Elisa ha scritto:
..
ale due de dopopranzo... lo vedo "en ponta" (per me, parlar en ponta = rinnegare l'uso del dialetto a favore dell'italiano) e,
chiedendo scusa per la presente intromissione
nel dialetto triestino di riguardo, domando con curiosità se non fosse in uso "dopodisnár".
Mi dispiace, Elisa, ma, pur non ritenendomi un parlatore del dialetto "puro" e non avendo problemi a riconoscere eventuali miei errori, per
"dopopranzo" ho il conforto persino dei vocabolari "veri" del dialetto triestino.
mandi_ ha scritto:
Domanda: ma a che ora se pranza a Trieste de solito? Mezzogiorno? L'una? E la zena?
Quando ero giovane e mio papà finiva di lavorare alle 14 (così non ci sono dubbi) pranzavamo alle 14.30 ed io, al ritorno da scuola, andavo a farmi un pisolino prima di pranzo. Normalmente, oggi, noi pranziamo verso l'una, ma quando insegnavo e terminavo alle 13.40 pranzavo dopo le 14. Oggi, se devo andare a prendere mia nipote alle 12.45, visto che dopo è difficile pranzare, pranziamo alle 11.30 (a Roma sarebbero alla merenda) in modo da essere davanti al nido alle 12.30, con un poco di anticipo (anche se ho un bel viaggetto per arrivarci) che impiego facendo una passeggiatina nel bosco attorno al nido (caprioli, cinghiali, ghiandaie, codirossi, pettirossi, zigoli, cinciallegre, cinciarelle, merli, piccioni, cornacchie ....). Quindi non penso ci siano regole fisse, almeno da parte mia.
Ciancele ha scritto:Son Piccolo Ma Crescerò, ara che se quel pescador son mi, no go mai sentì.
No no te son ti, me speravo de 'ver una risposta de ti, positiva o negativa che la fusi. E speto anche una risposta per
"MARINON" come odor de salmastro.
babatriestina ha scritto:el odor che te disi, pescolume, e che me ricordo anche mi in quel punto, per mi iera freschin. Assia forte, ma freschin
Freschin xe la spuza che sa un piato, dove che iera pese o ovi crudi, mal lavà. Ma te asicuro che se te fusi andada ale 2 de dopopranzo, in estate col sol che spaca, a farghe compagnia ala morosa che iutava su papà a vender nafta ale barche drio dela pescheria, no te lo gaveria dito
"freschin" ma, mi almeno,
"spuza de pese marzo". In sti giorni me xe sta dito che quela iera
"spuza de pescolùm[e]" (no go capido se ghe iera la
"e" in fondo ala parola o meno, mi la go mesa). Come go dito, indagherò.
Allora s’accorse che le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi; e prese un po’ più d’abitudine d’ascoltar di dentro le sue, prima di proferirle. (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXVIII)