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La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

GABRIELE FOSCHIATTI

Nato a Trieste il 28 giugno 1889, studiò con profitto all’Istituto Nautico e non ancora ventenne aderì al movimento repubblicano. Il partito, che si ispirava agli ideali di Garibaldi e di Mazzini, aveva preso all’atto della sua fondazione, nel 1906, il nome di “Democrazia Sociale”, essendo vietato dalla legge austriaca costituire sezioni di partiti o di associazioni politiche operanti in Italia.

Foschiatti fu conquistato immediatamente dal programma del partito, che predicava – come si poteva leggere nel primo numero del suo organo, l’Emancipazione, - non solo l’avversione alla “tirannia” conservatrice dell’Austria, ma anche un forte impegno per “la liberazione dalla tirannide del capitale e l’eliminazione del padrone delle fabbriche”: un impegno che portò i suoi uomini a cercare costantemente un rapporto ideologico, organizzativo e culturale con la “sinistra” repubblicana che operava in quegli anni in Italia.

Furono questi ideali che lo spinsero nel 1911 ad accogliere l’appello di Ricciotti Garibaldi e a combattere in Albania, come volontario garibaldino, in appoggio alla rivolta delle tribù cattoliche dei Malissori; furono gli stessi ideali a portarlo, l’anno successivo, a combattere in Grecia per la liberazione di Giannina.

Nel 1914, mentre si profilava la possibilità dell’entrata in guerra dell’Italia contro la “alleata” Austria, Foschiatti si recò a combattere in Francia nella “Compagnia Mazzini”; l’iniziativa di quel gruppo di volontari italiani che speravano in un appoggio militare ad uno sbarco in Dalmazia fallì ben presto e Foschiatti, alla fine dell’anno, si iscrisse al Centro raggruppamento volontari. Quando scoppiò la guerra era soldato volontario e nel luglio del 1915 partecipò all’assalto del Podgora. Nel 1916 fu al comando di un plotone della Brigata Casale e si distinse nella conquista dei bastioni del Monte Calvario e nella liberazione di Gorizia. Furono esperienze nelle quali seppe conquistare l’affetto e la stima dei soldati per le sue doti di “mente e di cuore che non si dimenticano”, com’ebbe a scrivere un suo subalterno.

Finita la guerra, Foschiatti continuò a prestare servizio in qualità di ufficiale presso il Comando Militare Italiano e in questa veste preparò per il Regio Governatorato una relazione sulla “vita politica triestina”, in cui traspariva, nonostante i limiti imposti dal suo ruolo, una appassionata analisi della città all’indomani della guerra. Dopo aver sottolineato che la situazione generale della città era “grave” e che i vecchi partiti, quello liberal-nazionale e quello socialista, erano entrati in una profonda crisi all’indomani dell’unificazione, fece presente che la città era “un ambiente favorevole allo sviluppo delle idee democratiche” e che in questa direzione si muovevano soprattutto gli uomini che aderivano alla “Democrazia Sociale Italiana”. Di questo partito - “apertamente irredentista, fu chiamato il partito dei mazziniani” - Foschiatti sottolineò nella sua relazione soprattutto i meriti conseguiti nella lotta contro l’Austria e nella difesa dei “principi di democrazia tra gli slavi col fine di ottenerne il graduale, civile assorbimento”.

All’indomani della guerra Foschiatti non si unì al coro dei nazionalisti e polemizzò ripetutamente contro l’invadente retorica del “trincerismo”, che tendeva a identificare gli interessi della nazione con quelli dell’imperialismo: non aveva nulla a che fare – come scrisse nel 1923 su La Rivoluzione Liberale – con quel “quel gretto egoismo parrocchiale” che animava tanta parte della borghesia liberal-nazionale triestina.

Nel contempo era però fermamente convinto che al coronamento della guerra nazionale mancasse ancora Fiume e con questo spirito partecipò, assieme a Ercole Miani e ad altri repubblicani e democratici, all’occupazione armata della città. Fu un’esperienza contraddittoria e, come riconobbe nel giornale gobettiano, piena di suggestioni e di uno stile di vita “di cui ci siamo liberati appena dopo un certo travaglio interiore […]. Guardiamo a quel passato, con lo stesso sorriso di tristezza con cui accarezziamo un vecchio berretto goliardico. Lo amiamo per tutti i ricordi che suscita. Guai, però, a rimetterlo in capo!”

Nei primi anni Venti questo suo “travaglio interiore” trovò una testimonianza meditata negli articoli scritti per il Velite - un settimanale “onesto e cavalleresco” lo chiamò Ercole Miani - dove venne approfondendo il suo pensiero sul diritto di nazionalità, che è sacro per ogni popolo: “Non possiamo” – scrisse – “rinnegare quel valore spirituale e civile contenuto nei concetti di libertà e di giustizia, senza dover scontare tale rinnegamento, nel tempo, con dura esperienza fatta di dolori e di delusioni”. Ogni violazione ai danni dei diritti di nazionalità dev’essere per lui condannata alla stregua di un oltraggio all’umanità intera ed un delitto di “lesa patria”.

Questo ferme convinzioni lo portarono ad opporsi al fascismo fin dall’inizio: “Di tutto questo, Foschiatti si accorse forse prima degli altri. La sua reazione” – scrive Galliano Fogar – “fu pronta e lucida. Il suo posto fu di nuovo a Trieste, assieme ai gruppi democratici ormai in lotta aperta col fascismo. E con lui furono vecchi compagni d’arme come il Miani, nel quale la bonaria tolleranza per l’estetismo dannunziano a volte profondamente trascinatore ed umano, lasciò il posto allo sdegno per il ricatto nazionale e la violenza fascista, così lontana dalle tradizioni risorgimentali, in cui questi patrioti avevano fortemente creduto”.

Nel 1924, all’indomani del delitto Matteotti, Foschiatti prese posizione contro il pericolo fascista con lucidità e coraggio. Fu suo l’ordine del giorno della sezione triestina degli ex-combattenti de “L’Italia Libera”, pubblicato sull’Emancipazione, in cui invitava tutti gli “uomini” liberi ad opporsi “ad un regime eretto su un governo personale di uno scaltrissimo dittatore, presidiato dalle baionette di una milizia di parte, fondato idealmente sull’arbitraria identificazione del partito nello Stato e nella Nazione […] che si procura il consenso con l’addomesticamento degli oppositori e dei partiti, con l’accaparramento della stampa, con la corruzione delle coscienze […] che ha gettato l’Italia alla mercé di una ristretta oligarchia di mediocrissimi uomini banditori di un combattentismo addomesticatore e corruttore”.

Nell’estate del 1924 cominciarono i processi contro i responsabili della stampa d’opposizione, L’Emancipazione, il Mali List e Il Lavoratore. L’anno, dopo i giornali contrari al governo furono costretti al silenzio.

“Durante gli anni del regime fascista” – ricordò a San Giusto nel 1948 l’amico fraterno Ercole Miani, in occasione delle solenni commemorazioni - “la sua vita pubblica non contò più nulla. Visse d’interiorità, visse in solitudine dai possenti, dai patriottardi e dagli speculatori. In quell’epoca, in una lettera inviata ad un amico, così egli si esprimeva: “Quanta luce divina in questa nostra oscurità, quanti toni di fede in questo nostro silenzio!”. Pubblicamente non contò, dunque, nulla, ma la vita che condusse è il commento più degno dell’austerità della sua indole; studio, lavoro e povertà”.

Il giro di vite contro gli oppositori colpì anche lui: in seguito ad una lettera al Comandante del Corpo d’Armata di Trieste, in cui aveva spiegato il motivo del suo rifiuto a giurare fedeltà secondo la formula fascista, fu espulso dai ruoli degli ufficiali in congedo: gli fu confiscata la pistola d’ordinanza, fu tacciato d’anarchico, di sovversivo, e per lungo tempo venne pedinato.

Riprese a studiare e si interessò particolarmente di filosofia, dei problemi politici e sociali. Passavano gli “anni difficili” e Foschiatti si chiuse sempre più in se stesso. Come ricordò con mestizia ed affetto Giani Stuparich, che gli era stato amico fin dai tempi della giovinezza, quando entrambi militavano tra gli studenti repubblicani, “ci vedevamo qualche volta in libreria Borsatti – dove, nel retrobottega, girava “qualche libro clandestino” - ed erano incontri in cui davamo sfogo reciproco all’amarezza dei nostri animi. […] Nei nostri incontri, spaziati nel tempo, io ritrovavo Gabriele Foschiatti mutato e sempre più raccolto in sé, sempre più deluso degli uomini, ma una cosa fondamentale non mutava mai in lui: la sua fede, fede nella verità e nella giustizia. In questo egli era concretamente e sostanzialmente mazziniano”.

Questa sofferta moralità lo indusse nel 1942 a testimoniare tutta la sua solidarietà e il suo affetto all’amico scrittore quando la stampa fascista attaccò il suo romanzo Ritorneranno.

I suoi ideali e i suoi studi lo indussero anche ad approfondire il tema del federalismo: una traccia di ciò si trova anche nello scambio epistolare che ebbe nel 1939 con Carlo Schiffrer, quando questi pubblicò un saggio su Carlo Cattaneo. Foschiatti gli manifestò tutta la sua stima e il suo commosso entusiasmo: il professore triestino gli aveva mostrato la nobiltà e la grandezza di un pensatore, che come Giuseppe Ferrari e Carlo Pisacane, aveva saputo coniugare, nella più profonda ispirazione risorgimentale, gli ideali di giustizia sociale, di libertà e di organizzazione federale dello Stato: un progetto cui Foschiatti guardò fino all’ultimo con grande interesse, fino a indurlo a prospettare anche per la regione giulia un’ampia autonomia, un vincolo federale con una nuova Italia, democratica e repubblicana.

Alla caduta del fascismo Foschiatti si impegnò subito nella lotta politica, entrando a far parte del “Fronte Democratico Nazionale” come rappresentante del Partito d’Azione. Decisamente contrario alla adesione al governo Badoglio, si adoperò con successo a contrastare il tentativo di Coceani di trasformare la Compagnia Volontari un una “falange” di “veri patrioti” e di assumere così nuovamente il controllo della città. In questa operazione politica poco chiara egli scorse subito l’ultimo tentativo di riprendere in mano la situazione da parte di quel vecchio ceto dirigente triestino che aveva sempre sostenuto il fascismo.

Quando la minaccia delle truppe tedesche si fece incombente fu tra coloro che cercarono, inutilmente, di convincere il generale Ferrero a difendere la città ed armare i partigiani volontari. Il fallimento di questa iniziativa non spense il suo desiderio di lottare e nella città occupata fu tra i primi a dar vita, dalle ceneri del Fronte Democratico, al CLN, aperto alla collaborazione di un ampio schieramento di forze politiche, dai liberali ai comunisti. Nel contempo si dedicò con coraggio alla formazione dei gruppi di “Giustizia e Libertà” e alla stampa clandestina. Con lo stesso spirito destinò anche alla pagina scritta la testimonianza dei suoi ideali e della sua esperienza umana componendo due saggi, Folklore Triestino e Fede Unitaria. Era l’invito a tutti gli uomini che avevano fede nella libertà a combattere contro il nazismo e il fascismo, per riconquistare quella dignità che per troppo tempo era stata calpestata: “Oggi il popolo italiano, sotto la guida dei Comitati, combatte gli occupatori con le formazioni nelle città e con quelle dei partigiani sulle montagne ed ogni Italiano, soldato della libertà, che muore con le armi in pugno contro i Tedeschi è un pegno per la nostra integrità nazionale”.

Poco tempo dopo, tra il 16 e il 19 dicembre 1943, le SS lo arrestarono. Con lui finirono al Coroneo i dirigenti del CLN triestino: il cattolico Tanasco, i comunisti Zulian e Pisoni, il liberale Gandusio e il socialista Puecher. La notte del 28 febbraio, assieme ad altri 70 prigionieri, essi furono rinchiusi in un carro bestiami e condotti a Dachau.

“A Dachau Foschiatti resistette 11 mesi. Fu mandato a lavorare” – scrive Galliano Fogar, che ha ricostruito la sua biografia con grande partecipazione ideale ed umana – “nelle officine sotterranee destinate ad alloggiare fabbriche di guerra. Bastonate, cibo acquoso e scarso, sofferenze fisiche e morali continue lo ridussero in condizioni penose. Si spense il 20 novembre 1944”.

Due mesi dopo un manifesto clandestino del Partito d’Azione viene fatto girare per la città. Ricorda a tutti l’olocausto di un “martire triestino” e in sua memoria si invitano i “compagni” alla lotta “perché il popolo italiano libero fino ai termini estremi suoi etnici ed il libero popolo jugoslavo, ambedue franchi da ogni nazionalismo mortale nemico della pace, possano sinceramente collaborare ed uniti esplicare la missione loro assegnata nella Federazione europea delle nazioni emancipate”.

Nel 1951 venne concessa a Gabriele Foschiatti la medaglia d’oro al valore militare.



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