il capo appoggiato su una spalla, affascinato dal mare, corse un gravissimo pericolo.
Quel giorno si svolgeva una mesta cerimonia e tutti erano intenti ad osservare. Il bambino si avvicinò un po’ di più e vide calare in mare un soldato morto; si sporse un po’ di più, per vedere meglio. Perse l’appiglio e stava quasi per cadere in acqua. All’ultimo momento un soldato riuscì ad agguantarlo ed in questo modo Nikolaj si salvò, correndo in lacrime dalla mamma poco distante, terrorizzata, che lo serrò forte tra le braccia.. .
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madre-.jpg (27.56 KiB) Visto 3721 volte
Quindi la Texas Maru procedette per Port Said, osservando il Canale di Suez, che tutti osservarono curiosi, avendolo tanto sentito nominare in tempi migliori.
Ed ecco la nave sbarcare al Molo IV di Trieste...

Valentino M. scrisse nel suo diario:

Il 12 aprile 1920 il piroscafo giunse a Trieste con grande gioia .“Nessuno può immaginare la grande gioia di quell’arrivo in quella città tutta in festa, dove le famiglie ansiose aspettavano i loro cari. Non è possibile descrivere quelle scene di gioia ed entusiasmo di quel caro popolo unito a noi. Ma in breve la gioia terminò in pianto , chi avanzava in quella folla , gettandosi tra le braccia dei loro cari, e molti rimasero delusi, non vedendo coloro che il loro cuore stava aspettando.”
Mia madre era sta informata per lettera che ero anch’io con la Missione Italiana, e una lista dove si trovava il mio nome le era pervenuta, ma non sapeva del mio arrivo. Al mattino ci diedero la colazione, fecero l’adunata per i Trentini e partimmo con il treno per Trento. Ormai in quelle valli si era sparsa la bella notizia del nostro arrivo, la primavera cominciava a farsi sentire con i suoi raggi di sole. Noi, cantando , tra grida e saluti dei nostri patrioti arrivammo verso sera a Trento .In questa città c’erano grandi festeggiamenti, tanta gente che aspettava, la banda, le ragazze con mazzi di fiori, le Autorità Civili. Stanchi, ci condussero in caserma dove cenammo e dormimmo. Al mattino fummo congedati e potemmo partire per il paese.”

A bordo della Texas Maru partirono 1200 soldati dei battaglioni rossi- Legione Redenta di Manera, 23 ufficiali della Legione Redenta, con altri ex prigionieri di guerra al comando Del Cap. Guassardo.


Ognuno di loro aveva una storia personale, racchiusa nel cuore.

Arrivati a Trieste, Giuseppe rivelò ad Anna che le aveva raccontato un sacco di frottole, che non possedeva niente e che l’aspettava una vita di povertà e sacrifici. Anna e Nikolaj non rividero più i loro parenti russi.

Antonio ritrovò la sua sposa, che però aveva avuto un bambino, non suo, durante la sua assenza. Lui si tenne la sposa e il figlio, assieme a quello che aveva avuto prima di partire per la guerra e li amò entrambi.. .

Spero almen co rivà a Trieste, Ferdinando je scampà en zitavecia a cior un bicer de quel bon! E che abia streto al cor baba e pici, dopo aver butà la divisa nele scovazze !

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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Volevo aggiungere alla storia del viaggio della Texas Maru la foto del piroscafo, portata con sè da un ex prigioniero.

Una riflessione, prima, da parte mia : almeno un bambino era a bordo dell'imbarcazione, rischiò la vita e gli fu risparmiata, grazie a Dio.
Nel corso di questa ricerca ho letto molti diari, ascoltato molte testimonianze, visto molte foto, che non sempre ho voluto o potuto inserire nel Forum.
Tra queste foto ho visto l'immagine di un altro bambino, con addosso una divisa militare. Non so niente di quel bambino : ho visto la sua foto e letto il suo nome, sul retro.Stava a Krasnojarsk, con i Battaglioni neri, in mezzo alla Guerra Civile.
Non so se quel bambino sia arrivato in Italia. Spero che abbia avuto una vita buona e felice, lontano dalla guerra.
Ma so che Nikolaj, a nove anni, in Italia ci è arrivato, sano e salvo .
Vorrei dire grazie di cuore a chi mi ha voluto raccontare la storia,per me talmente bella e singolare da non apparire quasi vera, e mi ha permesso di raccontarla a voi del Forum.
E torno a ribadire che soprattutto i bambini dovrebbero non conoscere mai la guerra.

Ed ora vi mostro il piroscafo giapponese Texas Maru.

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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da babatriestina »

mandi_ ha scritto: Non dimentico neppure Piero, Baba, e se dovessi rintracciarlo, te lo farò sapere.
son riuscita a contattare suo nipote( e mio secondo cugino, che non incontro da lunghi decenni) , ma non so se ne sa più di me..

Belle, queste storie, uno spaccato di vita vera..


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Ci tenevo molto a dire che tutto quel che ho scritto è rigorosamente autentico.
Solo che se penso a quelle navi delle foto, le vedo piene di gente. Ma ognuna di quelle persone sicuramente avrà sofferto molto ed ha avuto una storia privata, simile ma non uguale. Quando ho potuto farlo, ho raccontato la loro storia e i pensieri, scritti nelle lettere e nei diari, o presenti nelle memorie personali dei discendenti. Anche i pochi nomi che ho riportato sono veri (Beh, per la storia di mio nonno ho usato il suo secondo nome :wink: ).
Se pensi, Baba, nei libri di Storia si riportano solo nomi di Re, Imperatori o Generali , poi si parla di numeri : tot morti, tot prigionieri.
Chissà che anche lo zio Piero non abbia una sua storia da non dimenticare...
Ciao Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da sono piccolo ma crescero »

Ho aspettato la fine della tua storia per commentarla: affascinante, raccontata bene.

Mi piace, poi, molto questo tuo modo di umanizzare gli eventi.

Brava.


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da Dolomitiko »

Cara Mandi!
È stato un piacere leggere queste interessanti storie! Ti faccio anch’io i complimenti per come hai saputo raccontarle, con rara sensibilità e delicatezza. A quando le prossime?


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Caro Dolo,che piacere incontrarti qui.
Se le storie sono belle ed interessanti , mi fa piacere. Ricorda che non sono io che le ho vissute, ma quelli che sono stati mossi da grandi burattinai in giro per il mondo, a soffrire in vari modi:uomini, donne , bambini.
Io devo solo ringraziare e ricordare coloro che nei momenti tristi o di nostalgia o magari di speranza scrivevano...E soprattutto quei nipoti che hanno dato giusto peso ai ricordi, senza pensar :l'è robe da veci, no val la pena scoltar....
Pensa che proprio in questi giorni ho incontrato una persona, figlio di un ex prigioniero che percorse la Transiberiana con mio nonno e mi ha raccontato tante cose di lui....
Sai cosa gli ha raccontato suo padre Luigi? : “ Mi sbararghe dentro ale persone non ho mai volest saverne.Neanche quando son sta nei combattimenti, mi cercavo de starne fora, e no sbarar a nesun."
Ben, questo mi è piaciuto, questo non voler sparare a nessuno. E spero che coloro che hanno vissuto le Storie di cui ho raccontato, poi, abbiano vissuto in modo sereno, in particolare il piccolo Nikolaj.
Ciao Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

E’ da parecchio che non scrivo più in questo topic. Raccontare le ultime storie legate ai viaggi del ritorno mi ha dato una certa emozione, anche perché mi sono state descritte da qualcuno che ha conosciuto le persone di cui ho parlato.

Ma oggi vi voglio descrivere l’ultimo viaggio, quello del piroscafo giapponese France Maru o French Maru.

Ho tratto tutti i fatti di cui ho parlato da libri e diari. Non è stato facile trovare diari che raccontassero ciascun viaggio del ritorno, come non è stato semplice nemmeno trovare le navi e le rotte . Ma è stato appassionante.

Ho tratto la narrazione del viaggio della French Maru dalle memorie di un soldatino italiano, classe 1900, che nel 1918 , pochi mesi prima del termine della guerra, fu inviato da Napoli a Tientsin e infine a Krasnojarsk in Siberia, dove combattè a fianco dei Battaglioni neri, dei Cechi e degli Alleati dal settembre 1918 all’agosto 1919 circa contro i Bolscevichi. Poi tutto il CSEO di cui faceva parte tornò a Tientsin , aspettando le navi del rientro, a quanto pare quasi impossibili da trovare.
Giuseppe Carrara tornò in Italia a bordo della French Maru, nel 1920. Morì cinque anni dopo, per le sofferenze patite, descritte solo in modo sommesso e riservato nel suo lungo diario ricco di descrizioni di luoghi e di fatti. Prima di partire per la Siberia, non sapeva la destinazione del suo viaggio.

IL VIAGGIO DEL PIROSCAFO FRENCH MARU -Dal Diario di Giuseppe Carrara –nato a Modena – geniere telegrafista

Il Tenente Giuseppe Carrara si trovava a Tientsin dal settembre 1919 dopo il ritorno dei Battaglioni neri e del CSEO da Krasnojarsk. L’attesa per il rimpatrio era ormai estenuante.

<<Chissà quale Natale passeremo a casa?Forse il prossimo?>> Tientsin, 25 dicembre 1920

A mezzogiorno del 18 febbraio 1920 arrivò la notizia dell’ arrivo del terzo piroscafo giapponese che avrebbe riportato in Italia gli ultimi uomini rimasti nella zona di Vladivostok –Tientsin e si iniziarono freneticamente i preparativi per la partenza.
Su questo piroscafo sarebbero saliti tutti i militari del Corpo di Spedizione italiano arrivati da Napoli nel 1918 e gli ex prigionieri A.U.
Si trattava di 600 uomini tra cui 13 ufficiali, 465 soldati (tra i quali il plotone del Genio Telegrafisti )e un centinaio di altri appartenenti alla Legione Redenta o optanti per l’Italia ,tra cui molti ammalati.

Il 22 febbraio gli uomini giunsero a Chin-Kwan-Tao con il treno e subito andarono verso la banchina del porto, dove era già attraccato il mercantile “France Maru”, già attrezzato per il trasporto truppe.
Il giorno prima (21 febbraio 1920) era avvenuta la partenza dei due piroscafi England Maru e Texas Maru da Vladivostok . Ora finalmente toccava agli ultimi uomini , ammassati davanti alla France Maru .

Sepolti nel cimitero degli Italiani e Cecoslovacchi di Vladivostok rimasero Selegnis Gianni, di Trieste ( 1891- 14/11/1919),Mauro Giorgio di Muggia (- 13/01/1920) e Travan Paolo di Parenzo (- 26/11/1919)
Gianni aveva 28 anni , Giorgio morì nove giorni prima della partenza della nave,Paolo tre mesi prima, come Gianni ; tutti e tre morirono a Vladivostok . La loro attesa sulle rive del Corno d’Oro non ebbe un lieto fine, purtroppo.
E gli amici Giovanni Chiona e Valentino Corosetz , di Trieste, non poterono recarsi per un ultimo saluto sulle loro tombe, a causa della fretta della partenza. Sicuramente uno di loro riportò alcuni effetti personali alle famiglie dei compagni defunti. Valentino mormorò : <<Co rivo a Trieste, conterò de ti a la to mula, che te speteva tanto.>>

A poco a poco tutti gli uomini furono imbarcati, mentre il piroscafo faceva il pieno di carbone. Alcuni genieri scesero a terra dopo il rancio per recarsi in città. Nevicava e c’erano 9 gradi sotto zero. Gli uomini trascorsero la notte sulla nave , anche se molti di loro non chiusero occhio per la trepidazione.
Il giorno 23 febbraio 1920 fu il giorno della grande emozione, cioè il giorno stabilito per il rientro in patria, con partenza da Chin- Kwan - Tao .
Gli uomini si alzarono presto, si lavarono all’aperto ed alle ore 11 precise tre fischi di sirena diedero il segnale della partenza. Tutti i 600 uomini erano in coperta emozionati, guardando allontanare la banchina. A bordo si trovava anche il Comandante del CSEO, col. Fassini Camossi .

In mare aperto il piroscafo iniziò a muoversi nel mare gelato, ma dopo qualche miglio dovette fermarsi perché il ghiaccio era troppo spesso. Così si cambiò rotta. Verso sera infuriava una tempesta che impediva la visibilità ,il vento era impetuoso e il capitano dovette spesso azionare la sirena. Nei giorni seguenti il tempo si alternò e il mare si fece più calmo. Di sera gli uomini ascoltavano la musica della banda, per rallegrarsi ed allontanare la paura.
Il 27 febbraio la nave doppiò l’isola di Formosa ed il 28 superò il Tropico del Cancro . Fu esposta sul ponte la rotta della France, perché gli uomini a bordo potessero conoscere le vie del mare che li aspettavano e le soste previste :Singapore, Colombo, Aden. Nessuna sosta era prevista a Shanghai o Honk Kong.

Verso il 1 marzo, purtroppo fu scoperto un caso di vaiolo, che cambiò ogni previsione sui piani di rientro . La zona dove si trovava l’ammalato fu chiusa con una recinzione per impedire il contagio a bordo.
Il caldo cominciava a farsi sentire: c’erano 30 gradi sopra lo zero, perciò fu disposto che gli uomini indossassero delle divise leggere kaki. Oltrepassarono le splendide isole Anambas e Rian.
All’alba del 5 marzo 1920 la nave giunse a Singapore e venne issata la bandiera italiana sull’albero di prua, mentre a poppa c’era la bandiera giapponese. Fu issata anche una bandiera gialla per segnalare il caso di vaiolo. Arrivò a bordo una commissione medica, che si fermò 30 minuti, portando con sé il malato, che fu trasferito in un’isola vicina alla città. I militari furono avvisati di prepararsi ad una vaccinazione, non poterono sbarcare e fu loro detto dal ten. Baldassarre che l’indomani sarebbero stati sbarcati su un’isola a tre miglia dal porto per effettuare una disinfestazione.
Furono condotti in un lazzaretto, sotto una tettoia, per la procedura.

Il 7 marzo 1920 lal France poté ripartire per Colombo e costeggiò la penisola di Malacca,mentre l’8 marzo i naviganti erano in vista dell’isola di Sumatra.
La notte del 14 marzo 1920 erano nelle vicinanze di Ceylon ed il 15 marzo erano già alla fonda davanti al porto.
Anche questa volta gli uomini avrebbero voluto scendere per visitare la città, ma non poterono farlo, con rammarico, sempre per timore di un possibile contagio . La bandiera gialla era ancora issata.
Fu effettuato un carico di banane e patate. Verso le 23 ripartirono .
<< Singapore l’abbiamo visto da lontano, Colombo da vicino e si ha paura di rimanere a bordo anche ad Aden.>>scrisse Carrara nel suo diario.
La nave procedette nell’Oceano Indiano , con 34 gradi all’ombra. Gli uomini a bordo poterono assistere ad un meraviglioso tramonto, nelle vicinanze di Capo Guardafui (Somalia), il punto più orientale dell’Africa.

Il 20 marzo 1920 la nave arrivò ad Aden, fermandosi fuori dal porto. Finalmente gli uomini erano in procinto di sbarcare, indossando una divisa di panno leggero . Arrivò però il temuto contrordine: la fermata nella città sarebbe stata rinviata al mattino dopo, 21 marzo . Alle ore 7 due grosse barche prelevarono i soldati ,che furono portati alla banchina e finalmente poterono lasciare la nave e visitare la città.
Aden, costruita nell’ antico cratere di un vulcano, era divisa in due parti :quella europea e quella indigena. Alcuni nostri uomini provenienti dalla Siberia affittarono delle automobili per recarsi nella città indigena. Percorsero la strada che finiva in cima ad una collina, da dove poterono osservare il panorama della Baia di Aden. La città era distesa in una grande vallata , con molte casette col il tetto a forma di terrazza. C’erano archi magnifici .Le vie erano affollate da indigeni con variopinti costumi .
La zona europea era molto diversa : si notavano negozi deserti, si vendevano piume di struzzo. In città circolava anche moneta italiana. Verso le ore 10.30 gli uomini ritornarono a bordo della France Maru. Intanto nel porto era attraccato il piroscafo “Favignana” della Società marittima Italiana.
Il giorno dopo (22 marzo 1920)era previsto l’arrivo della nave Africa,diretto a Livorno(riporta il Diario di Carrara), mentre il piroscafo Roma era passato di lì il 15 marzo 1920,proveniente da Bombay .


Il piroscafo French Maru riprese il viaggio già la sera del 21 marzo, alle 21.
Il 22 marzo attraversò lo stretto di Bad –el – Mandeb, costeggiò le isole dei Dodici Apostoli. Durante la giornata navigò insieme ad una nave giapponese ,l’Ume Maru, carica di soldati tedeschi e ex austroungarici, partiti dalle rispettive Legazioni di Pechino, che rientravano nei loro paesi dopo la guerra.
Il 27 marzo il French arrivò al Canale di Suez. Lo stesso giorno giunsero nella zona anche la nave Roma e l’Ume Maru .

Sorse un problema che ritardò il proseguimento del percorso : Il comandante giapponese del France Maru non voleva pagare la tassa di passaggio per il Canale, perché affermava che spettava al Governo Italiano, che aveva affittato il piroscafo per trasportare il C.S.E.O.
Ci fu una lunga trattativa burocratica di telegrammi tra Tokio e Roma. Nel frattempo il Roma era ripartito ed era arrivata in porto anche la nave petroliera Ansaldo VI. Verso sera la France Maru risolse il problema del pedaggio e ripartì. All’imbocco del Canale i militari poterono vedere i lavori per il recupero della R. nave Basilicata, affondata nel 1919.

Il 28 marzo 1920 la nave arrivò a Porto Said.Il ten. Bianchi passò in rassegna i soldati , ma chi voleva recarsi a visitare la città avrebbe dovuto pagarsi il trasporto su imbarcazioni private. Il tenente Carrara, girando per la città, notò che i prezzi erano triplicati rispetto alla volta precedente.
Si ripartì la stessa sera e a bordo tutti erano contentissimi, perché in 4-5 giorni la nave sarebbe arrivata in Italia. Da quando il France era partito da Port Said, era preceduto dal Piroscafo Roma. La England Maru e La Texas Maru erano più avanti .
Il 30 marzo Il comandante della Roma e Fassini Camossi si scambiarono un radiogramma di saluto.
Il 1 aprile 1920 gli uomini a bordo erano agitatissimi : erano vicini allo Stretto di Messina , costeggiarono le isole di Stromboli ed alle 21 erano tutti radunati a prua, con lo zaino pronto, per godersi l’arrivo.

Alle ore 22 e 30 erano in vista Posillipo e Napoli ed alle 23 si potevano vedere i palazzi e i tram elettrici ed il bagliore delle luci della città. Il France Maru intanto aveva cominciato a rallentare la velocità , mentre dal ponte di comando furono lanciati i razzi luminosi per far venire a bordo il pilota. A mezzanotte il piroscafo gettò le ancore nel molo di Santa Lucia .

Nessuno dormì in quella notte, per l’agitazione e la gioia. Alle 5 del mattino del 1 aprile 1920 l’equipaggio era pronto, furono issate le bandiere di segnalazione e il Gran Pavese. Il piroscafo fu addobbato con bandiere multicolori.
Verso le ore 8.30 salì a bordo la Commissione sanitaria per vaccinare dei militari sospetti di essere ammalati di vaiolo .Alle ore 10 ci fu lo sbarco degli uomini, che formarono un quadrato sulla banchina, mentre aspettavano la bandiera di guerra del CSEO. Arrivarono degli ufficiali per dare il benvenuto a Fassini Camossi .
Ma a questo punto il diario di Francesco Carrara esprime la sua delusione ed amarezza per l’assenza di qualsiasi accoglienza o festeggiamento, sia da parte dei militari di stanza a Napoli, sia da parte della gente napoletana. “ Se fosse arrivata una spedizione di cani sarebbe stata ricevuta meglio”. Altro che la “gloria” promessa per convincere tutti questi uomini ad andare a combattere in Siberia contro i Bolscevichi.

I militari con lo zaino impaccato lasciarono la banchina e si diressero alla Caserma per le truppe coloniali, che era un edificio lungo e vasto, esteso circa 1 km, dove le camerate , per Carrara, erano “stanzoni da granaio”. Le scale erano salite dove passavano i muli per il trasporto del grano. C’era gran confusione, soldati di tutte le Armi e Corpi. I Genieri (tra cui Carrara) furono sistemati in una stanza con paglia a terra, su cui dormire ,dopo aver scaricato i camion che trasportavano il materiale della nave. Ad un tratto scoppiarono colpi di cannone, sirene, e petardi : era la vigilia di Pasqua , Festa della Resurrezione. Tutti i piroscafi erano in attesa della benedizione.
La partenza da Napoli per le rispettive abitazioni fu stabilita per il 6 aprile e molti uomini protestarono per questo ritardo. Era anche in corso lo sciopero dei ferrovieri.
I militari arruolati in Italia lasciarono Napoli in treno . Gli ultimi soldati dei Batt. Neri vennero liberati dal loro ruolo militare . I Battaglioni neri furono sciolti definitivamente a Napoli il 15 aprile 1920.

Poi ciascuno di questi uomini, nati nelle nostre zone diventate Italiane durante la loro assenza proseguì il viaggio verso le loro abitazioni.
Non posso dire con precisione se la France Maru sia arrivata a Trieste (anche se finora ho spesso sentito affermare questo, nella lettura dei libri).

Pertanto sui fogli matricolari di moltissimi reduci dalla Russia della Grande Guerra si legge :

Piroscafo England Maru -->sbarcato a Trieste il 10 Aprile 1920
Piroscafo Texas Maru --> sbarcato a Trieste il 10 Aprile 1920
Piroscafo France Maru --> sbarcato a Napoli il 1 Aprile 1920

Questa è la French Maru.

Immagine


Quei ragazzi diventati ora uomini avevano finalmente concluso la loro guerra ,due anni dopo il termine del Grande Conflitto mondiale, ma che ne sarà stato delle loro anime? Avranno lasciato il segno nei loro intimi pensieri tutti quegli anni trascorsi in mezzo ad uccisioni, prigionia, lontananza?
Ed oggi, cosa resta nel cuore di chi vive in situazioni simili di guerra, con la paura della morte e della violenza sempre accanto?

Mandi


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

A ma piacciono tanto le foto. Le foto a volte possono parlare da sole, se si conosce il contesto. Ho ripreso questa immagine dal Forum, per poter completare il discorso.

L'immagine inserita per me era molto intrigante, perchè senza alcun dubbio scattata a Vladivostok, nel periodo di cui m'interesso.



Immagine

Il topic xera questo : "CHI MI AIUTA?"

https://www.atrieste.eu/Forum3/viewtopic ... ladivostok





Rofizal aveva voluto rilanciare un "simpatico topic del vecio forum".

Sergio nel 2002 affermava : "Ho trovato in casa una vecchia foto che riporta la seguente annotazione:
"Facciata della Stazione colpita da granate il 17-18 novembre 1919"
In effetti su uno degli archi di ingresso si nota il colpo di artiglieria, ma non riesco ad individuare di che stazione si tratti."

Macondo nel 2003 aggiungeva" Go l'impresion che se trati de una foto ciapada in Rusia, durante la guera civil che ga seguido la Revoluzion de Otobre. La Guardia Bianca contro i Bolscevichi, praticamente. Guarda ben come ze vestide le tre persone che se vedi e la architetura stesa ga molto de oriental".


Sergio continuava :"In efeti, la cosa xe posibile, perché la foto la devi eser stada de mio nono, che ga fato la prima guera, col vecio Impero, in Russia, el xe sta fato prigioniero e el xe tornado poi in Italia solo alcuni ani dopo la fine dela guera (credo ala fine de aprile del 1920), col Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente."


E Macondo ricordava che " intorno ai anni 1919-20 una delegazion militar italiana la iera in quela cit per facilitar el rimpatrio de prigionieri de guera italiani (saia mejo dir giuliani, in questo caso) che i gaveva servido soto l'Austria e che i jera in prigionia in Russia dopo la guerra. Credo che questi jera el caso come el nono de Sergio.
Credo anca che i prigionieri i xe stadi rimpatriadi per nave, che in Rusia ghe jera la guera civil e la transiberiana la jera pericolosa (ricordeve del Dotor Zivago)."



Bon, desso toca a mi intervenir. Dopo varie discussioni, i forumisti concordano che la stazione fotografata xe quela de Vladivostok e questo no xe dificil capirlo.
Quel che mi sembra interessante è che il nonno di Sergio senz'altro si trovava a Vladivostok in quel periodo, ed era in attesa delle navi che lo avrebbero riportato a "casa sua", forse insieme a mio nonno e agli altri che ho citato.
In base alle date, le navi su cui sto nono si è imbarcato possono essere la Nippon, la Persia, le tre navi giapponesi... Le prime due navi nipponiche arrivarono proprio in aprile a Trieste...

Quel che mi par bello, è il fatto che questo ragazzo, diventato nono de qualchedun, cioè Sergio, ha portato con sè questa foto, forse per ricordare un periodo davvero terribile a Vladivostok,in particolare nelle giornate del 17 - 18 novembre 1919 . Periodo in cui tutti aspettavano aspettavano le navi dall'Italia, che mai mai mai arrivavano... e dove nel frattempo ci furono bombardamenti , lanci di granate...

Ve parlerò in seguito di cosa successe nel novembre 1919 a Vladivostok ....


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Re: triestini e trentini - rimpatrio dopo la guerra

Messaggio da mandi_ »

Le tragiche giornate di Vladivostok, 17-18 novembre 1919

Era un mattino livido di novembre 1919 . Stefanin procedeva lungo le vie di Vladivostok, con una divisa italiana addosso e armato di un fuciletto. Il berretto gli scivolava, per fortuna fermato dalle orecchie a sventola.
Era di guardia alla città, assieme a molti compagni. Tra poche ore sarebbe finito il suo turno ed avrebbe potuto avviarsi verso le baracche a Gornostai, a dormir su la branda..
Era stufo marcio di quella vita e ripensava ai suoi campi lontani. Erano sei anni che non rivedeva la famiglia e non sapeva se al ritorno, sempre che ci fosse stato un ritorno, avrebbe ritrovato un lavoro e una casa.
Mentre gli uomini pattugliavano,se sentiva strane parlade...

“Tante promesse e mi son ancora chi a spetar, porca l'oca!
Chi se canta “Maruska maruska” ma navi, niente da far!”

“To mare grega che te ga fatto, no sta portar sf... Le navi n'ha promeso che le riverà...vojo riveder el me mar, no sempre sto mar de jazzo!”

“Zio mul, i me frus lontani...”


Tutta la città era in allarme, perchè ormai non c'era più niente da fare. Il generale Kolciak stava retrocedendo con l'esercito dei Bianchi verso Vladivostok, i bolscevichi stavano vincendo ovunque, i Battaglioni neri erano ritornati a Tientsin. Adesso per gli appartenenti alla Missione Italiana c'era una sola cosa da fare : andarsene di lì.
Ma le cose in guerra non sono mai semplici e Stefanin vedeva continuamente arrivare gente di tutti i tipi in città. C'erano migliaia di Cechi, tra l'altro , nella stessa situazione.
I Bianchi Russi uccidevano tutti quelli che consideravano nemici, i Rossi anche. Brutta cosa una guerra civile, dove uomini della stessa nazionalità si uccidevano tra loro.
In quella scialba mattinata del 17 novembre 1919 Stefanin e i compagni videro un treno blindato di russi Bianchi entrare nella stazione, trasportando decine e decine di prigionieri Rossi.
Essi furono condotti poco in un luogo un po' fuori dalla vista nelle vicinanze della Stazione e furono uccisi in massa, nel giro di poco tempo.
Anche il soldato Giuseppe era accorso a vedere, sentendo le urla di dolore e di rabbia, ma i due stavano ben nascosti. In certi casi è meglio star “fuori dalle rogne”. Non si sa mai, se si vuole portare la vita a casa. I due non potevano fare niente, se non osservare muti con grandissima pena. Giuseppe poi aveva una moglie e un bambino da portare in Italia, dove le mucche le era enormi...sempre più enormi nel suo pensiero.

Questo sistema sbrigativo di uccisioni sommarie era praticato da entrambi gli schieramenti. A volte i condannati a morte erano costretti a scavarsi la fossa.

I Bolscevichi vennero ben presto a sapere dell’accaduto e dalle porte della città, dal nulla, da ogni dove cominciarono ad affluire innumerevoli, armati fino ai denti, pronti alla vendetta, nei pressi della Stazione.
Una bomba fu lanciata sulla locomotiva del treno, danneggiandola gravemente per impedire ai Bianchi ogni possibilità di fuga.
Alle ore 10 del mattino i Rossi formavano ormai un’imponente massa di uomini armati intorno alla stazione.
Le legazioni interalleate rafforzarono i blocchi di difesa e posero immediatamente sentinelle ovunque con ordini precisi e severissimi.

I rossi sferrarono l’attacco per primi, ma dalle due entrate laterali della stazione , le mitragliatrici dei bianchi s’imposero sugli assalitori, che furono costretti ad una precipitosa fuga sotto le pensiline laterali del caseggiato. Intanto dalla baia del Corno d’oro una cannoniera faceva sentire il boato dei suoi pezzi da 210 , mentre i Rossi non avevano appoggio di navi .

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Un obice della cannoniera cadde poco distante dalla ferrovia.
I morti alle ore 11 erano più di un centinaio .
Alle 14.30 l’interno della stazione era controllato saldamente dai Bianchi. Alle 17 un praporscick(tenente dell’armata rossa) fu ucciso.
La reazione fu fulminea: i Bianchi uscirono a baionette distese ; nelle vicinanze dello Zolotoi Rok(Albergo dell’Aquila d’Oro), sede della Missione Italiana, una cinquantina di Rossi fu massacrata senza pietà ed abbandonata in mezzo alla neve. Le sentinelle e molti Italiani assistettero al fatto.
Durante la notte arrivarono rapidamente altri 400 Bianchi alla Stazione, favoriti probabilmente dai Giapponesi stanziati nella città.
All’alba del 18 novembre i Rossi tornarono all’assalto .Poco prima di mezzogiorno partì la battaglia nelle sale d’aspetto, nei corridoi, nelle passerelle,sotto la tettoia della stazione di Vladivostok.
Da tutti i punti elevati ,dalle finestre , dalle pensiline si aprì un fuoco infernale, con lancio di granate...
A poco a poco però i mucchi dei corpi dei Bolscevichi caddero al suolo ; molti fuggirono nei corridoi della Stazione , impregnati dai gas di balistite . Così continuò tutta la giornata finchè i Rossi furono sconfitti e uccisi.
Più tardi le autorità interalleate fecero piantonare i cadaveri e seguì una calma terribile. Nei giorni seguenti furono celebrati i funerali delle vittime .

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Ma gradualmente, inevitabilmente i Bolscevichi s’impadronirono di Vladivostok.

Sono ritornata indietro nel tempo, per cercare di capire cosa possono aver vissuto tutti i nostri ex prigionieri a Vladivostok, città spesso nominata dai nostri nonni .

Anna, suo marito, il loro figlioletto, mio nonno, il fratello di mio nonno, il Triestino Valentino, Paolo( il ragazzo di Parenzo che morì otto giorni dopo), il Goriziano Antonio, el futuro nono de Sergio jera lì e come affermarono molti giornali dell'epoca, assistettero il 17 e 18 novembre 1919 alle uccisioni, dove tuti i sbarava contro tuti, dentro e fora dala stazion e nelle vie di Vladivostok. Molte testimonianze riportarono la triste visione di tanti ragazzi ammucchiati , semicoperti dalla neve. Ci sono anche delle foto, che preferisco non mostrarvi. La foto del nonno di Sergio mostra il segno lasciato da una granata lanciata in quei giorni di novembre.
Il giorno dopo sicuramente i nostri parteciparono ai funerali delle centinaia di vittime. Tante bare bianche furono portate e sfilarono accanto alla Church of Intersession Virgin Mary, la chiesa che vedete nella foto.

Ora Vladivostok è una città grande e moderna, e chissà se vi si ricordano ancora la pena, le uccisioni, l'ansia dei nostri ragazzi di allora.Così come da noi si è quasi dimenticato tutto.


Prigioniero, a casa tornai solo tardi
tre anni dopo la guerra squarciante.
Le orecchie mi rintronavano ancora
tre anni squarcianti dopo la guerra.
Arrivai dalla cucina e nemmeno bussai
ci dormivano mia moglie e un altro uomo,
tre anni dopo la guerra squarciante.
Andai dai miei genitori : li trovai come allora,
tre anni dopo la guerra squarciante.
In casa lavorai e nel mare pescai
tre anni dopo la guerra squarciante.
Ma quando parlavo , capirmi non potevano più
E nessun altro poté.
Facevano come nulla fosse accaduto
tre anni dopo la guerra squarciante.
Sparatemi pure e sotterrate il mio corpo
non riuscirete a strozzarli,
non potrete scordarli,
gli anni squarcianti dopo la guerra.

Poesia di un soldato della Grande Guerra



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Antoine de Saint-Exupéry

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