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La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

FELICE VENEZIAN

Felice Venezian nacque a Trieste nel 1851 da una famiglia di religione ebraica; dopo aver compiuto gli studi, prima al Ginnasio tedesco e poi a quello italiano, allora appena costituito (1863), si recò ad Innsbruck a studiare giurisprudenza e qui entrò in contatto con numerosi giovani intellettuali conquistati alla causa dell’irredentismo. A Trieste, dove decise di dedicarsi all’avvocatura, divenne collaboratore fidato dello avvocato Attilio Hortis, e strinse rapporti di amicizia e di collaborazione con Francesco Hermet. Iniziò così la sua attività politica nel partito nazional-liberale.

Nel 1882 entrò a far parte del Consiglio comunale e l’anno dopo fu nominato presidente della Unione Ginnastica - poi Società Ginnastica Triestina -, che era già allora una roccaforte dei “patrioti” giuliani.

Negli anni ottanta il partito nazional-liberale si veniva strutturando in modo sempre più netto, con un vertice molto omogeneo e con un programma deciso che rompeva con le tradizioni risorgimentali care alla precedente generazione del liberalismo triestino. Le preoccupazioni di ordine dottrinario sono ormai solo un ricordo, un impaccio: la difesa dell’italianità di Trieste - che fa tutt’uno con la conservazione del potere sulla città - si risolve in una orgogliosa e talvolta gretta chiusura nei confronti del mondo circostante ed in particolare del mondo sloveno e croato. Campo preferenziale di questa battaglia diventa ora la politica scolastica ed anche in questo campo Felice Venezian si impegna con tutta la sua irruenza, il suo carattere autoritario ed intransigente - gli stessi suoi ammiratori lo chiamavano “duce” - come testimoniano i suoi scontri oratori in Consiglio comunale contro le ripetute richieste della comunità slovena di aprire a San Giacomo, dove la maggioranza dei fanciulli era di origine slovena, un giardino d’infanzia froebeliano con la loro lingua materna o, in altri rioni, di una scuola con alcune ore settimanali di insegnamento dello sloveno per i fanciulli di genitori sloveni.

Anche contro la diffusione della cultura e della lingua tedesca Venezian lottò con la consueta tenacia: nel 1886, in opposizione al Deutscher Schulverein, che sosteneva con forti mezzi la scuola in lingua tedesca a sud delle Alpi, mise in piedi la sezione triestina della Pro Patria che si sviluppò rapidamente assieme alla sua consorella trentina. Tra le proposte concrete vi era quella dell’apertura di scuole di lingua italiana nel territorio e nella regione, secondo il secolare criterio - sottolinea al riguardo Apih - che subordinava il territorio alla città.

In questo contesto comincia a circolare, prevalentemente a scopi di propaganda politica, il neologismo “Venezia Giulia” inventato dal geografo Graziadio Ascoli, che indicava una concezione globale ed unificante di territori al di qua delle Alpi.

Felice Venezian fu molto attivo anche nella Lega nazionale, che raccolse l’eredità della Pro Patria, e nella Società Operaia Triestina, il cui programma principale era quello di sviluppare nel modo più capillare il programma nazionale tra i ceti popolari e la classe operaia.

Il decennio tra il 1897 e la sua morte fu il periodo dei suoi maggiori successi in campo politico: sotto la sua guida il partito liberale ottenne una grande vittoria nelle elezioni per il parlamento di Vienna del 1897, con la nomina in ogni curia dei candidati liberal-nazionali, e rafforzò la propria presenza capillare in tutti gli strati della cittadinanza. A Trieste votavano circa l’80-90% degli aventi diritti al voto e questo era un dato molto alto, se confrontato con quelli delle altre parti della monarchia danubiana.

Fu però anche il periodo in cui l’intransigenza ed il conservatorismo in campo sociale dei liberal-nazionali da una parte accentuarono la contrapposizione con le autorità governative e con le minoranze di lingua slava, dall’altra inaridirono il dibattito interno al partito, vanificando la formazione di una leadership democratica e portando addirittura alla scissione di una parte dei “patrioti” con la costituzione, attorno al “democratico” Edgardo Rascovich, della Associazione democratica.

Un nuovo elemento che appesantì ancor più il panorama della città fu, a cavallo del nuovo secolo, il comparire dell’antisemitismo, che la visita del borgomastro di Vienna Karl Lueger cercò di rinfocolare. Bersaglio principale di questa polemica, come sottolinea Anna Millo, era “quella parte di ebraismo triestino di estrazione sociale medio-alta, che condivideva appieno, con la borghesia italiana, di cui era parte integrante, le apprensioni nazionali contro l’invadenza slava.” L’apporto ebraico all’élite politica, espressione di questi ceti sociali, era infatti molto notevole, come testimoniano nomi quali Eugenio Morpurgo, Eugenio Vivante, Gugliemo Weil, Ettore Ricchetti, nonché leader politici indiscussi quali Teodoro Mayer, Angelo Alfonso Polacco e lo stesso Venezian, che avevano “cancellato” la propria appartenenza alla comunità israelitica.

Nel 1902 Felice Venezian descrive in modo lucido questo nuovo preoccupante fenomeno: “L’antisemitismo a Trieste come un fenomeno recente, dirò quasi neonato, non ha messo ancora denti visibili, ma comincia tuttavia a mordere […] E il sorgente antisemitismo triestino significa la guerra mossa a me da tutti gli elementi che o non vogliono subire la mia persona, o, peggio, non vogliono l’idea che reputano impersonata in me”. Si rende conto lucidamente che il socialismo era il solo partito che potesse “distruggere la lue antisemitica, fenomeno nato dalla invidia e dalla gelosia”, ma riafferma al contempo la convinzione tipica del suo che “per la causa nostra meglio è non ricorrere a tale alleanza”, in quanto a Trieste il socialismo significa “il lento lavorio di distruzione della coscienza italiana”.

In questa lotta su più versanti, Venezian gode dell’appoggio dei vertici della massoneria, ed in particolare del gran maestro Ernesto Nathan, che aveva conosciuto nell’attività a favore della Dante Alighieri e che era stata conquistato alla causa dell’irredentismo dalla sua educazione mazziniana. Così si rivolgeva, in una lettera del 1898, al futuro sindaco di Roma: “Tu sei il solo - m’intendi il solo - nel quale io riponga completa fiducia, il solo che mi si imponga per superiorità da me riconosciuta. Ma intorno a te è tutto un deserto di parolai, di dilettanti di governo, di egoisti e di vigliacchi […]. C’è tuttavia - per virtù tua - un centro nel quale io fondo molte speranze; ed è la Massoneria. Io credo che, volendo fermamente, potrebbe essa insieme al programma liberale unire seriamente quello di rifare un po’ d’amor proprio nazionale”.

Forte di questi appoggi Venezian cercò nei primi anni del Novecento di costruire un partito “a sua immagine e somiglianza”, accentuando sempre più la sua conduzione autoritaria. Ne è testimone diretto lo storico Attilio Tamaro, le cui posizioni erano vicine, come quelle di Fulvio Suvich, alla ideologia nazionalista: “La lotta rendeva necessario quasi un regime dittatoriale: Felice Venezian lo esercitava col suo comitato ristretto (vi appartennero anche per un certo tempo Carlo Banelli, Lorenzo Bernardino, Guido d’Angeli e più a lungo Riccardo Pitteri) […] e tutti lo accettavano, malgrado suscitasse proteste e malcontento, inevitabili tra gente italiana, anche per la ragione che alcuni ottimi erano esclusi dal comando. La storica azione del partito liberale-nazionale triestino rassomiglia profondamente a quello che oggi è il fascismo, anche perché la parte più giovane e più combattiva realizzò già allora quell’azione, che oggi si chiama squadrismo. Si può dire che l’opera di quel partito, fondato su rigide gerarchie, malgrado i suoi apparenti caratteri di democrazia, fu veramente precorritrice del fascismo.”

Forse Tamaro avrebbe dovuto scrivere questa pagina con più cautela, dal momento che Felice Venezian morì, improvvisamente nel 1908: è indubbio comunque che la sua ricostruzione storica, al pari di quella di Rino Alessi, rappresenti il tentativo di delineare una sostanziale continuità tra il partito liberalnazianale e il fascismo.



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