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storia_ts:cronologia:1813_1866



La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.


LA CITTÀ COSMOPOLITA: 1813 - 1867

novembre 1813

Dopo la sconfitta napoleonica a Lipsia, il potere degli Asburgo viene restaurato anche a Trieste: la resa dei francesi, assediati nel castello, è accolta con favore da ampi settori della popolazione, che sperano nella restaurazione indolore delle condizioni politiche del 1809. Tra questi Domenico Rossetti, che da una parte riconosce il fatto che “Trieste non può mantenere qualsivoglia commercio né per le proprie produzioni, né per la sua ubicazione, se non ha dietro alle sue spalle chi debba e voglia approfittare di questa”, dall’altra lamenta ogni perdita di autonomia e di privilegi per opera degli austriaci: nell’ottica sua e del patriziato ogni aiuto era “dovuto”, perché discendeva naturalmente dalla “deditio” del 1382, tradizionalmente interpretata come garanzia perenne di privilegi per la città.

Gli austriaci in realtà sono animati da ben altre intenzioni, come appare subito chiaro al momento della costituzione della “Regia Provincia del Litorale” (1814), di cui Trieste diviene la capitale: nel momento in cui l’Illirio francese viene incorporato nell’impero d’Austria, il nuovo governatore, barone de Lattermann, si rivolge alle popolazioni delle ex “Province illiriche” usando la parola “conquista”. Vengono ristabiliti gli istituti di porto franco a Trieste ed a Fiume, ma la nuova realtà del Litorale non va al di là di una semplice struttura amministrativa, priva di ogni reale consistenza costituzionale: la vera rappresentanza degli interessi comunali è ormai in mano alla Deputazione di Borsa, che raggruppa i “negozianti”.

La vecchia classe dirigente locale non sa o non vuole prendere atto dei profondi cambiamenti intervenuti e, come ricorda Kandler, il Comune ancora “vagheggiava addirittura gli ordini antichi ed avrebbe assai volentieri veduto rivivere il patriziato con tutti i suoi privilegi di casta aboliti dalle leggi francesi”. Una posizione che anche Domenico Rossetti fa sua, propugnando il ritorno alla norma del “numerus clausus”.

“L’Europa in cui Trieste deve ora riprendere la sua funzione” – così scrive Apih – “è […] però quella della restaurazione, preoccupata soprattutto di stabilità interna e di equilibrio internazionale, dove il potere dello Stato si allarga e tende a controllare ogni minuto ingranaggio del corpo sociale. La città non può più essere amministrata autonomamente, come nel secolo precedente, ma vede mantenuti e rinvigoriti dall’Austria i tipici e invisi strumenti del dominio napoleonico, vale a dire il centralismo e il controllo politico rigido […]. La città liberata viene proclamata ‘terra di conquista’ e i funzionari dell’Imperial Regio Magistrato politico-economico, personalmente responsabili verso le autorità viennesi, operano con mentalità assai diversa da quella dei loro predecessori: quanto quelli erano aperti, vivi, intelligenti, altrettanto questi sono pedanti, burocratici, timorosi della responsabilità. Non si fa più conto alcuno degli antichi statuti, e il porto franco viene ripristinato ai soli effetti doganali”.

aprile 1818

Sulla base dei trattati succedutisi alla caduta di Napoleone Trieste, assieme alla contea di Gorizia e all’Istria interna, viene inserita nella struttura della “Confederazione tedesca” (“Deutscher Bund”), in quanto possedimenti già “pertinenti” al Sacro romano impero; si prefigura così, per ora solo formalmente, quel significato europeo della città che sarebbe emerso solo dopo il 1848.

1819

Dopo la crisi determinata dall'occupazione francese, ritornano i capitali esteri: per iniziativa di un imprenditore inglese la città ha il vanto di possedere la prima regolare linea marittima a vapore italiana, il “paquebot Carolina” con trazione a ruota, che “muovevasi nella nostra rada in tutte le direzioni camminando anche a ritroso senza l'aiuto delle vele e dei remi”, come ricorda entusiasta l'Osservatore triestino. La città conta nove compagnie di assicurazione, con un capitale di tre milioni di fiorini, cifra molto cospicua a quei tempi soprattutto se si tiene conto dell'estrema difficoltà che in quegli anni il credito incontra nell'organizzarsi, specialmente in Austria: nel 1823 le compagnie sarebbero diventate undici e nel 1832 una ventina, diciotto delle quali specializzate in assicurazioni marittime.

Così parla della città il poeta austriaco Franz Grillparzer: “Trieste, sia che la si guardi dall’alto del colle presso cui giace, oppure dal mare, offre una visione straordinariamente bella. Il mare nella sua magnificenza, gl’innumerevoli alberi delle navi, il brulichio di gente di tutti i costumi e di tutte le lingue, ogni cosa è eloquente e nova. Un aspetto particolarmente insolito è dato dalla vista, in mezzo alle piazze della città, di considerevoli natanti ancorati nei canali, le cui alberature superano di molto in altezza le case circostanti. […] Le strade brulicavano di persone – era domenica – e tutti si intrattenevano a parlare, a ridere, a cantare. Si notavano le più diverse fogge di vestiti, di greci, di albanesi e così via, ciascuno con la sua impronta. I greci, con la loro fisionomia barbaresca, facevano contrasto con l’aria francese e inglese di altri triestini. Andai al porto, sul molo, dove le navi accostate, formanti una fitta selva di alberi, mi rallegrarono straordinariamente. Davanti stavano, quali difensori e guide del gregge, due brigantini muniti di cannoni e soldati; dietro brulicava sul molo l’innumerevole stuolo dei pieleghi, trabaccoli, barche, ecc., sui quali i mozzi si muovevano giulivi tra canti e strilli, passando come talpe da sopra a sottocoperta, e sgusciando dalle strette aperture”.

1825 – 1830

Aumenta in modo sensibile il traffico commerciale con le Americhe e, parallelamente, la città viene precisando la sua funzione di collegamento degli interessi economici dell'Europa centrale (Boemia e Moravia) con quelli del Levante (impero turco). In quest'ottica è vista la funzione di Trieste da Friedrich List, l'economista che pose i fondamenti teorici dell'idea di “Mitteleuropa”: fu List infatti ad indurre l'imperatore d’Austria Francesco I ad un'iniziativa commerciale verso il Levante che partisse dai porti adriatici dell'Austria e ridesse lustro alla millenaria tradizione imperiale.

1826

Dopo aver subito per un decennio una politica di rigido controllo da parte del potere centrale viennese, la città viene riconquistando parte della tradizionale autonomia. Già da qualche anno Trieste era stata separata dal territorio del suo circolo ed era stata eretta a capitanato a sé stante. Ora la cancelleria imperiale viene incontro alla vecchia domanda di una stabile rappresentanza ed istituisce, a fianco dell’Imperial Regio magistrato politico-economico, una Deputazione comunale costituita da tre cittadini e tre membri designati dalla Deputazione di Borsa (più altrettanti sostituti) con funzioni consultive. La Deputazione restò insediata fino al 1839, anno in cui le autorità viennesi decisero di attribuire a Trieste uno statuto civico vero e proprio.

1829

Domenico Rossetti fonda l'Archeografo triestino, nelle cui pagine – come scrive nell'introduzione al primo numero – “Il passato debbesi avere a maestro del presente”: il patrizio vi continua la battaglia per la difesa delle vecchie “libertà” ed al contempo imposta la battaglia per l'istituzione di una scuola in lingua italiana, che Rossetti vede modellata sugli schemi della tradizione classica. Uno dei temi più appassionatamente dibattuti sulle pagine dell'Archeografo triestino è la ricostruzione della storia dell'Istria, che è vista – assieme alla “sua” Trieste – come parte integrante della storia italiana. In campo politico Rossetti continua a farsi sostenitore del vecchio programma autonomista e quindi della difesa dei ceti interessati alla produzione agricola e al tradizionale trasporto terrestre.

Lo sviluppo crescente dei traffici verso il Levante e le Americhe rende però ormai del tutto inadeguato il suo progetto: negli anni immediatamente successivi infatti il capitalismo triestino si sarebbe modellato sempre più sugli esempi di quello anglo-francese. Che il suo programma fosse sostanzialmente al di fuori del suo tempo e dei movimenti politici e sociali dell'epoca, lo riconoscono in molti; lo stesso Kandler, suo collaboratore nello studio di avvocato e nelle ricerche storiche, alludendo alle speranze rossettiane di rinverdire le vecchie autonomie del Consiglio patrizio ricorda che “la massa non curava punto tali cose”. In realtà, il modo in cui il ceto medio triestino sente il richiamo della “patria”, in un periodo in cui le idealità romantiche si sviluppano sempre più, continua ad oscillare – come scrive Cervani – “fra il municipio e il mondo. E poco tirava ancora, d’altronde, l’idea di una patria italiana; ove si eccettui la moderata e cauta prospettiva politico-letteraria che si manifestava tra gli intellettuali liberali e romantici del gruppo attorno alla triestina Favilla”.

1829 – 1832

La diocesi di Trieste è unita a quella di Capodistria, che è estesa fino all'interno dell'Istria ed è quindi popolata da molti slavi. Già nel 1784 era stato deciso l’ampliamento della diocesi di Trieste fino all’Istria interna, con l’inglobamento dei decanati di Pisino, Chersano, Castua, ma risale a questo periodo quella stabile modificazione amministrativa che avrebbe avuto ampio rilievo nelle successive vicende della città. Una delle prime conseguenze di queste scelte è il fatto che a partire dal 1831, con la sola eccezione di un vescovo di origine tedesca, tutti i vescovi a Trieste saranno di origine slava.

Già da qualche tempo nel mondo slavo si erano fatte sentire le prime voci in difesa della propria tradizione culturale e linguistica; ne erano stati i primi fautori alcuni letterati che avevano abbracciato a Zagabria e a Lubiana il nuovo spirito romantico. Tra questi il poeta carniolino France Preseren, Jernej Kopitar, autore della prima grammatica slovena e Ljudevit Gaj, iniziatore del “movimento illirista”. Secondo i sostenitori di questo movimento i croati erano i diretti discendenti degli illiri, gli antichi abitatori della regione delle Alpi Dinariche e della Macedonia: loro missione doveva diventare quella di “suscitare negli illiri l’amore per la nazione e la patria illirica, restituire loro la lingua ed innalzare di nuovo la gloria della razza”. Nel 1830 Ljudevit Gaj pubblica a Budapest un Breve disegno di ortografia croato-slava, col quale invita tutti i suoi connazionali ad unirsi ed a far proprio un sistema ortografico unitario.

Nel processo di crescita culturale e nazionale di queste popolazioni slave, la chiesa ha fin dall’inizio una funzione molto importante.

1831 – 1838

Sorgono nel 1831, per fusione di un gruppo di società di assicurazione marittima, le “Assicurazioni Generali austro-italiche”, in un momento in cui le operazioni commerciali gravitanti su Trieste superano ormai il bacino del Mediterraneo. La denominazione “Generali” è tratta da quella della compagnia francese delle “Assurances Générales” e indica la volontà – per la prima volta tra le compagnie locali e quelle della penisola italiana – di coprire tutti i rami assicurativi. Le Generali si propongono una durata di 36 anni, un periodo del tutto inusuale per le compagnie di quel tempo, la cui durata media non superava i sei-sette anni. Il capitale iniziale è di ben 2.000 azioni da 1.000 fiorini l’una.

Tra i fondatori vi è Giuseppe Lazzaro Morpurgo, vera e propria eminenza grigia dell’iniziativa e, più in generale, del mondo assicurativo triestino. Era stato proprio lui, una decina d’anni addietro, a fondare quella “Azienda Assicuratrice” che per prima aveva introdotto sulla piazza triestina il modello inglese, teso a superare il settore dei trasporti ampliandolo ad altri campi quali l’incendio e la grandine.

Tra gli eletti alle più rilevanti cariche sociali vanno ricordati Giovanni Ernesto Ritter de Zahony, di Francoforte, uomo che aveva creato le sue fortune tra Londra e Malta, per dodici anni al vertice della compagnia, Samuele Minerbi, Giovanni Guglielmo Sartorio, Marco Parente, banchiere di livello europeo in contatto con i Rothschild di Vienna e con i Torlonia di Roma, Francesco Taddeo Reyer, che in America aveva stretto amicizia con Benjamin Franklin ed aveva poi guadagnato un posto assolutamente predominante in campo assicurativo e commerciale, l’avvocato di Rovereto Giambattista Rosmini, che avrebbe ereditato le redini della società e, primo tra tutti, Karl Ludwig Bruck, il futuro potente ministro dell’impero.

Già nel primo anno di attività le Assicurazioni Generali austro-italiche avrebbero dato un utile netto di oltre 17.000 fiorini; nel 1844, avendo ormai agenzie sparse in tutto il mondo, la società dichiarerà utili per 120.000 fiorini. Nel 1833 il gruppo dà in mano la gestione degli affari ad un numeroso corpo di funzionari specializzati, con una decisione di gran rilievo che segna il passaggio da un'amministrazione collegiale e paternalistica ad una amministrazione burocratica, moderna.

La società crea anche, per la prima volta, una rete idonea di informatori commerciali e marittimi, residenti in diverse piazze, tale da soddisfare gli assicuratori della città: fino a quel momento la Deputazione della Borsa aveva infatti tratto le proprie informazioni commerciali solo attraverso i contatti con i capitani delle navi che facevano scalo nel porto franco. Ora, dal momento che il porto triestino crea sì commercio e ricchezza, ma continua a dipendere prevalentemente dal commercio degli altri stati, questo sistema è divenuto del tutto anacronistico. Sull’esempio dei Lloyds di Londra è costituito nel 1833 il “Lloyd austriaco degli assicuratori” (detto anche “Primo Lloyd”), con lo scopo precipuo di garantire alle compagnie operanti nell’emporio locale notizie esatte sui flussi commerciali internazionali attraverso corrispondenze, giornali, pubblicazioni.

I progetti divengono ben presto più lusinghieri e dagli stessi ambienti che avevano dato vita al Lloyd degli assicuratori emerge la proposta di dar vita ad una grande compagnia di navigazione a vapore, in concorrenza con le compagnie francesi ed inglesi. Nel 1836 nasce il “Lloyd Austriaco della navigazione” (chiamato anche “Seconda sezione del Lloyd”), con un capitale sociale di un milione di fiorini e quattro piroscafi stranieri.

Nel 1838 viene fondata la “Riunione adriatica di sicurtà”, l’altra grande creazione del capitalismo commerciale e finanziario triestino: ne è fondatore il greco Angelo Giannichesi, originario di Zante, già membro influente della Direzione del Lloyd triestino. Fu Giannichesi – che Cervani considera “assicuratore di genio” al pari di Giuseppe Lazzaro Morpurgo – il primo a studiare come ramo specializzato di rischio quello dell’incendio e delle merci viaggianti, rivolto anche a mercanti che non fossero quelli della piazza di Trieste. Tra i soci fondatori di queste importanti iniziative, fondamentali per lo sviluppo della città, molti sono gli azionisti di religione ebraica, molti sono stranieri e costituiscono a Trieste una vera e propria comunità cosmopolita: oltre ai nomi già citati vanno ricordati Bosquet, Schell-Griot, Rodriguez de Costa, Freytag, Kohen, Vucetic, Antonopulo. Qualche anno dopo si sarebbe aggiunto il banchiere di origine veneziana Pasquale Revoltella.

Come ha sottolineato lo storico americano Ronald Coons, il marcato cosmopolitismo che caratterizza la cultura triestina in un’epoca che vedeva in altre parti lo sviluppo del nazionalismo romantico si spiega proprio grazie alla presenza in città di questa classe dirigente che ha le proprie radici nei più diversi paesi dell’Europa, dalla Germania alla Grecia, dall’Inghilterra al mondo danubiano. Ne è una riprova significativa, ad esempio, l’allargamento del Lloyd ad attività di tipo editoriale e culturale (nel 1848 viene istituita la “Terza sezione letterario-artistica”) con l’intento pionieristico di coinvolgere un pubblico di lettori sempre più ampio. Nei primi anni Cinquanta escono, oltre al quotidiano Triester Zeitung, pubblicazioni quali L’Illustrirtes Familienbuch des österreichischen Lloyd e le Letture di famiglia, che saranno le prime grandi riviste illustrate in Italia. Si aggiungono, con intenti anche educativi, giornali quali L’istruttore elementare e Il novelliere. Per un pubblico più colto viene varata una collana di classici italiani ed una serie di pubblicazioni d’arte di raffinato valore.

Come scrive Silvana de Lugnani “L’idea guida di queste riviste era quella di coltivare ideali di cultura, di forza di carattere, di nobiltà d’animo e di sentimenti, ma anche di efficientismo e di fede nel progresso, tra la piccola e media borghesia: ideali atti a rendere la borghesia capace di sostenere pienamente il suo ruolo guida nel momento in cui avrebbe raggiunto l’unità nazionale e l’emancipazione politica. […] Un grande rilievo vi assumeva la donna e il suo mondo, sia nelle rubriche che le fornivano indicazioni pratiche per una razionale conduzione domestica, sia nei romanzi e nelle novelle di scrittrici che le fornivano i modelli di comportamento e sociale e morale in cui riconoscersi. […] Ciò che importa sottolineare è come questo fenomeno del giornalismo di massa borghese nasca nell’ambito del Lloyd austriaco a Trieste. Il primo foglio per famiglie tedesco nasce dall’ambiente borghese più avanzato d’Austria, nasce dall’imprenditorialità borghese di una società d’assicurazione e di navigazione, nasce dalla mentalità triestino-tedesca che non vede contraddizione tra operazione finanziaria e cultura e che intuisce, con buon anticipo sui tempi, il potenziale commerciale insito nella trasformazione del fattore culturale da momento di élite in fenomeno di massa”.

Alla tipografia del Lloyd austriaco si deve anche la pubblicazione del primo giornale greco Imera, 1 che assieme al suo seguito, il Nea Imera1), viene considerato il foglio greco più importante dello scorso secolo. All’Imera si affianca, a partire dagli inizi degli anni Sessanta, il settimanale Kliò, “Giornale delle notizie politiche, filologiche e commerciali”, che rimarrà in vita per oltre un ventennio. Breve vita ha invece il settimanale economico Emporikos Tachydròmos Terghèstis. Panellinion òrganon emporikòn, ikonomikòn ke naftiliakòn, che esce per soli due anni, dal 1882 al 1884.

1831 – 1845

È vescovo della città Matteo Raunihar (o Ravnikar o Raunicher), che si fa promotore dell'uso della lingua slovena nella liturgia nei casi in cui non sia esplicitamente previsto il latino (prediche, confessioni, …). Kandler lo definisce “avverso all'italiano”, e ricorda che la sua opera era paragonabile a quella di Primo Trubar – il “Lutero sloveno” – per le sue rivendicazioni di sapore nazionale e populistico. L’imposizione della lingua slovena è in realtà una scelta del vescovo Raunihar e non una linea della diocesi: il suo successore, monsignor Legat, pur egli sloveno, reintrodurrà l’uso della lingua italiana.

1834

Viene fondato il primo sodalizio di mutuo soccorso di categoria, a beneficio dei cappellai. Qualche tempo dopo si costituirà un'analoga associazione tra gli operai tipografi: su queste associazioni esercita un sensibile influsso l'associazionismo mazziniano.

Qualche notizia sulla “Fratellanza dei Cappellai” si può trovare nel discorso celebrativo che cinquant’anni dopo, in occasione della solenne inaugurazione del vessillo sociale, avrebbe tenuto il presidente della “Società dei lavoranti cappellai”, Viezzoli: “Scopi della società nostra è di reggersi a vicenda, di aiutare i nostri fratelli quando sciaguratamente colpiti da malattia non possono provvedere al proprio sostentamento. Ha inoltre il mandato umanitario di procurare lavoro a chi ne fosse privo, alloggio ai colleghi d’arte d’ogni nazione e d’ogni favella che in numero considerevole ci arrivano – previdente misura in atto a combattere la nefasta piaga del pauperismo”.

La Fratellanza è fiera della sua condizione e i suoi membri hanno l’abitudine di andare vestiti di nero e di portare soltanto cappelli a cilindro. “Tale usanza” – scrive il Piemontese – “si conservò a Trieste, almeno negli anziani, fin verso la fine del secolo scorso”. L’organizzazione del mutuo soccorso su base associativa rappresenta un notevole passo in avanti rispetto alle precedenti associazioni assistenziali, che avevano mantenuto un carattere eminentemente religioso, quali la “Società Cattolica”, che operava a favore degli ammalati, e la fratellanza ebraica “Maschil El Dal”, fondata nel 1829.

1835 – 1840

Lo sviluppo delle attività commerciali e marinare è particolarmente intenso, e sulla spinta delle iniziative del Lloyd, che sempre più assume in prima persona le funzioni imprenditoriali, Giorgio Simeone Strudthoff intraprende, su un terreno sul passaggio di Sant'Andrea, la costruzione di una fonderia destinata a costituire il primo nucleo dello stabilimento di macchine a vapore che entrerà in attività nel 1845 ed assumerà nel 1857, in seguito alla trasformazione in società per azioni, la denominazione di “Stabilimento Tecnico Triestino”. Nel 1840 viene inaugurato il cantiere San Marco. Questa proiezione nel Mediterraneo e verso il Levante è resa possibile anche grazie al raggiungimento dell'indipendenza greca e all'occupazione francese dell'Algeria: tra il 1840 e il 1850 la flotta del Lloyd passerà da dieci a trentaquattro piroscafi; in un solo anno si erano trasportati 220.000 passeggeri.

Non solo le attività economiche e commerciali vivono un periodo di sviluppo e di fervore; anche la vita culturale si anima e si arricchisce di nuove iniziative. Antonio Madonizza, giovane intellettuale istriano, e Giovanni Orlandini, un libraio triestino, fondano una nuova rivista, La Favilla, destinata a svolgere un ruolo molto significativo nella storia culturale e politica della città.

I “Favillatori” si distaccano dal municipalismo conservatore che caratterizza le posizioni di stampo rossettiano, dimostrandosi aperti nei confronti delle diverse culture che fanno di Trieste uno di quei paesi “anello delle nazioni” che la natura ha “provvidenzialmente” creato. Questo nuovo atteggiamento si spiega anche con il fatto che gran parte di questi intellettuali non è di origine triestina: oltre al capodistriano Madonizza vi sono – per ricordare soltanto i più noti – il trevigiano Dall’Ongaro e il friulano Pacifico Valussi. Testimonia questa nuova sensibilità l'attenzione prestata dai “Favillatori” alla cultura ed alla storia delle vicine popolazioni slave, del tutto assenti nell'orizzonte culturale del Rossetti: queste aperture avrebbero portato nel 1852 alla pubblicazione degli Studi sugli slavi, tra i primi a diffondere in Italia la conoscenza della cultura e della civiltà della Slavia. Gli inizi non sono certamente facili, anche a causa dei sospetti con cui le autorità politiche guardano alla nuova iniziativa: il Direttore di polizia Call sconsiglia vivamente di affidare la direzione del giornale ad un uomo come Madonizza, “d'animo esaltato e facilmente esaltabile”, e denuncia agli organi superiori quel foglio che diffonde “idee liberali”. La situazione politica generale sta però cambiando e Vienna si prepara a riconoscere alla suddita fedele nuovi spazi di libertà.

1836

Ospite della famiglia Morpurgo si ferma qualche giorno in città Camillo Benso conte di Cavour: “Lunedì, 18 aprile. Soggiorno a Trieste. Il giovane Morpurgo gentilissimo con me. Piacere provato trovando una numerosa raccolta di giornali: ho soddisfatto la mia fame di notizie politiche. Non ne avevo da più di due settimane. Martedì, 19 aprile. Invito a casa del governatore. Non sono soltanto i ministri del re cittadino che parlano delle loro mogli; il rappresentante di S. M. l’imperatore d’Austria, governatore della città, fa inviti a nome suo e della sua sposa. […] Ballo dal governatore […]”.

1839

L'imperatore Ferdinando I concede una rappresentanza comunale, il cosiddetto “Consiglio ferdinandeo”, che affianca il magistrato politico. I componenti del Consiglio sono quaranta e danno vita, al loro interno, ad un Consiglio minore di dieci. I componenti sono scelti per tre quarti dai commercianti, dai proprietari e dagli industriali e per il residuo tra coloro che si distinguono per merito o cultura. Le attribuzioni del Consiglio sono molto limitate – il Tamaro usa il termine “regaluccio” – essendo la sua autorità consultiva e non politica; i poteri reali continuano ad essere in mano all’Imperial Regio Magistrato politico-economico, che opera sotto il controllo diretto di Vienna. Qualche cosa però sta cambiando e segno dei mutati rapporti tra la “fedelissima” (così Trieste era stata riconosciuta già nel 1818) e Vienna è anche il conferimento, da parte del governatore, della carica di presidente del Consiglio comunale – il procuratore civico – a Domenico Rossetti: Rossetti rimarrà in carica dal 1839 al 1842, anno della sua morte.

Fin dall’inizio il Consiglio ferdinandeo esprime come esigenza di primaria importanza per la città quella di avere delle scuole italiane. Il tema, che è un tipico cavallo di battaglia di Rossetti, avrà un ampio seguito tra l'opinione pubblica di indirizzo liberale. Anche Gorizia ottiene, come Trieste, un suo statuto cittadino, pari a quello di ogni altra “Gemeinde” austriaca (Municipio).

1840 – 1847

La nuova politica di Vienna riceve piena conferma dalla nomina alla carica di governatore del conte Johann Philip Stadion, che si dimostra aperto verso numerose istanze liberali, nonostante il clima generale di restaurazione che si respira in diverse regioni dell'impero. Tra i suoi commensali ed amici il Dall’Ongaro, uno degli intellettuali di punta del gruppo dei “Favillatori”: a lui il conte Stadion darà l'incarico di compilare un libro di testo in lingua italiana per le scuole elementari.

Sono gli ultimi anni di quel periodo della storia austriaca che alcuni studiosi indicano con il termine “Vormärz”, un periodo segnato in qualche modo dall’attesa di un diluvio imminente, della fine di vecchi equilibri che sembrano sempre più fragili ed anacronistici. Riferendosi al panorama triestino e sottolineando che Vienna non voleva e non poteva in alcun modo “tedeschizzare i triestini” e si limitava a volerli soltanto “buoni austriaci”, Apih non esita ad affermare, che “siamo […] in presenza di una società liberista evoluta. Chi meglio ne intese necessità ed aspirazioni fu il governatore conte Stadion. […] La cornice metternichiana, sostegno saldo e lontano di questo mondo di progresso e di ottimismo, è discernibile solo in incartamenti di polizia concernenti sporadiche e utopistiche iniziative sovversive, generalmente attribuite a persone di passaggio. Allora l’Osservatore triestino, giornale del governo, fu giudicato dal Tommaseo uno dei fogli “più sensati e meno schiavi che la penisola avesse” ed era proibito a Napoli, a Roma, a Modena. Il porto era mediatore di cultura, sia pur occasionalmente; qui giunsero le prime opere della letteratura americana, che poi furono tradotte in Austria e in Italia”.

Come ricorda Caprin “Siccome Trieste era un porto franco, così sotto il reggimento dello Stadion fu una città libera anche nella vita intellettuale, malgrado il Metternich. Nella sala di lettura del Tergesteo circolavano giornali, opuscoli e libri irreperibili altrove”. In questi anni infatti vi è grande vivacità culturale, artistica, e grande ricchezza di iniziative. Nel 1840, nel sito già occupato dall’edificio della Dogana, si dà l’avvio alla costruzione del palazzo della “Società del Tergesteo”, con la caratteristica galleria a crociera piena di negozi; nello stesso anno è conclusa la costruzione dell’”Ospedale civico”: l’opera, come precisa Godoli “è ispirata alla tipologia dell’«Allgemeines Krankenhaus» di Vienna ed è conforme ai nuovi principi di organizzazione sanitaria esemplificati nei modelli di «machine à guerir» proposti dalla manualistica architettonica dell’Illuminismo”. L’edificio, decisamente sovradimensionato per le esigenze del tempo, venne concepito in previsione della crescita demografica della città.

Per volontà diretta di Stadion si dà avvio nel 1845 alla copertura del torrente di San Pelagio (o di San Giovanni), il cui corso seguiva la linea delle attuali vie Giulia e Battisti: la via che ne risulterà prenderà il nome dal governatore che l’aveva voluta: negli stessi anni si porta a compimento la copertura del torrente delle Sette Fontane, che amplierà in modo sensibile la disponibilità di nuove aree fabbricabili. Opera in città il pittore Giuseppe Tominz, originario di Gorizia: suoi saranno i ritratti di alcune tra le più eminenti personalità dell’epoca, a Trieste, come a Lubiana, come a Gorizia. La sua pittura celebrerà questa ricca e blasonata borghesia mercantile che aveva ancora il vezzo di chiamarsi con l’epiteto di “negozianti” e che voleva eternare il proprio successo e la propria immagine anche attraverso le vie dell’arte. Nel 1842 Pietro Kandler succede al Rossetti alla carica di presidente del Consiglio comunale: avrebbe ricoperto questa carica per ben trent'anni, fino alla morte, nel 1872.

Latinista ed epigrafo, storico e giurista, erudito ricercatore negli archivi – pubblica Histria, un giovanile poemetto latino di Andrea Rapicio, frutto delle sue prime ricerche d'archivio condotte a Vienna – Kandler è il tipico rappresentante di quell'ideologia liberale che avrebbe sostanziato gran parte del '48 europeo. A differenza di Rossetti non nutre più alcuna nostalgia per il vecchio patriziato e per le vecchie autonomie municipalistiche: egli sa bene che esiste un reciproco legame di interessi tra Trieste e l’Austria e che Trieste è ormai parte di uno stato, immersa nella sua vita economica e politica, pienamente inserita – come rileva Negrelli – nelle sue strutture istituzionali. Attilio Tamaro, facendo proprio un pregiudizio tipicamente nazionalista, lo ricorda come “uomo debole e servile verso l'Austria”.

Un altro segno della crescita economica della città è dato dalla fondazione della “Cassa di Risparmio”. La sua nascita è legata alla presenza in città di molti banchieri dotati di grandi capacità finanziarie e all’assenza, al contempo, di una vera e propria banca moderna. Il progetto ebbe l’appoggio del conte Stadion, ma l’opposizione di Domenico Rossetti, che temeva si nascondesse dietro il progetto la pretesa di ottenere dal Comune la garanzia per un altro banco di sconto. Comunque nel 1842 venne costituito il “Monte civico commerciale” e l’anno dopo la “Banca di sconto”. I risultati furono superiori alle più rosee aspettative e in due mesi furono raccolti risparmi in quantità ben superiore a quella raccolta vent’anni prima dalla Cassa di Vienna in un anno intero.

La crescita non va, però, al di là del perimetro urbano, come sottolinea Apih: “La città commerciale non è strumento per avviare un processo territoriale unitario. Risultati strutturanti della realtà triestina, ma in funzione del consumo e del mercato del lavoro, si ebbero soltanto in parte dell'Istria e deboli furono le influenze nel Friuli. Rispetto al territorio ebbero forse più peso i fattori discriminanti che quelli di progresso, di sfruttamento della manodopera e di rifiuto di valori; nei letterati istriani e friulani non è raro il disprezzo per la barbarie ‘illetterata’ di Trieste. La magnificata funzione cosmopolita della città aveva una inavvertita natura di testa senza corpo”.

1846

Municipio, Lloyd e Borsa aderiscono alla “Società di studi per la costruzione del canale di Suez”. Partecipa all'impresa anche il ricchissimo banchiere Pasquale Revoltella, che acquista 50.000 azioni per sé e per la collocazione in Austria. Fino al 1859, delle 400.000 azioni offerte originariamente, 284.000 erano state sottoscritte in Francia, poco più di mille a Venezia, 163 a Trieste. Dopo la guerra del 1859 tra l’Austria e i franco-piemontesi il pacchetto riservato all'Austria e garantito da Revoltella viene ceduto al viceré d'Egitto e passa, infine, all'Inghilterra.

1846 – 1852

Esce l'Istria, pubblicazione settimanale con la quale Kandler vuole continuare e insieme superare il vecchio Archeografo rossettiano. La storia dell'Istria deve diventare motivo di riflessione per gli storici e per i politici triestini, nello spirito di un’unione e di una coesione di terre nelle quali egli coglie un sottofondo di lingua e di civiltà comuni. Durante tutto il '48 il giornale diviene un'importante tribuna in cui i più urgenti temi politici di Trieste vengono dibattuti e analizzati. In questo periodo Kandler conserva ben ferma l'idea che gli interessi vitali di Trieste legavano la città all'entroterra asburgico; nella prospettiva di uno stato costituzionale austriaco il nesso “nazione – stato” viene dunque stemperandosi. Kandler riconosce che i diritti delle nazionalità sono “sacri”, ma ritiene che nella storia gli stati si formino e si uniscano “dietro convenienze”: Trieste può ben essere culturalmente italiana pur continuando a far parte, politicamente, dell'impero asburgico.

1847

La popolazione si aggira attorno agli 80.000 abitanti, così distribuiti:

54.957in città
25.669nel territorio

Un'analisi comparata dei dati demografici relativi al periodo 1821 – 1848 evidenzia un dato notevole: il forte divario, in termini percentuali, tra l'aumento della popolazione del territorio e della città. La prima passa da 9.840 abitanti a 26.116 nel 1848 (incremento del 165,4%), la seconda da 35.550 a 55.823 nel 1848 (incremento del 57,02%). Sembra che la causa principale – come sottolinea lo stesso magistrato civico – sia da individuare nella crisi commerciale, che rallenta lo sviluppo urbano, negli sfratti e nel vertiginoso aumento dei fitti.

1848 – 1849

I grandi avvenimenti che segnano la “primavera dei popoli” sognata da Mickiewicz coinvolgono in modo marginale la città, come testimonia dolorosamente nel 1849 il giornalista dalmata Giulio Solitro, forse il più radicale tra i democratici triestini: “A Trieste ella [la rivoluzione] assunse fin dal principio, e mantiene anche oggi l'indole e le vesti della commedia. […] Trieste da marzo a oggi non ebbe neanche un carcerato politico, non dié sospetti, né motivo né pretesto a sospetti”.

marzo – aprile 1848

Le notizie dello scoppio della rivoluzione a Vienna suscitano improvvisi entusiasmi in città. Viene abbattuto un ritratto di Metternich al Tergesteo e l'Albergo Metternich, sfuggito ad un tentativo di incendio, diventa Albergo Nazionale. Cittadini entusiasti, per lo più giovani, percorrono la città inneggiando al contempo – come ricorda Dall’Ongaro – all'imperatore Ferdinando e all'Italia, al papa Pio IX, alla libertà e alla costituzione. Sulla porta della sede della guardia nazionale per la prima volta compare il tricolore. Le manifestazioni durano per 4 giorni. Il 23 marzo – il giorno stesso in cui il Piemonte dichiara guerra all'Austria e si prepara a varcare il Ticino – si crea in città un grande fermento. Già da giorni le notizie dei moti liberali nel cuore dell’impero avevano suscitato speranze e illusioni tra molti giovani: ora si passa all’azione e un gruppo piuttosto composito di insorti, all'uscita dal teatro Costituzionale, tenta di organizzare una colonna d'attacco, guidata da Giovanni Orlandini: lo scopo è quello di imitare i rivoluzionari veneziani che avevano dato vita ad una libera repubblica. Il tentativo viene immediatamente sedato dalla guardia nazionale, spalleggiata da numerosi facchini delle compagnie straniere, timorosi di perdere il posto di lavoro e, secondo Tamaro, “regalati di vino e di denaro”. È questo l'unico moto in qualche modo insurrezionale di tutto il biennio rivoluzionario.

Il partito “italiano” è in realtà molto debole in città e per di più diviso in due fazioni. Da una parte i “moderati”, che si muovono attorno a Kandler e che non concepiscono in alcun modo un futuro per Trieste al di fuori dell’impero d’Austria; dall’altra i “radicali” antiaustriaci, che guardano con simpatia agli ideali risorgimentali dei patrioti italiani che nel Lombardo-Veneto combattono contro le truppe austriache. Mentre dalle pagine dell’Istria, Kandler auspica, tutt’al più, ampie autonomie per la città nel contesto di un impero “costituzionale”, i radicali sono privi di un programma coerente e, dopo l’esilio di Orlandini e di Valussi, mancano completamente di una guida. Va rilevato inoltre che questo piccolo gruppo di uomini non ha un preciso programma nazionale. Nei loro discorsi continua ad essere presente il richiamo alla “nazione triestina”, libera ed autonoma: Dall'Ongaro, da Udine, la incita a diventare “a un tempo città italiana e città libera”, “città anseatica”, la “Amburgo dell'Adriatico”. Pacifico Valussi, che rimarrà in città fino alla fine di aprile, auspica che all’arrivo di una flotta italiana sulle coste dell’Istria e della Dalmazia e all’insurrezione di quelle popolazioni contro gli austriaci “Trieste medesima, che noi siamo usi considerare la prediletta dell’Austria, sarebbe stata forse trascinata nel movimento e ridotta a proclamarsi se non altro “città libera”, seguendo i dettami dei suoi speciali interessi”.

maggio 1848

Si aprono a Francoforte i lavori dell'”Assemblea Nazionale Costituente tedesca”: le nazionalità non tedesche dell'Austria si rifiutano di parteciparvi e 250 rappresentanti dei popoli slavi si uniscono a Praga in un “Congresso slavo”. Trieste, che dal 1818 faceva parte della “Confederazione tedesca”, è destinata a diventare nei mesi successivi elemento fondamentale di un progetto molto ambizioso – che agli occhi di von Bruck avrebbe dovuto costituire il carattere della Mitteleuropa – di un grande stato commerciale austro-tedesco di 70 milioni di abitanti. Di questa nuova costruzione Trieste sarebbe stata il porto meridionale.

I lavori del Congresso slavo, tenuti a Praga, vengono condizionati dalla netta frattura tra la linea moderata di Frantisek Palcky (“austroslavismo”) e la linea democratico-rivoluzionaria di Bakunin: si delinea così lo scontro tra piccoli-slavi e grandi-slavi, destinato ad ampliarsi sempre più nei decenni successivi. L'abolizione delle servitù feudali nei domini asburgici, voluta dal nuovo imperatore Francesco Giuseppe, imprime inoltre una forte spinta a tutto il movimento di emancipazione politica, culturale e sociale delle popolazioni slave. Nel frattempo le vittorie dei patrioti nel Lombardo-Veneto sembrano rilanciare gli entusiasmi di quanti (pochi) in città auspicano la fine del dominio austriaco. Orlandini e Valussi, dall’esilio, cercano aiuti presso i governi rivoluzionari per una spedizione armata, le avanguardie venete sono a Palmanova e corre voce che dall’Istria e dalla Dalmazia siano pronte a partire navi piene di patrioti. In realtà non accade nulla e quando, alla fine di maggio, la flotta sarda blocca la rada, i negozianti triestini fanno presente che un atto di guerra contro la città sarebbe un atto di guerra anche contro tutta la Confederazione tedesca e il governatore, con una mossa destinata ad ottenere ampio e pronto successo, invita i “veri triestini” a portare nelle piazze e nelle strade i colori di Trieste e dell'Austria.

agosto 1848

Un primo successo sembra coronare le attese dei liberali: le autorità concedono il ginnasio misto, cioè il ginnasio con corsi in lingua italiana e corsi in lingua tedesca, mentre il ginnasio italiano viene concesso a Capodistria. Il ginnasio misto avrebbe svolto un ruolo molto importante nella formazione della coscienza nazionale.

agosto – dicembre 1848

Durante la seconda metà dell’anno la situazione in città è sostanzialmente tranquilla. Le sconfitte di Carlo Alberto vengono accolte con ampia soddisfazione da parte di quelle che Schiffrer definisce “le correnti estreme dell’ultralealismo”: le paure che avevano indotto Vienna a mettere la città nelle mani del generale Gyulai, attribuendogli pieni poteri, si rivelano eccessive. Lo stesso Gyulai alla fine avrebbe additato il comportamento dei triestini ad esempio ai meno fidati istriani e ripetutamente i patrioti veneziani ironizzeranno sulla “fedelissima città di Trieste” che con il suo lealismo aveva abbandonato Venezia “ai suoi lutti” (Così il Manin).

Lo scoppio della rivoluzione ungherese e la repressione della rivolta a Vienna rafforzano l’influenza della “Corte aulica militare”, del ministro Schwarzenberg e del generale Windischgrätz: loro intento è condurre in tutte le parti dell’impero una dura repressione contro i liberali e i democratici. A Trieste sono bersaglio di un occhiuto controllo poliziesco i fondatori de Il Giornale di Trieste, Felice Machlig e Giulio Solitro, che si fanno portavoce di un programma democratico-mazziniano. Ma la loro posizione è molto debole, dal momento che la gran parte della stampa in città o è filoimperiale (“fedelona”, come si diceva con una punta di spregio), o propone un timido programma di autonomie municipali. Agli inizi del 1849, con le prime restrizioni della libertà di stampa, Il Giornale di Trieste deve chiudere. Entro il gennaio dello stesso anno la situazione in città viene ricondotta alla calma e non si verificano più fatti rilevanti.

Analizzando i vari motivi della debolezza dell'azione dei patrioti triestini, Tamaro sottolinea che la loro azione fu gravemente condizionata anche “da un fattore politico d'ordine generale, della cui gravità [essi] bene si avvidero: se la rivoluzione avesse sfasciato l'Austria, la città non sarebbe caduta in mano alla Germania, che aveva posto su di essa una clamorosa ipoteca politica? Il Machlig aveva scritto che, tra i due mali, l'Austria rimaneva il male minore. Ed era ovvio”. Alcuni settori del ceto mercantile triestino infatti avevano deciso di dar vita ad un comitato elettorale al fine di prendere contatti con la Dieta di Francoforte, e di indurla a fare di Trieste il porto militare federale tedesco. Avevano consigliato, inoltre, di aggregare l'Istria ex veneta alla Confederazione e di reprimere con forza ogni velleità repubblicana.

1849

Gli effetti dei moti liberali sulle rivendicazioni nazionali si fanno sentire in città con la fondazione del primo giornale sloveno Slavjanski rodoliub (Il patriota sloveno), che affronta i problemi fondamentali che interessano la comunità: la scuola, l'uso della lingua, la tutela dei diritti nei diversi momenti della vita civile. Un segno di questa nuova consapevolezza si era già avuto l’anno prima, in aprile, quando era stata fondata a Graz l’associazione nazionale “Slovenia”, che aveva posto nel suo programma l’istituzione di un regno degli sloveni che comprendesse le popolazioni slovene stanziate nei territori tra la Carniola, la Stiria e l’Adriatico.

1849 – 1859

Questo periodo della storia dell’impero austriaco viene chiamato tradizionalmente “Era di Bach”, dal nome del ministro degli Interni che fu il più influente tra gli artefici di quella politica neoassolutista (“sistema di Bach”) con la quale gli Asburgo tentarono di reagire alle conseguenze del biennio rivoluzionario. Fu imposta una linea rigidamente accentratrice allo scopo di comprimere le spinte nazionali e di ricondurre l’ordine in tutte le parti dell’impero, con l’appoggio della chiesa e degli alti quadri dell’esercito; fu però anche una politica che dette il via ad alcune grandi riforme sociali, quali l’abolizione dei diritti feudali nelle campagne e l’emancipazione dei contadini. Per Trieste sono anni di indubbio conservatorismo, ma anche di profonde trasformazioni, sia in campo istituzionale che in quello economico e sociale: sono anni di crescita che vedono il consolidarsi del ceto medio – in particolare l'affermazione delle “professioni” – come risulta chiaramente dall'aumento della popolazione, che passa, in tutto il Comune, da 82 a 108 mila abitanti. Questo ceto medio è sempre più sensibile agli ideali del liberalismo ed ai richiami della coscienza nazionale ed è sempre meno disposto ad accettare ulteriormente una posizione subalterna rispetto al tradizionale ceto cosmopolita che aveva saldamente mantenuto il controllo politico ed economico della città. Le dinamiche politiche di questo decennio vengono così sintetizzate da Silvio Benco: “Imprimono al Comune una tendenza conservatrice gli impiegati dello Stato, i grandi possidenti e i grandi commercianti, in parte d'origine straniera; vi imprimono una tendenza progressista la piccola borghesia e l'artigianato libero, gli impiegati del Comune, le classi dell'intelligenza”.

Nonostante il fatto che lo “Zollverein” austrotedesco avesse fatto di Amburgo il suo porto preferenziale, gli investimenti a sostegno delle attività portuali si mantengono costanti: nel 1853 prende il via la costruzione del nuovo arsenale del Lloyd Austriaco e quattro anni dopo viene inaugurata la ferrovia “Südbahn” Trieste – Postumia – Graz – Vienna. Nel 1860, infine, è condotta a termine la linea Trieste – Nabresina – Gorizia. In questi anni il porto diventa il settimo porto mondiale e il secondo nel bacino del Mediterraneo. Nel 1856 il traffico marittimo occupa il 77% dell'insieme dei traffici triestini. Nel 1865 scenderà al 60%, mentre quello terrestre passerà dal 23% al 40%. Si vara anche un ambizioso programma di ammodernamento e di potenziamento delle strutture portuali: l'ingegnere Talabot, costruttore del porto di Marsiglia, mette a punto un progetto per allargare il settore portuario attraverso l'edificazione di nuovi moli, banchine e magazzini in prossimità dello scalo ferroviario: i lavori dureranno fino al 1890, anno in cui decadrà per Trieste il privilegio del porto franco. Nel 1859 la sconfitta delle armate asburgiche nella guerra contro i franco-piemontesi pone fine alle fortune di Bach: abbandonato dall’imperatore, il vecchio ministro viene inviato come ambasciatore a Roma, presso il Vaticano.

1850 – 1854

Il premio più rilevante per la fedeltà dimostrata da Trieste durante il biennio rivoluzionario è dato dalla promulgazione, nel 1850, di un nuovo statuto, che fa della città, staccata dal resto del Litorale – cioè dalla contea di Gorizia e di Gradisca e dal margraviato d’Istria – “città immediata dell’impero” (“Reichsunmittelbare Stadt”). La città diventa così provincia a sé e viene concessa un’ampia sfera di attribuzioni e di autonomie: il Consiglio, infatti, riunisce le attribuzioni amministrative del comune e le legislative della provincia.

Sono così soddisfatte alcune tra le principali rivendicazioni economiche che i ceti imprenditoriali e finanziari cittadini avevano insistentemente avanzato da tempo. Come sottolinea lucidamente Cervani “Il Litorale come organismo burocratico-amministrativo (con lo Statthalter o Luogotenente che esercitava, tra notevoli incertezze, la sua azione di controllo e di freno), poteva essere sì utile come serbatoio di braccia e come zona di produzione e di esportazione di derrate. Ma i commerci ed i traffici erano qualche cosa di ben più grande e più remunerativo; ed i traffici, come i commerci, erano concentrati a Trieste. I gruppi economici della città avevano poco da spartire con quelli delle altre due province del Litorale. Trieste sì era diventata essa invece un polo, una calamita, una città popolosa ed ancora in fortissima crescita”.

Viene anche stabilito contestualmente il nuovo sistema per eleggere il Consiglio. Le nuove norme elettorali prevedono il suffragio per censo e l’istituzione di corpi elettorali separati (curie). Queste norme rimarranno in vigore, con alcune modificazioni, fino al 1907, quando verrà introdotto il suffragio universale. Il sistema garantisce alla ristretta oligarchia mercantile 12 consiglieri contro 36 degli altri corpi “urbani” riuniti e 6 dei distretti suburbani e del cosiddetto “territorio”, abitati in gran numero da sloveni. Il Consiglio eletto – è ricordato con il nome di Consiglio decennale dal periodo in cui rimase in carica – darà ripetutamente prova di fedeltà e di lealismo nei confronti di Vienna come quando, nel 1853, proclamerà cittadini onorari di Trieste l'aiutante di campo Maximilian Karl von O'Donnell e il maestro macellaio Ettenreich, che avevano salvato Francesco Giuseppe dall'attentato di un nazionalista ungherese.

Analogamente il governo austriaco riesce sempre a raccogliere somme cospicue quando emette sul mercato vari prestiti, anche se i sistemi adottati fanno scrivere al console piemontese che “la volonterosità del prestito non era molto diversa dalla spontaneità delle testimonianze che si ottenevano mediante tortura”.

L'unico tentativo di organizzare politicamente il ceto medio liberale viene fatto da Francesco Hermet, che agli inizi degli anni ‘50 tenta di far rinascere la Favilla per rianimare “il sentimento nazionale ottuso o imbastardito”. Rapidamente il giornale viene fatto morire dalla polizia, e il suo direttore racconterà al riguardo: “Invano cercai tra gli avvocati del paese chi volesse assumere la mia difesa. Avevano paura. Mi difesi da me”. La situazione si era fatta pesante e il “sistema di Bach” faceva sentire il suo peso. In realtà, dopo la morte del conte Stadion, che aveva sempre avuto per la città un occhio di rispetto e, in un qualche modo aveva frenato le iniziative più rigide del governo Schwarzenberg, le pressioni di Vienna si fanno sempre più pesanti, fino al punto da sospendere, con un’ordinanza sovrana del 1854, le elezioni del Consiglio: si parla nuovamente di revisione dello statuto e di limitazioni dell’autonomia. In questo contesto viene nuovamente riaffermata l’egemonia della lingua tedesca nelle scuole secondarie, chiudendo d’autorità un memorabile dibattito sulla lingua del ginnasio che qualche anno prima aveva animato le riunioni del Consiglio decennale.

In campo sociale si ha, nel 1850, un’interessante iniziativa: viene costituita la “Società di Mutuo soccorso per ammalati”, allo scopo di soccorrere i membri in caso di malattia e di contribuire, in caso di morte, alle spese per i funerali: lo statuto, redatto in italiano e in tedesco, dichiara il sodalizio aperto a tutti, senza distinzione di sesso e di religione. Il carattere interclassista di questa associazione risulta ben evidente se pensiamo che tra i maggiori benefattori compaiono il barone Pasquale Revoltella, che contribuiva con 500 fiorini l'anno, e Carlo de Rittmeyer.

agosto 1855

Viene stipulato tra la Santa sede e l’impero asburgico un Concordato che il vescovo triestino Bartolomeo Legat saluta come il sospirato ristabilimento della libertà della chiesa austriaca, che dal tempo di Giuseppe II “sembrava essere un'ancella più destinata a servire che a godere i diritti di padrona nella propria casa come sposa di Cristo”. Il vescovo non manca di sottolineare che il Concordato viene anche a consolidare le fondamenta dello stato, ponendolo al riparo dai pericoli provenienti dalla “indifferenza religiosa” e dalla “arroganza della umana ragione”. L’appoggio della gerarchia ecclesiastica diventa infatti di grande importanza nel progetto neoassolutista di Bach: oltre al privilegio riconosciuto dell’autorità, la chiesa ottiene, come rileva Giampaolo Valdevit, anche “l'esercizio di un'assoluta giurisdizione sul clero e sul laicato”, nonché “ampi privilegi, quali tra gli altri il diritto di sorveglianza sulle scuole e sul corpo insegnante, l'effetto civile della censura ecclesiastica sulla stampa, la piena giurisdizione sul diritto matrimoniale”. In cambio la chiesa si impegna solennemente ad onorare e rispettare la potestà del trono imperiale “data al Monarca per disposizione divina”. La pastorale del vescovo Legat afferma che “qual Madre pietosa nutrendo i propri figli per la vita eterna, [la chiesa cattolica] ammaestra i medesimi nei doveri di fedele sudditanza e di ubbidienza coscienziosa, benedice la spada del guerriero per la difesa della patria e venera la sede del giudice per l’osservanza delle leggi”. Questo accordo tra trono ed altare avrebbe svolto un ruolo decisivo soprattutto nei momenti di maggior tensione tra la classe dirigente triestina e le autorità di Vienna: ciò fu particolarmente evidente allo scoppio della Prima guerra mondiale, quando la chiesa triestina si schierò fedelmente a fianco dell'imperatore.

1859

La sconfitta militare ad opera delle truppe franco-piemontesi determina una grave crisi nell’impero. Dopo la Pace di Villafranca l’Austria ha davanti a sé un panorama minaccioso: da una parte la Russia, che spera di prendersi la rivincita della sconfitta subita in Crimea a spese di Vienna, dall’altra la Prussia che sembra adulare le forze liberali e nazionali per estendere il proprio controllo sugli altri stati tedeschi; infine è sempre presente la minaccia di una ripresa dell’espansionismo da parte di Napoleone III e con lui delle rivendicazioni dei patrioti italiani. Si apre così una fase di instabilità e di incertezze che avrà termine appena nel 1866, in seguito alla disastrosa sconfitta patita ad opera dei prussiani.

La Pace di Villafranca suscita amare delusioni tra i patrioti triestini – “malcontenti”, come li indica la polizia nei suoi rapporti segreti – dal momento che il confine è stato posto all’Isonzo e Napoleone non è apparso desideroso in alcun modo di appesantire i termini della Pace nei confronti degli austriaci. Non vi sono però reazioni di una qualche misura: come sottolinea Tamaro “la città mantenne un contegno riservatissimo: i patrioti fecero quel poco che poterono. […] Ma era impossibile anche il sogno d’un movimento”. Un fatto rilevante è invece l’emigrazione di un gruppo di patrioti volontari che si unisce ai piemontesi nella guerra contro gli austriaci. Un fenomeno ristretto, ma pur significativo, se vengono inviate alla polizia ripetute note preoccupate: “Spiace alla devota Direzione di Polizia dover riferire […] che anche nella città di Trieste fu trasportato e già manifesta sintomo di volervisi allignare influsso politico dell’emigrazione all’estero per arrolarsi nella bandiere rivoluzionarie”. Il delatore aggiunge che da tempo esisteva in città un comitato segreto “per il mentovato ingaggio della gioventù”.

1860 – 1865

Sorgono in città e nel territorio le “Citalnice” (Gabinetti di lettura), centri di dibattiti e di discussione culturale e politica della parte più viva della comunità slovena. La costituzione di questi centri è uno dei primi segni dello sviluppo dello “slavismo” come forza e tendenza politico-nazionale; in questi anni la presenza slovena a Trieste è costituita ancora in prevalenza da ceti subalterni. Solo più tardi si sarebbe insediata in città un’influente e ricca borghesia slovena.

In questo processo un ruolo assai importante viene svolto dal clero cattolico, che si prepara ad assumere un peso molto rilevante anche in campo politico. Gli effetti del Concordato stipulato nel 1855 con Vienna non tardano infatti a farsi sentire: nella Dieta istriana, oltre i 30 deputati eletti, siedono anche i tre vescovi di Trieste-Capodistria, di Pola-Parenzo e di Veglia. Sono tutti slavi e si fanno paladini dell'idea nazionale slava nell'Istria, sottolineando la superiorità numerica slava in quelle terre. Come mette in luce Vivante: “L'esordio del movimento slavo è dunque di spiccata impronta chiesastica, come quasi esclusivamente era stata nel passato la vita intellettuale dello slavismo giuliano”.

1864

Il problema nazionale di Trieste travalica i confini e si fa sentire anche nel neonato regno d'Italia. Durante un dibattito al Senato sugli interessi del regno nei confronti del Veneto e di Trieste, il primo ministro Alfonso Lamarmora esclude l'idea – “il che credo non venga in testa a nessuno” – che Trieste possa in qualche modo interessare all'Italia. Le mire di Roma, tutt'al più, sono rivolte al Veneto e al Trentino: il governo italiano dà per scontato che l'impero asburgico non avrebbe mai acconsentito alla cessione di Trieste.

Prevale ancora, nella politica del neonato regno, quella linea di prudenza che Cavour aveva predicato fino agli ultimi giorni della sua vita e che Emilio Visconti Venosta aveva portato avanti con misura e fermezza, contro ogni seduzione mazziniana di una guerra all’ultimo quartiere con l’Austria.

Queste prese di posizione del governo italiano suscitano a Trieste violente polemiche, che si inseriscono in un contesto già di per sé pieno di tensioni: di fronte al rifiuto da parte della maggioranza del Consiglio comunale di rivolgere un omaggio alla persona dell'imperatore, il Consiglio viene sciolto d’autorità. In questa decisione del Consiglio Apih vede un primo segno del futuro irredentismo ed evidenzia come questo nascesse con due caratteristiche: “Con l'isolamento, dopo il 1866, dagli italiani nella monarchia, e quindi continuamente necessitato di rafforzare la propria struttura tra l'ostilità austriaca e [poi] slava; e con la tematica municipale, che si contrapponeva al liberalismo cosmopolita, e perciò era difficoltata a raccogliere la ricca eredità economica e civile dell'emporio”.

aprile – novembre 1866

In aprile la Prussia firma un’alleanza con il regno d’Italia in funzione antiaustriaca. Nonostante le sconfitte di Custoza e di Lissa, l’Italia, con la Pace di Vienna (3 ottobre), si assicura alla fine l’annessione del Veneto grazie alle vittorie prussiane. Durante la guerra non si hanno in Italia segni di particolare interesse per la causa irredentista, né suscita polemiche il proclama ufficiale di Napoleone III che dichiara compiuta la sua opera di mediazione con la cessione da parte dell'Austria della Venezia “dalle Alpi all'Adriatico”. A Trieste, ancora una volta, le reazioni sono le più diverse. I primi allarmi dei funzionari di polizia si dimostrano ben presto infondati e gli “irredentisti” non riescono ancora a comparire in prima linea. Gli atti ufficiali, di contro, sono pieni di esultanza per le vittorie austriache contro l'esercito italiano ed il Consiglio giunge al punto di conferire la cittadinanza onoraria a Tegethoff, il vincitore di Lissa: il relativo diploma di omaggio gli viene solennemente consegnato dall'avvocato Baseggio, uno dei rappresentanti più in vista della borghesia triestina. A novembre, però, il Comando dello Stato d’assedio invia al ministro, a Vienna, un dispaccio segreto dai toni preoccupati: “Incomincia, con riguardo al Litorale, quella stessa agitazione, che precedette prima il distacco della Lombardia e poi quello del Veneto”.


1)
Così nel primo numero del settembre 1855 i redattori motivano la scelta di Trieste per la pubblicazione del giornale: “L’idea di recarsi a Trieste per fondare un giornale greco ce l’ha data il giusto e logico interesse dei connazionali dell’Anatolia, che aspettano impazienti le notizie che vengono dall’Europa, soprattutto oggi, quando vedono in ciò le peripezie del grande dramma, la soluzione del quale li interessa sostanzialmente. […] Se qualche giornale, redatto in greco politico e commerciale, si pubblicasse in una zona appropriata dell’Europa che mantenga con l’Anatolia continue relazioni, questo giornale fornirebbe comunque per primo ai connazionali della Grecia, della Turchia, delle isole Ionie, dei Principati danubiani e dell’Egitto, le notizie più nuove dell’Occidente, verso il quale tutti guardano, aspettando da lì la luce, il sole… quello intellettuale e perciò abbiamo deciso di presentare questo giornale con nome “I Imera” (Il Giorno) ed abbiamo preferito, quale luogo per la sua pubblicazione, Trieste”.
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storia_ts/cronologia/1813_1866.txt · Ultima modifica: 03-09-2023 05:35 da 127.0.0.1

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