Alcune vicinanze significative si hanno con la narrazione della passio di Sant’Ermacora.: in entrambi i testi compare il nome longobardo di Ataulfo che nella passio ermacoriana individua il bimbo guarito dalla lebbra mentre in Servolo è il nome del vicario del preside .
Vi sono poi significative assonanze testuali, come nella formula di richiesta di fede per ottenere il miracolo o nella dichiarazione che questo è opera di Dio.
Ancora vi si possono trovare delle assonanze con la Passio di Ilario e Taziano, nel giro di parole con cui il martire sente da una voce divina la chiamata: in Servolo si legge : Servule, serve Christi, e lo stesso artificio retorico è in Ilario:Hilarius, hilari vultu.
Analogie ci sono anche con la Passio di San Mauro di Parenzo che si avvicina a Servolo per la comune tipologia del martire- monaco.
Riguardo al processo emergono alcune valutazioni interessanti: in primo luogo sappiamo che l’editto di Numeriano prescriveva ai cristiani di sacrificare agli dei ed infatti in tutte le passio di martiri sotto numeriano questa richiesta occupa una parte centrale del processo ed è spesso il rifiuto ad essere la causa del martirio.
In Servolo questo non avviene: in tutta la narrazione il preside non invita mai il Santo a compiere sacrifici agli dei e pare quasi mancare il motivo della condanna, o non di meno rimane sottointeso.
Manca infatti sorprendentemente anche la domanda sulla propria fede: a Servolo non vien chiesto di ammettere e testimoniare la sua fede e quindi non è chiesto di abiurarla.
La prima accusa che gli viene posta è invece quella di magia, legittimata dai numerosi miracoli compiuti dal Santo prima dell’arresto.
Anche questo aspetto avvicina la narrazione alla Passio Hermacorae: è infatti la fama dei sui miracoli che induce i sacerdoti pagani ad accusare Ermacora presso il governatore Sevasto, sebbene a questa accusa segua poi un interrogatorio che segue tutti i topoi della tradizione agiografica.
Anche il tipo di pena riservato a Servolo è particolare: la maggior parte dei Santi martiri Aquileiesi muore per decapitazione, Servolo invece viene sgozzato,
in gutture gladium mergere, e poi decapitato.
A lungo la critica ha cercato di datare questa narrazione e la presenza di riferimenti ad epoche diverse ha creato talvolta confusione: pareva al Delehaye di poter datare la Passio all’età longobarda, sulla base della presenza del nome Ataulfo, teoria questa respinta dal Saxer che sulla base di un passo in cui si legge
Frequenter enim ad ecclesiam concurrebat matutinis et vespertinis horis exercebat se verbis evangelicis et responsionibus magnis et quotidie multum., evidanziava che
tale indicazione deve essere tarda poiché suppone una regolamentazione della liturgia e della preghiera quotidiana, com’era praticata dalle comunità monastiche o canonicali.
Gregoire invece fa risalire l’intero gruppo delle passiones tergestine al IX secolo, come conseguenza del Concilio Regionale di Mantova del 827 che riordinò la giurisdizione delle diocesi di Aquileia e Grado .
A lungo si è discusso anche sulla possibilità che il culto di Servolo fosse un culto non autoctono e quindi importato.
Questo concetto partiva dalla constatazione che Servolo figura nel Martirologio Gerolimiano, accostato a Zoilo alla data del 24 maggio, dove, com’è noto, non figura alcun Santo istriano. (di questo aspetto vi ho già accennato, vedi post precedenti)
Sappiamo che Zoilo è cittadino di Lystris in Licaonia.
In altre due fonti è presente Zoilo che non è in alcun modo accostato a Servolo, cosa che parrebbe scontata se questi fosse anch’egli di Lystris.
Ma così non è.
Resta aperta quindi la possibilità che Servolo sia istriano.
Si ritiene che un
lapsus calami degli amanuensi abbia trasformato “Istria” in “Lystris”,
Osservava inoltre il Saxer che sia nella Passio sia nel Geronimiano il
dies natalis è lo stesso, così che o la prima deriva dal secondo, o viceversa.
Sul culto del martire non ci illuminano i resti monumentali che sono piuttosto tardi e collocano il culto non prima del XIII.
A quest’epoca risale l’effige musiva di Servolo nel catino dell’absidiola sud della cattedrale.
A San Servolo era titolata un’antichissima chiesetta sulle pendici del colle cittadino e dirimpetto alla chiesa di Sant’Elena.
Questo piccolo luogo di culto sorgeva presso la torre e non lontano dalla porta che da Servolo prendevano il nome.
La chiesetta fu concessa nel trecento alla Confraternita del SS.Sacramento o dei Battuti che fu soppressa nel 1786.
Nel 1842 l’edificio dedicato a S. Servolo fu demolito.
Pare che non abbia mai accolto le spoglie del martire.
Dal luogo originario di sepoltura le spoglie furono portate, secondo il Buttignoni fin dal VI sec. nella cattedrale di San Giusto.
Nel corso del XIII furono tumulate sotto l’altare dell’Immacolata (oggi altare del SS.Sacramento), che era all’epoca l’abside centrale della basilica vescovile prima dell’accorpamento trecentesco.
Il 7 luglio del 1826 nel corso del restauro della cappella fu rinvenuta un’arca di marmo che conteneva le reliquie del Santo
Una delle facciate maggiori presenta un incisione con il nome del Santo:
S(an)c(tu)s S(er)vul(us), incisa con caratteri del basso medioevo.
La datazione di questo trasferimento di spoglie è possibile anche attraverso il dato numismatico poiché all’interno del sarcofago sono state ritrovate delle monete databili non oltre il 1311 ,. Si tratta di due “piccoli” di vescovi mantovani anonimi databili tra 1150 e 1256, di dieci “piccoli” veneziani di cui uno ignoto, tre di Lorenzo Tiepolo (1268-1275) , tre di Giovanni Dandolo (1280-1289), tre di Pietro Gradenigo (1289-1311).
Apparteneva al corredo del Santo Martire anche lo splendido gonfalone serico detto velo di San Giusto.
Il vescovo Leonardis ne dispose la nuova sepoltura in una cappelletta a destra della navata di San Giusto, sotto l’altare di Sant’Andrea, dove restarono fino al 1929.
Il 13 aprile di quell’anno, infatti, su incarico del Vescovo, monsignor Giusto Buttignoni procedette alla rimozione delle reliquie: queste erano protette da una clamide di broccato d’oro che lasciava alla vista solo il cranio del Santo.
Le ossa erano invece assicurate ad una sorta di fantoccio in legno che fu subito rimosso e accanto ad esse furono rinvenute anche le monete venete del XIII secolo già note dalla ricognizione del 1826 oltre ad una pergamena redatta dal vescovo Leonardis che narrava gli spostamenti subiti dalle reliquie sotto la sua supervisione, nonché una targa metallica con inciso il nome di “S.Servulus”.
Le reliquie non trovarono una collocazione fissa fino al 1933 quando furono disposte in un’urna d’argento (opera del goriziano Giuseppe Lipizer).
Solo il 16 settembre dell’anno successivo furono collocate nel loculo sotto l’altare nella cappella dedicata al Santo.
La ricognizione antropologica delle reliquie effettuata dal Corrain nel 1986, contraddice le notizie fornite dalla passio.
In questa fonte infatti il Santo sarebbe stato torturato e sgozzato da Iunillus (
Tunc preses iniquitatis iussit gladium in gutture eius mergi) non molto tempo dopo che il giovanetto aveva lasciato la spelonca presso San Dorligo della Valle dove si era ritirato
cum iam esset annorum duodecim.
Dall’analisi dei resti ossei emerge invece che il corpo in questione appartiene ad un individuo di sesso maschile, di età adulta.
Assieme alle reliquie è stata trovata una piastrina di piombo recante l’incisione
Sanct(us)/ Servulus/ Martyr/ d(e) T(er)gesto a caratteri gotici , databile al XIII secolo. I caratteri della piastrina sono simili a quelli incisi sul lato del sarcofago marmoreo.
Le fonti ci riportano che a Servolo e ad altri quattro Santi patroni della città, Giusto, Sergio, Lazzaro ed Apollinare, era tributato dai triestini un particolare culto: ne da notizia il Breviario Triestino del trecento per quel che riguarda il clero, mentre per gli aspetti della vita cittadina laica, gli Statuti del Comune attestano la partecipazione dei cittadini.
Così dagli Statuti del 1350 sappiamo che nei giorni delle feste dei Santi patroni non si rendeva giustizia.
Negli stessi giorni, oltre che nel giorno del Nome di Maria e degli Apostoli era vietato il trasporto del letame, di legna, sarmenti, frasche, mattoni, pietre, calcina,e il taglio della legna.
Ancora gli Statuti c’informano che il giorno della festa dei patroni, il Podestà con il suo seguito, i Giudici Rettori e tutto il Maggior Consiglio, si recavano con il gonfalone del Comune in solenne processione alla chiesa e all’altare del Santo festeggiato per fargli omaggio di grandi doppieri di ceri. I musici accompagnavano il corteo delle autorità, cui seguiva quello del popolo.
La celebrazione di San Servolo non finiva il 24 maggio ma proseguiva ancora il 31, nell’
octava Sancti Servuli.
Inoltre gli si rendeva una particolare onoranza: era bandita una gara, tra cittadini, di tiro con la balestra, nella piazza maggiore.
Il libro dei Camerari del Comune registra la spesa per l’acquisto di due balestre nuove, premio per i vincitori, e per l’erezione del grande bersaglio di legno.
AAAAAAAAhhhhhhhhhh,
scuseme go fato el brodo 'sai longo!!!!
no volevo tediarve.... ma credeme go anche tajà un bel po'
come mai che i amici i me disi che son LOGORROICA???????????
ahahaha....scuseme, no xe logorrea....xe passion!!!
