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storia_ts:biografie:ucekar_carlo



La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

CARLO UCEKAR

Carlo Ucekar nacque a Trieste nel 1854. Perso il padre in tenera età, entrò a 14 anni come apprendista compositore nella tipografia del Lloyd, dove lavorò per quasi tutta la vita. Dopo aver assolto il tirocinio - racconta Piero Piemontese, che con lui divise l’impegno politico ed il mestiere di tipografo - entrò nella Società operaia, dove “lo scopo principale era quello di educare gli operai al culto dell’amor patrio inteso in senso nazionalista e, occultamente, all’irredentismo”.

Partecipò alle attività del circolo “Irredenta” e divenne amico di Guglielmo Oberdank, che aiutò a fuggire quando questi decise di disertare per non essere costretto ad andare in Bosnia a combattere contro i “ribelli”. Condivideva questi suoi ideali la moglie, Carolina Crammer, una giovane “sartina” che nel 1882 era stata condannata ad un anno e mezzo di carcere per apologia dell’irredentismo.

Ucekar fu avvicinato alle idee socialiste da Antonio Gerin, un collega tipografo di origine triestina che a Roma ed a Milano aveva appreso le prime nozioni sul socialismo. Nel 1888 assieme a Gerin ed a Giovanni Oliva fu uno dei promotori della Confederazione Operaia: erano con loro una trentina di operai, quasi tutti lavoranti sarti, tra i quali alcuni “tedeschi”. Tre tipografi, cui toccò, come sottolinea Ennio Maserati, “il compito di gettare le basi organizzative del movimento operaio triestino, di cui a giusta ragione saranno considerati i pionieri”.

Erano anni in cui il movimento operaio triestino era ancora molto debole e la coscienza sociale piuttosto scarsa, come avrebbe testimoniato anni dopo (1899) lo stesso Ucekar nell’articolo Lo sviluppo dell’idea socialista nelle nostre terre apparso nell’“Almanacco socialista”: “L’ignoranza dei propri diritti era, diremo così, sufficientemente giustificata dal fatto che il lavoratore di Trieste doveva innanzitutto curarsi di uno solo dei suoi diritti: della custodia del cosiddetto patrimonio nazionale, meschino patrimonio invero, dal momento che l’affermazione dell’italianità di Trieste poco seriamente compromessa da qualche mestatore politico sloveno, non metteva la classe lavoratrice nostra e delle vicine province nella condizione di procurarsi una migliore esistenza economica e politica. […] Gli interessi economici che il proletariato deve difendere quotidianamente contro l’usurpazione del capitalismo internazionale erano in quell’epoca una quantità trascurabile a fronte della questione nazionale, abilmente sfruttata dalla classe capitalistica e dall’istesso governo per tenere divisi e sottomessi gli operai. In una parola: la massa lavoratrice s’interessava più o meno della causa nazionale, mentre era quasi del tutto incosciente dei propri diritti di classe in linea economica e politica”.

Facevano eccezione i tipografi ed i cappellai “associazioni che provvedevano un aiuto all’operaio impotente a lavoro a causa malattia; e nulla più”.

Degna di memoria fu la sua collaborazione costante con il giornale “La Confederazione Operaia”, non solo a sostegno delle battaglie sindacali, ma anche a favore di proposte quali lo sventramento della città vecchia e l’allargamento del voto amministrativo. Nel 1894 lo troviamo tra i costituenti della Lega sociale-democratica, della quale divenne presidente; nella sua scia si formeranno alcuni tra i più significativi leaders del movimento operaio triestino, per lo più intellettuali di origine borghese quali Valentino Pittoni, il pubblicista Lajos Domokos, e la maestra Giuseppina Martinuzzi.

L’autorità morale e la grande dedizione alla causa dei lavoratori fecero di lui il primo candidato in occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Impero (1897), le prime che si svolgevano con le nuove norme previste dalla “Riforma Badeni”, che aveva introdotto a fianco delle tradizionali quattro “Curie” a base censuaria, una quinta a suffragio universale maschile.

Tra i tre candidati che la Lega propose per Trieste, l’Istria e il Goriziano, soltanto Ucekar riuscì ad ottenere una discreta affermazione, anche se la competizione ancora una volta aveva visto in prima fila i rappresentanti degli schieramenti “nazionali”, Attilio Hortis, per i liberal-nazionali italiani e Giovanni Nabergoi per lo schieramento nazionale sloveno. I voti raccolti dai tre candidati a Trieste sono molto eloquenti: 14.109 per Hortis, 6.460 per Nabergoi, 4.459 per Ucekar.

Secondo le previsioni della vigilia, i risultati delle elezioni avevano messo in luce ancora una volta quanto fosse debole la diffusione dell’idea socialista nelle province del Litorale. Ucekar rimase però fino all’ultimo fedele agli ideali dell’internazionalismo socialista, a quell’umanismo marxista che caratterizzava in tutta Europa il nascente “socialismo scientifico” ed ebbe la forza di far valere questa sua fede in tutte le sedi, a Trieste come a Vienna, come in Istria, opponendosi con coraggio e coerenza sia al nazionalismo slavo che a quello italiano.

Nel 1898 Ucekar svolse un ruolo interessante di mediatore in occasione della violenta polemica scoppiata in città contro il gesuita don Perissich, che aveva tenuto delle conferenze nella Chiesa di sant’Antonio Nuovo su invito del vescovo Andrea Sterk, un sacerdote di origine croata di cui erano note le simpatie nazionaliste per la causa slava. Ne erano seguite violente manifestazioni, durante le quali socialisti e liberal-nazionali si erano trovati, per una volta, schierati dalla stessa parte. Ucekar volle invitare il gesuita ad un dibattito nella sede della Lega sociale-democratica. Parlarono, oltre al sacerdote, vari esponenti socialisti, che volevano controbattere alle accuse rivolte al materialismo socialista di essere anticristiano e “contrario alla religione”. Ucekar impose con forza all’assemblea il massimo rispetto nei confronti dell’oratore; poi scrisse che “il reverendo gesuita ebbe un bel da fare a sostenere quanto impunemente aveva detto in chiesa; e terminò col non persuadere nessuno”.

Durante i moti del febbraio 1902 Ucekar ebbe modo ancora una volta di far emergere tutte le sue doti di leader politico e sindacale. Lo ricorda con toni commossi Giuseppe Piemontese: “Durante lo sciopero dei fuochisti egli si trovava nelle carceri dei Gesuiti a scontare una breve pena per aver tenuto una riunione senza denunciarla alla polizia, e ne uscì proprio il giorno in cui scoppiò lo sciopero generale. Appena fuori, senza neanche recarsi prima a casa, egli corse al politeama Rossetti a presiedere un comizio. Poi, senza dormire e quasi senza mangiare, fu alla breccia fino al ritorno alla normalità. E forse fu proprio la enorme tensione di quei giorni, aggravata dal dolore mai superato per la morte immatura della moglie, prima, e dell’adorato e promettente figlio diciassettenne poi, a determinare la sua morte improvvisa”.

I fuochisti in sciopero lo avevano nominato, assieme a Giovanni Oliva e ad Ezio Chiussi, membro del collegio arbitrale che doveva dirimere la validità delle proposte operaie - anche il Lloyd aveva nominato i suoi rappresentanti - ed egli era riuscito, con la consueta foga e passione a far prevalere le richieste operaie.

Poco dopo, in maggio, mentre stava mettendo in piedi come aveva fatto tante volte la lista dei candidati al comitato direttivo della società dei tipografi, lo colse la morte.

Il giorno dei funerali fu giorno di lutto cittadino: al vecchio socialista rese omaggio, oltre al proletariato triestino, anche il suo tradizionale avversario “politico”, il “deputato” della quinta curia Attilio Hortis che per due volte lo aveva battuto alle elezioni.

Unirono la loro voce di rispetto e di cordoglio anche gli organi di stampa dei liberal-nazionali, Il Piccolo e L'Indipendente, che fino al giorno prima lo avevano avversato in tutti i modi.


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