Arrivano i francesi

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Arrivano i francesi

Messaggio da rofizal »

Volevo meter nel topic "Trieste francese", ma in realtà qua el discorso xe un poco più generico e precedi la gestion francese dela cità. Per no far confusion go quindi creado qiesto novo topic.

La fonte xe la "Storia d'Italia dal 1789 al 1814" di Carlo Giuseppe Guglielmo Botta, Tomo II, stampada a Parigi nel 1837.

Lunga e dettagliata la descrizione della guerra autro-francese in Italia e delle varie battaglie, ma la maggioranza di queste non riguardano la nostra zona. Mi limiterò a riportare i fatti relativi alla parte sud della nostra regione.

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Al tempo medesimo Serrurier e Guyeux varcavano la Piave a Vidoro e ad Ospidaletto, ed occupato Conegliano e Sacile si avvicinavano al Tagliamento. Aveva l'arciduca munito la sponda sinistra di questo, piuttosto impetuoso torrente che giusto fiume, di trincee con averle afforzate con artiglierie. Stanziavano anche numerose torme di cavalleggieri pronte a ributtare l'inimico, ove passasse. Ma queste erano meglio dimostrazioni per ritardare, che per arrestare l'inimico, perché le acque del Tagliamento, non ancora sciolte le nevi su i monti, si potevano guadare in molti luoghi. Per la qual cosa i Francesi, schivando i passi muniti, riuscivano facilmente sulla sinistra. Fuvvi qualche incontro di cavallerìa assai bravo, ma i fanti Tedeschi fecero sperienza di poca virtù, quando la cavallerìa dei repubblicani, varcato il fiume, gli ebbe assaltati. Al contrario i primi fanti Francesi che avevano passato, percossi vigorosamente dalla cavallerìa Tedesca, avevano contrastato con molta forza. Fu poco notabile in questo fatto la perdita dei repubblicani. Mancarono degl'imperiali meglio di seicento soldati tra uccisi e prigionieri: s'aggiunsero alle conquiste dei vincitori sei cannoni. Venne prigione in mano loro il generale Schultz.

Passato il Tagliamento, ed assicurato Buonaparte sulla sinistra per la vittoria di Massena, che già da Cadore, valicando dai fonti della Piave a quei del Tagliamento, si accostava con presti alloggiamenti alla Ponteba, si stendeva per tutto il Friuli, cacciandosi avanti verso il Lisonzo le armi Austriache, che debolmente combattendo facilmente gli cedevano del campo. Già le fortezze di Palmanova e di Gradisca, e già Gorizia erano in poter suo venute. Quindi allargandosi a destra s'impadroniva di Trieste abbandonato da'suoi difensori, e fatta una subita correrìa sopra Idria, faceva sue quelle ricche miniere d'argento vivo, bottino ricchissimo, ma non tanto quanto portò la fama. Verso sinistra, procedendo altresì molto risolutamente, prendeva Cividale e s'incamminava a Chiavoretto perché voleva consuonare con Massena nel carico, che questi aveva d'impossessarsi del passo importante della Ponteba. Grande era questo suo pensiero; conciossiachè se Massena guadagnava il passo della Ponteba, poi quello di Tarvisio, che gli succede, gli sarebbe venuto fatto di spuntare il fianco destro dell'arciduca, di separarlo da Kerpen, e da Laudon, d'impedire i rinforzi, che dal Reno gli pervenivano, e forse ancora di giungere a Clagenfurt sulla strada per a Vienna innanzi che il generalissimo Austriaco vi arrivasse. Con ciò conseguiva anche l'altro intento di assicurarsi la congiunzione delle genti di Joubert, che per la valle della Drava dovevano venire dal Tirolo. Parte di questi pensieri recava ad effetto, e parte no, perché gli venne interrotta dalla celerità e dalla prudenza dell'avversario.
[...]
Giunto a Clagenfurt, ed avuto avviso per modo segreto, che i partigiani della pace a Vienna facevano efficace opera per venire ai fini loro, pensava di usare il terrore impresso, perché la parte loro prevalesse nelle consulte dell'imperatore. A questa deliberazione fu anche indotto dal sospetto di quello che potesse accadere alle sue spalle; perché, sebbene il senato Veneziano fosse debole, erano i popoli della Terraferma gagliardi per lo sdegno concetto alle conculcazioni fatte dai repubblicani, e minacciavano di far novità contro di loro. Al che erano anche incitati dalle rivoluzioni di Bergamo e di Brescia accadute per instigazioni segrete e palesi dei Francesi, e dei loro partigiani. Da un altro lato, aveva Buonaparte sentito i primi romori di Kerpen e di Laudon nel Tirolo, e già la Croazia minacciava Trieste. Né non gl'importava il simulare il desiderio della pace; perciocché, se la pace seguiva a modo suo, otteneva l'intento; se non seguiva, sarebbe paruta la guerra opera dell'ostinazione altrui. Scriveva adunque, il dì trentuno marzo, all'arciduca, l'Europa sanguinosa desiderar la pace, desiderarla, ed averne fatto dimostrazione il direttorio; sola l'Austria stare armata sul continente per combattere; instigarla l'Inghilterra; dovere forse continuar ad uccidersi scambievolmente Francesi ed Austriaci, perché si facesse il piacer di una nazione non tocca dalle disgrazie della guerra?

«Voi foste, diceva all'arciduca, il salvatore dell'Alemagna, siate anche il benefattore dell'umanità: anche vincendo, non potrete fare che non ne sia lacerata l'Alemagna: se questa mia proposta fosse per divenir cagione, che la vita di un uomo solo si salvasse, bene sarei io più contento della meritata corona civica, che della fama acquistata in ulteriori vittorie.»

Rispondeva l'arciduca, fare la guerra per debito, desiderare la pace per inclinazione; a nissuno più che a lui star a cuore la felicità dei popoli, ma non aver mandato per trattare intorno ad una faccenda di tanta importanza, ed a se non competente; aspetterebbe i comandamenti del suo signore. Data la risposta, mandava gli avvisi a Vienna, già molto turbata per l'avvicinarsi del nemico.

Buonaparte intanto si faceva con prestezza avanti, sperando di far certo con la vittoria quello, che tuttavia era incerto. Ma l'arciduca, che si era messo al fermo del voler temporeggiare, fuggendo la necessità del combattere, si tirava indietro, solo ritardando con grosse fazioni del retroguardo il perseguitar del nemico. Ritraevasi da San Vito, da Fraisach, da Newmarket: ritraevasi ancora da Unzmarket sulla Mura, o da Judenburgo. Occupava Buonaparte i luoghi abbandonati, e si vedeva avanti le acque, che dall'estrema falda dei Norici monti se ne corrono per la diritta nel Danubio; già le mura dell'antica ed invitta Vienna erano vicine a mostrarsi a' suoi soldati vincitori; caso veramente di tanta maraviglia, che da molti secoli addietro non era accaduto l'uguale.


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Messaggio da rofizal »

Interessante anche la parte delle trattative:

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Ma già a Vienna più aveva potuto il timore che la prudenza, ancorché la condizione di Buonaparte fosse diventata pericolosa per la subita comparsa di Laudon nella campagna di Brescia, per l'arrivo di un colonnello Casimiro a Trieste mandatovi dall'arciduca, e per essere sul mezzo della fronte l'arciduca medesimo grosso e rannodato, e con tutte le popolazioni all'intorno, che dimostravano animo stabile nella divozione verso l'antico signore.

Arrivavano all'alloggiamento di Judenburgo i generali Bellegarde e Meerfelt con mandato di sospendere le offese, e di comporre le differenze. Uditi benignamente dal generale di Francia, si accordarono, il giorno sette aprile, che si sospendessero, da ambe le parti le offese per sei giorni. Poi, scoprendosi sempre più inclinato Buonaparte a volere condizioni vantaggiose per l'Austria con offerire compensi nei territorj Veneti alla perdita dei Paesi Bassi e del Milanese, fu prolungata la tregua insino a che fossero accordati i preliminari di pace, che secondo il corso di quei negoziati, si vedevano non lontani. In fatti, essendosi dato perfezione a tutte le pratiche, si venne fra i plenipotenziarj rispettivi alla conclusione dei preliminari nella terra di Leoben il dì diciotto del medesimo mese. Alcuni dei capitoli furono palesi, altri segreti. Fra i primi contenevasi, cedesse l'imperatore alla Francia i Paesi Bassi, riconoscesse le frontiere della repubblica, quali le avevano le leggi Francesi definite, consentisse alla creazione di una repubblica in Lombardia. Stipulavano i segreti, desse la Francia in poter dell'imperatore l'Istria, la Dalmazia, il Bresciano, il Bergamasco, parte del Veronese. A questo fine appunto, e per compir questa fraude, aveva Clarke già molto avanti esortato l'imperatore ad occupare con l'armi l'Istria e la Dalmazia, ed aveva Buonaparte, pure molto prima, fatto rivoltare contro il senato Bergamo, Brescia, e le Veronesi terre: promettevano per altro i preliminari, che la repubblica di Venezia si compenserebbe con le legazioni; il che significava, che si destinavano, senza saputa e senza consenso del senato Veneziano, ad altra potenza i suoi dominj, e che gli si offerivano compensi, prima che si sapesse se a lui erano, o convenienti, od onorevoli; perché in questo, non solo si spogliava Venezia de' suoi stati, ma le si voleva dar compenso con ispogliar di altri stati una potenza con lei congiunta di amicizia: ed è anche da considerarsi in queste rinvolture schifose lo strazio, e lo scherno, che si faceva di quella repubblica Cispadana, che appena nata già si voleva ridurre sotto la sferza di un governo aristocratico, come dicevano, e tirannico, che era una faccenda grave in quei tempi. Ma essendosi stipulato nei preliminari, che Mantova si restituisse all'imperatore, il direttorio non volle consentire questa condizione, certamente gravissima in se stessa, e per gli effetti che portava con se; conciossiachè il lasciare un sì forte nido all'Austria in Italia era un fare perpetuamente incerta la repubblica Lombarda, o Transpadana, che la vogliam nominare, ancora tanto tenera in quei primi principj, ed un necessitare la presenza continua di un grosso esercito Francese nell'Italia settentrionale. Rendevansi anche per la medesima cagione incerte tutte le mutazioni di stato, che in Italia avevano fatto i Francesi, e questi stati nuovi, ad una prima presa d'armi, ad un primo remore, ad un primo sospetto, ad una prima sollevazione d'animi, sarebbero iti tutti sossopra, né mai avrebbero potuto por radice, per quel segnale importuno dell'Austria vicina e forte. Il rifiuto del direttorio fé' sorgere nuovi negoziati, pei quali finalmente fu consentita Mantova alla repubblica Transpadana; ma nacque al tempo stesso la necessità di ricompensare quella piazza all'imperatore col restante dello stato Veneto, colla città stessa di Venezia, e colla distruzione totale dell'antico governo Veneziano. Assunse l'opera barbara e frodolenta il direttorio; s'addossò Buonaparte il carico di mandarla ad effetto, ambi sperando di colorire il tradimento ordito contro i Veneziani con fingere tradimenti orditi dai Veneziani contro di loro.


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Messaggio da rofizal »

Sempre nel 1797. Queste notizie riguardano più le rivolte in Dlamazia, ex Repubblica Veneta, ma sono in un certo modo collegate a Trieste, se non altro perché le spedizioni per sedare le rivolte stesse partivano in parte dalla nostra città e perché la Dalmazia era economicamente collegata a Trieste.

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Marciava l'Alemanno da Trieste per virtù dei patti secreti di Leoben, e degli accordi oramai fatti, e che in formale trattato si stipularono poscia in Campoformio, ad occupare le Venete provincie dell'Istria e della Dalmazia. Ordinava sul principiar di giugno il Terzi, generalissimo dell'Austria interiore, al generale Klenau, occupasse nell'Istria Pirano, Umago, Cittanova, Parenzo, Ossero, e Rovigno; al colonnello Casimiro, capitano di nome pel fatto della presa di Trieste, presidiasse tutti i luoghi d'importanza del littorale Istriaco, e di più delle vicine isole di Veglia, Cherso, Arbo, e Pago s'impadronisse. Ad ambidue veniva di leggieri fatta l'occupazione, perché gl'Istriotti a quelle novità democratiche non si erano potuti accomodare, ed ancorché fossero affezionati al nome Veneziano, si piegavano facilmente ali'obbedienza Austriaca, perché l'imperio Francese, sotto il quale era caduta l'antica patria loro, stimavano odioso. Parlarono con pubblici bandi i commissarj imperiali della bontà di Francesco imperatore, dell'obbligo suo di preservar i suoi stati da moti insoliti, del suo desiderio di allontanar dall'Istria l'inquieto vivere dell'anarchìa. Proteggerebbe i quieti, punirebbe gli scandalosi, manterrebbe a tutti le persone, e le proprietà sicure.

Mentre queste cose succedevano nell'Istria, sanguinosi accidenti atterrivano la Dalmazia. Erano i popoli di questa provincia avversi per antica consuetudine al nome Francese, e dalle nuove opinioni per lontananza e per poco commercio di lettere molto alieni. Erano ancbe giunte a loro con veri e forti colori dipinte le espilazioni, e le ruine d'Italia, onde all'odio antico si veniva a congiungere uno sdegno recente. A questo si aggiungeva, che i soldati della loro nazione, che in Verona, ed in Venezia, ed in altre piazze Venete erano stati di presidio, si ricordavano della poca stima, anzi delle delusioni, che verso di loro avevano usato i repubblicani troppo intemperanti nella vittoria. Udite poi le Veneziane cose, e come e quanto i municipali di Venezia trascorressero nelle opinioni, e nei costumi nuovi, si erano concitati a gravissimo sdegno, dichiarando apertamente, che non avrebbero più comportato, che s'ingerissero nelle loro faccende. Già minacce annunziatrici di crudeli fatti sorgevano in ogni luogo contro gli aderenti, o veri, o supposti dei reggimenti nuovi. I primi a muoversi furono i villani, ed i montanari di Trauno e di Sebenico, i quali, scesi a furia, commettevano atti di un'estrema barbarie. Quei, che fungeva le veci di console di Francia, quantunque fosse Dalmata, era crudelmente ucciso, e con lui tutta la sua famiglia. Le case di un Calafatti e di un Gavagnini, deputati eletti dai municipali di Venezia ad ordinare a modo nuovo la Dalmazia, erano saccheggiate; i parenti dei delegati perseguitati, e parte uccisi. Né più si guardava a nobili, o a preti, od a soldati, che ad altri, perché solo che fossero in voce di essere aderenti ai Francesi, erano ammazzati. La mala usanza si propagava dal continente nelle isole vicine, ed ogni luogo era pieno di terrore, di ferite, di uccisioni, e di sangue. Né poteva frenare il corso di tanta barbarie Querini governatore per l'antica Venezia, della provincia, quantunque molto vi fosse amato, perché più poteva il furore, che le esortazioni, ed i suoi soldati, non che fossero stromenti del dominare, s'erano fatti compagni al popolo per conculcare. Partivano da Trieste e da Fiume alla volta di Zara quattromila soldati imperiali condotti da Roccavina, Lusignano e Casimiro. Trattenevano i venti per qualche tempo Roccavina, ma Casimiro con prospera navigazione arrivava a Zara sul finire di giugno, poi sul cominciar di luglio s'accostava a lui con le altre genti Roccavina. Accettavano lietamente i Zaratini gli Austriaci, parte per opinione, parte per sicurtà contro l'anarchìa. S'impadronivano gl'imperiali dei forti, abbassavano le bandiere Venete, inalberavano le proprie. Prometteva l'imperatore con pubblico bando pace, e sicurtà a tutti, minacciava i turbolenti, affermava, venire per ispegnere l'anarchìa, e per mettere in sicuro gli antichi ed irrefragabili suoi diritti sopra la provincia. Giuravano fede all'imperatore tutti i magistrati, e circa duemila soldati Veneti, che si ritrovavano in quella fortezza per presidio. Quivi si vedeva uno spettacolo generoso e lagrimevole; poiché allor quando si venne all'atto del consegnarsi dai soldati il vessillo di San Marco in mano del generale Austriaco, prorompevano in dirotto pianto: a loro rispondevano con altrettante lagrime i circostanti. Alcuni furono visti in quell'estremo atto baciarlo, ed abbracciarlo sospirosamente più volte: i Panduri, fra gli altri, gente creduta barbara, davano tanti segni di dolore e di disperazione, come trovo scritto, che i capitani Austriaci concedevano loro di poter continuare nell'uso antico di portarsi i Veneziani vessilli. Per tal modo, mentre uomini civili ed ammaestrati con gentili dottrine, la patria loro, non solo adducevano in forestiera servitù, ma ancora nell' estremo suo caso con improperj più che barbari schernivano, uomini idioti e da nissuna civile disciplina informati, la patria stessa infelice e spenta, con dolore e con lagrime proseguivano.

Spento a Zara il governo Veneto, restava, che nella rimanente provincia si annullasse. A questo fine partitosene per la via di terra Casimiro, occupava Spalatro, Clissa, e Singo, Roccavina per quella di mare entrava in Sebenico, dove era accolto con molta allegrezza, perché la ferocia dei villani scesi dalla montagna vi aveva più che altrove infuriato, e ad ogni ora faceva le viste d'infuriare vieppù. Scendeva quindi dai monti con una mano di Ungari e di Transilvani il conte di Warstensleben, e si univa col Roccavina. Allora gl'imperiali fatti più forti, e condotti da Roccavina medesimo si avviavano a farsi signori dei siti importantissimi delle Bocche di Cattaro, stati anche ceduti da Buonaparte a nome della Francia. S'accomodavano quietamente i Bocchesi, non però senza dimostrazioni di vivo desiderio dell'antico governo, alle nuove sorti. La Dalmazia tutta, e l'Albania Venela entravano sotto il dominio dell'imperatore, importante accessione a' suoi stati per l'opportunità dei porti, per l'abbondanza del commercio, per l'indole bellicosa degli abitatori, e finalmente per la perizia loro nelle faccende di mare. Solo Perasto, Risano, e Geganowich, comuni dei Bocchesi, facevano qualche resistenza, ma sopraffatti dalla superiorità Austriaca cedevano, e si sottomettevano. A questo modo si andava sfasciando appoco appoco, e con universale ruina, l'antichissimo imperio dei Veneziani.


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Messaggio da rofizal »

Facciamo ora un salto al 1809 (Tomo IV, degli anni in mezzo non ho per ora i libri a disposizione) per vedere il trattato di pace di quell'anno tra Napoleone e l'Austria.


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Il dì sei di luglio periva la mole Austriaca nei campi di Vagria. Quivi fu prostrato l'arciduca Carlo: Napoleone divenne padrone di quell'antica e grande monarchìa. Si trovò facilmente forma di concordia per la depressione d'una delle parti: consentì l'imperatore Francesco a condizioni durissime di pace. Consentì anche, prevalendo in lui ad ogni altro rispetto la salute dello stato, a quello che era più duro ancora che tutte le altre condizioni, dico al congiungere la propria figliuola Maria Luisa in matrimonio a colui, che era la ruina della sua casa, e che principiante e durante la guerra, l'aveva chiamato coi nomi più vituperosi. Il dì quattordici ottobre si stipulava in Vienna, per lo stabilimento delle cose comuni, dal signor di Champagny per parte di Napoleone e dal principe di Lichtenstein per parte di Francesco, il trattato di pace. Cedeva l'imperatore Francesco all'imperator Napoleone, oltre molti altri paesi in Germania ed in Polonia, la contea di Gorizia, il territorio di Monfalcone, la contea e la città di Trieste, il ducato di Carniola con le sue dipendenze nel golfo di Trieste, il circolo di Villaco nella Carintia, con tutti i paesi situati sulla riva destra della Sava, dal punto in cui questo fiume esce dalla Carniola, fin dove tocca le frontiere della Bosnia, nominatamente una parte della Croazia provinciale, sei distretti della Croazia militare, Fiume, ed il littorale Ungherese, l'Istria Austriaca col distretto di Castua, Picino, Buccari, Buccarizza, Portore, Segua, e le isole dipendenti dai paesi ceduti, e tutti gli altri territorj qualsivogliano situati sulla destra del fiume, il filo delle acque del quale avesse a servire di limite fra i due stati: perdonasse Napoleone ai Tirolesi, Francesco ai Polacchi: l'Austria cessasse ogni relazione coll'Inghilterra.

Napoleone sempre intento a torre la riputazione a'suoi amici per tor loro poscia lo stato, fece inserire nel trattato un capitolo, per cui l'Austria si obbligava a cedere all'imperatore Alessandro di Russia, che era stato, contro ogni ragione, oziosamente riguardando il processo di questa guerra, nella parte più orientale dell'antica Gallizia un territorio, che contenesse quattrocentomila anime, non inclusa però la città di Brodi; il quale capitolo accettò Alessandro, benché fosse spoglia di un amico, che ne ricevette grandissima molestia. Di questa stipulazione non merita riprensione l'Austria, siccome quella che vi consentì per forza. Dello sforzatore poi e dell'accettatore, chi abbia meritato maggior biasimo, facilmente il giudicheranno i posteri. Questo fine sortirono la presa d'armi, ed il poderoso apparato di guerra dell'Austria, e questa concordia fu obbligata d'accettare. L'Europa viemmaggiormente si confermava in servitù di Napoleone.


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Messaggio da rofizal »

Ma i tirolesi non cedono....
Molto bella la parte dedicata ad Andreas Hofer, l'eroe tirolese (vedi Wikipedia, a cui ancor oggi è dedicato l'inno del Tirolo.

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L'Austria percossa da tanto infortunio quietava per la pace; ma era dolorosa la sua quiete. Oltre la perduta potenza, l'infestava l'insolenza del vincitore, e l'aggravavano le grossissime imposizioni. Soli i Tirolesi non cedevano al terrore comune, e con l'armi in mano continuavano a difendere quel sovrano, che già, deposte le sue, aveva dato molte nobili parti del suo dominio, e loro stessi in potestà del vincitore. Il principe Eugenio dalle sue stanze di Villaco gli esortava a posare, ma in vano. Più volte combattuti dai Francesi, dai Sassoni e dai Bnvari, più volte batterono, e più volte anco battuti, più volte risorsero. Vinti, si ritiravano alle selve impenetrabili, ai monti inaccessibili; vincitori, inondavano le valli, e furiosamente cacciavano il nemico. Vinti, erano trattati crudelmente dai Napoleoniani; vincitori, trattavano i Napoleoniani umanamente; e siccome gente religiosa, vinti, con segni di grandissima divozione pregavano dal ciclo miglior fortuna alla patria, vincitori, coi medesimi segni il ringraziavano. E' furono visti, dopo di aver superato con incredibile valore i soldati di Lefebvre, e restituito a libertà coloro, che si erano arresi, scorrente ancora il sangue, e presenti i cadaveri dei compatriotti e dei nemici, gittarsi tutti al punto stesso, dato il segno da Hofer, coi ginocchi a terra, ed in tal pietosa attitudine, tra lacrimosi e lieti rendere grazie a Dio dell'acquistata vittoria. Echeggiavano i monti intorno dei divoti ed allegri suoni mandati fuori da rel1giosi e forti petti. Infine sottentrando continuamente genti fresche a genti uccise, abbandonati da tutto il mondo, anzi quasi tutto il mondo combattendo contro di loro, cessarono i Tirolesi, non dal volere, ma dal potere, e nei montuosi ricetti loro ricoveratisi aspettavano occasione, in cui più potesse la virtù che la forza. Il Bavaro dominio si restituiva nel Tirolo Tedesco; cedé l'Italiano in possessione del regno Italico.

Sul finire del presente anno Andrea Hofer si ritirava con tutta la sua famiglia ad un povero casale fra montagne e nevi altissime, dolente per la patria, tranquillo per se. Ma Napoleone era sitibondo del suo sangue. Perciò, fattolo con tutta diligenza cercare e ricercare, gli riuscì di trovarlo nel suo recondito recesso. Batterono alla porta i Napoleoniani soldati, era la notte dei venzette gennajo dell'ottocento dieci. L'aperse Hofer; veduto che era venuto in forze altrui, con semplicità e serenità mirabile:
« Son'io,» disse, Andrea Hofer; « sono in poter di Francia: fate di me ciò che v'aggrada; ma vi piaccia risparmiare la mia donna e i miei figliuoli: son' eglino innocenti, né de'fatti miei obbligati. »
Così dicendo, diessi in potestà dei Napoleoniani. Diedesi con lui un giovinetto di fresca età, figliuolo di un medico di Gratz, venuto, così muovendolo la virtù del Tirolese, a trovarlo, ed a dedicarsegli o a vita o a morte. Condotto a Bolzano, l'accompagnavano la madre, ed un figliuolo di tenera età. Ultimo destino gli soprastava. Fu il figliuolo lasciato stare a Bolzano, la madre mandata a Passeira ad aver cura di tre altri figliuoli ancor bambini, i quali, se ora avevano il padre prigioniero, presto il dovevano aver morto. Pure non se n'accorgevano per la fanciullezza; il che muoveva viemmaggiormente a compassione. Accorrevano i popoli smarriti dovunque i Napoleoniani con Andrea legato passavano, o nel Tirolo Tedesco, o nell'Italiano che si fosse, alzando per dolore gli occhi al cielo, e lacrimando, e sclamando, e la memoria del diletto ed infelice loro capitano benedicendo. Le palle soldatesche ruppero in Mantova il patrio petto d'Andrea, lui non che intrepido, quieto in quell'estrema fine. Ostò ad Andrea l'età perversa: fu chiamato brigante, fu chiamato assassino. Certo, se le lodi sono stimolo a virtù, lagrimevole e disperabil cosa é il pensare al destino di Hofer.


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Re: Arrivano i francesi

Messaggio da babatriestina »

rofizal ha scritto: La fonte xe la "Storia d'Italia dal 1789 al 1814" di Carlo Giuseppe Guglielmo Botta, Tomo II, stampada a Parigi nel 1837.
.
per l'autor:
http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Botta
per mi, el più curioso xe che el xe el pare del famoso archeologo
http://fr.wikipedia.org/wiki/Paul_%C3%89mile_Botta
i cui reperti de Ninive xe fra i capolavori al Louvre.
E una curiosità: la versione piemontese ( :shock: ) della sua biografia lo dà sepolto a santa Croce a Firenze, fra i più illustri italiani.


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Messaggio da rofizal »

Sul soilto Youtube se pol naturalmente trovar l'inno de Andreas Hofer:
Inno del Tirolo

Zu Mantua in Banden
Der treue Hofer war,
In Mantua zum Tode
Führt ihn der Feinde Schar.
Es blutete der Brüder Herz,
Ganz Deutschland, ach,
In Schmach und Schmerz,
Mit ihm das Land Tirol,
Mit ihm das Land Tirol,
Mit ihm das Land Tirol,
Mit ihm das Land Tirol.

Die Hände auf dem Rücken
Der Sandwirth Hofer ging
Mit ruhig festen Schritten,
Ihm schien der Tod so gering,
Der Tod, den er so manchesmal
Vom Iselberg geschickt ins Tal
Im heil'gen Land Tirol.


Doch als aus Kerkergittern
Im festen Mantua
Die treuen Waffenbrüder
Die Händ' er strecken sah,
Da rief er laut: Gott sei mit euch,
Mit dem verratnen Deutschen Reich,
Und mit dem Land Tirol.

Dem Tambour will der Wirbel
Nicht unterm Schlägel vor,
Als nun der Sandwirth Hofer
Schritt durch das finstre Tor.
Der Sandwirth noch in Banden frei
Dort stand er fest auf der Bastei
Der Mann vom Land Tirol.

Dort soll er niederknien,
Er sprach: das tu' ich nit!
Will sterben, wie ich stehe,
Will sterben, wie ich stritt,
So wie ich steh' auf dieser Schanz,
Es leb mein guter Kaiser Franz,
Mit ihm das Land Tirol!

Und von der Hand die Binde
Nimmt ihm der Korporal,
Und Sandwirth Hofer betet
Alhier zum letzten Mal.
Dann ruft er: nun so trefft mich recht.
Gebt Feuer! - Ach, wie schießt ihr schlecht!
Ade, mein Land Tirol!


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Messaggio da babatriestina »

rofizal ha scritto:Sul soilto Youtube se pol naturalmente trovar l'inno de Andreas Hofer:
me permetto de ricordar che gavemo za un post de 6 pagine dedicado a Andreas Hofer


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Messaggio da rofizal »

Uuuhhh. no pensavo che el fusi cusì famoso anche tra de noi. :wink:
Comunque no go altro de dir su de lui; inno a parte, go solo ricordado la sua partecipazion ala guera contro Napoleone. Me pareva importante vardar i vari aspeti dela campagna francese in Italia e, de conseguenza anche qua de noi.

De quel che i conta, per valutar lo stato d'animo dele popolazioni, me par che i tirolesi iera i "duri" e i austriaci più "morbidi", mentre i ex republica veneta iera furiosi per l'anulamento dela stesa. Punto e fine su sto argomento. :wink:


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Facciamo invece un salto temporale ed arriviamo al 1813. L'anno prima c'è stata la disastrosa Campagna di Russia di Napoleone e il suo grande Impero ormai volge alla fine.
Ma come finisce il dominio francese nell'alto Adriatico?

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Gli Austriaci cignendo con largo circuito tutta la fronte dell'esercito Italico, avevano un grandissimo vantaggio, il quale ed all'occorrenza presente, ed alla natura loro sempre circospetta molto bene si conveniva. Sicura era loro ala destra pei fatti succeduti in Germania, ed ultimamente per l'adesione della Baviera alla lega dei principi uniti contro Napoleone. In questo ancora molto momento recavano i Tirolesi pronti ad insorgere contro il nuovo dominio, per modo che l'Austria stessa per rispetto della Baviera, nuovo alleato, era costretta a tenergli in freno, acciocché non facessero qualche incomposta variazione. Ma la inclinazione loro rendeva sicuro il loro paese alle forze Austriache, e dava sospetto al viceré, perché potevano offenderlo a mano manca, ed alle spalle. Né meno avvantaggiata condizione avevano gli Austriaci sulla loro sinistra, posciaché sapevano, che le popolazioni Dalmate e Croate, essendo infense ai Francesi, ed agl'Italiani loro confederati, erano pronte a sorgere contro i presenti dominatori; popolazioni armigere, e però di non poca importanza, massimamente in una guerra, alla quale i popoli, non che i soldati, si chiamavano. Hiller avvisava di condurre per modo la guerra, che facendosi innanzi con le sue ali estreme, mentre il grosso seguitava nel mezzo a seconda, ma più tardamente e più prudentemente, desse continuamente timore al viceré di essere circuito, ed assaltato alle spalle.

Questa forma di guerreggiare doveva necessariamente far prevalere la fortuna degli Austriaci, perché procedendo cautamente nel mezzo non davano agli avversarj occasione di venire ad una battaglia campale, dalla quale solamente potevano sperare, se la vincessero, di redimersi da quel pericoloso passo al quale erano ridotti. Da questo anche ne risultava, che si richiedeva, a voler riuscire a buon fine, nel capitano Francese maggior prudenza, che audacia, piuttosto arte di andar costeggiando l'inimico per impedirgli la campagna, e difficoltargli, in quanto si potesse fare senza tentar la fortuna, i passi, che coraggio d'affrontarlo; in somma piuttosto volontà di conservare l'esercito intatto, in qualunque luogo ei si fosse, che desiderio d'avventurarlo, perché in lui, non nei paesi occupati, consisteva la salute, o se non la salute, almeno le condizioni più onorevoli, del regno. Ma il viceré, siccome giovane, figliuolo di Napoleone, e tocco ancor egli dal vizio dei tempi, cioé di far chiaro il suo nome con fatti sanguinosi, disprezznndo il consiglio più salutifero, amò meglio fare sperienza della fortuna, consumando inutilmente i soldati in piccole fazioni, che poco o nulla importavano alla somma della guerra, che fuggendo l'occasione di combattere, ritirargli intieri a' luoghi più sicuri, ed interi ancora conservargli insino a che la fortuna avesse definito, che cosa volesse farsi di Napoleone in Germania ed in Francia. Quel sangue Francese ed Italiano, sparso nell'ultima Croazia e nell'estrema Carniola, accusano Eugenio o d'ambizione, o d'imperizia, o d'imprudenza.

Correvano i Dalmati, inclinava verso il suo fine agosto, contro i presidj, i Croati contro gl'Italiani. Zara, Ragusi e Cattaro tenuti da deboli guernigioni, romoreggiando nimichevolmente i popoli d'intorno, e tenendo infestata la campagna, cedettero facilmente. Una presa di Croati, avvalorata da qualche battaglione d'Austriaci, urtando contro Carlobado, facilmente se ne impadroniva. Gli Austriaci ed i Croati più oltre procedendo, s'insignorirono di Fiume, ritiratosene il generale Janin, impotente al resistere. I Croati, che erano stati arrolati sotto le insegne Francesi, dai loro signori segregandosi, ritornavano alle antiche insegne d'Austria. Mentre a questo modo felicemente si combatteva per gli Austriaci verso l'Adriatico, mandavano pel corso della superiore Drava grossi squadroni verso il Tirolo sotto la condotta di Fenner. Giunti a Brissio scendevano per le rive dell'Adige, con intento di andar a battere nelle Veronesi e nelle Bresciane regioni. Al tempo stesso si veniva alle mani sul mezzo; fu preso, e ripreso Crinburgo con molto sangue da ambe le parti.

In questi fatti mostrò molt'arte e molto valore Pino, molto valore e poca arte Bellotti: combatté felicemente il primo a Lubiana, infelicemente il secondo a Stein. Sorse un gravissimo contrasto a Villaco, donde gli Alemanni volevano aprirsi l'adito al passo di Tarvisio per scendere a seconda della Fella nel cuore del Friuli. Erano i Francesi accorsi al pericolo, e dopo un feroce combattere, in cui la città fu presa e ripresa parecchie volte, e finalmente arsa per opera dei Tedeschi, restarono vincitori: corse il viceré con molta virtù in soccorso della città consumata. Gli Austriaci, seguitando il consiglio loro, si allargavano sulle corna. Trieste, preso e ripreso più volte, venne in potestà loro; già tutta l'Istria loro obbediva. Dalla parte superiore precipitandosi dalle Alpi Tirolesi minacciavano di far impeto contro Belluno, e più alle spalle le armi loro suonavano nelle regioni vicine a Trento. Conoscendo ed usando il vantaggio, avevano passato la Sava a Crinburgo ed a Ramansdorf, per dove facevano sembianza di condursi, per Tolmino, nelle regioni superiori del Friuli. Anche contro Villaco preparavano un grande assalto.

Non era più in potestà del viceré il resistere, ed appariva che se più oltre si fosse ostinato a starsene sulle sponde della Sava e della Drava, correva pericolo che gli fosse vietato il ritorno. Avevano gli avversarj maggior numero di soldati, ed i popoli amici: erano al viceré minori forze, ed i popoli avversi. Fermossi prima sull'Isonzo qualche giorno, poscia sulla Piave, combattendo sempre valorosamente, sempre inutilmente. A questo modo l'Illirio, staccato per la forza dell'armi Napoleoniche dal suo antico ceppo d'Austria, se ne tornava per la forza dell'armi di Francesco imperatore alla consueta dominazione. I costumi a niun rispetto si convenivano coi Francesi, poco con gl'Italiani. Oltre a ciò vi aveva Napoleone conservato i dritti feudatarj, dandogli in preda a' suoi soldati, o magistrati più fidi: piacquero a quegli antichi repubblicani, e gli riscuotevano con duro imperio, senza lasciar neppure scattar un soldo.

Le stanze della Piave non si potevano conservare. Già gli Austriaci scesi a Bassano sotto la guida del generale Eckard vi avevano fatto una testa grossa, ed insistendo alle spalle davano timore di estrema rovina al viceré, se presto non si ritirasse. Quivi comparve evidente l'improvidenza del principe del non essersi ritirato più maturamente; perché per aver la ritirata sicura, fu costretto di combattere a Bassano una battaglia molto grave.


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Messaggio da rofizal »

Apari subi evidente che quel che, visto localmente, podeva aparir una scaramuccia, visto globalmente fa parte de una vasta ed importante guera tra austriaci e francesi, dove Trieste no rapresentava un punto importante del fronte (probabilmente come porto i francesi se apogiava molto de più a Venezia).


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Messaggio da babatriestina »

rofizal ha scritto: Gli Austriaci, seguitando il consiglio loro, si allargavano sulle corna.
:shock: :shock: :shock: :shock:


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Messaggio da babatriestina »

rofizal ha scritto:Apari subi evidente che quel che, visto localmente, podeva aparir una scaramuccia, visto globalmente fa parte de una vasta ed importante guera tra austriaci e francesi, dove Trieste no rapresentava un punto importante del fronte (probabilmente come porto i francesi se apogiava molto de più a Venezia).
la battaglia fondamental del 1813 xe stada a Lipsia, un poco fora de man... e no dimentichemo che la guerra la ga fatta conto i Francesi no solo i Austriaci, che Napoleon se illudeva de gaver neutralizzado sposando Maria Luisa, ma soprattutto i Russi e i Prussiani.
Per Lipsia: http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Lipsia


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Messaggio da rofizal »

Sì, ben... :wink: me riferivo solo ala parte "italiana" dela guera. Come quando dela prima guera consideremo solo el fronte italo-austriaco.


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Messaggio da rofizal »

babatriestina ha scritto:
rofizal ha scritto: Gli Austriaci, seguitando il consiglio loro, si allargavano sulle corna.
:shock: :shock: :shock: :shock:
Cusì xe scrito. Evidentemente intendi le ali estreme, nisun riferimento amoroso. :lol:


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Messaggio da Allogeno »

rofizal ha scritto:Apari subi evidente che quel che, visto localmente, podeva aparir una scaramuccia, visto globalmente fa parte de una vasta ed importante guera tra austriaci e francesi, dove Trieste no rapresentava un punto importante del fronte (probabilmente come porto i francesi se apogiava molto de più a Venezia).
Allegati
france militaire2.jpg


ClaireS

molto interessante

Messaggio da ClaireS »

Caro Rofizal... molto interessante il punto di vista esposto in questo testo ... "l'autre son de cloche" si dice i francese...

...e Baba ha ragione, il grosso nodo nel pettine era più a Nord. Si sà che alla fine Napoleone non dava grandissima importanza all'"Illyrie"... non avrebbe mandato Junot già malato e pessimo amministratore in quella zona se fosse cosiderata una zona-chiave.

Alla fine del Consolato invece N. era interessatissimo perché voleva apprire una strada verso l'impero Ottomano che immaginava potere conquistare dopo.

Allogeno... ci puoi dare una data (anche approssimativa) per l'incisione ?


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Tentativo di datazione

Messaggio da Allogeno »

La mia stampetta non porta indicazioni di data.

Però un copia colorata è stata pubblicata dal Rutteri nella sua magnifica raccolta “Antiche stampe di Trieste”, Edizioni LINT, Trieste 1967:

«Tavola XXVIII – FRANCE MILITAIRE. TRIESTE. E.Buttura del. Fr. Buellemer sc. Rame mm.180 x 140. Anno : 1810 ? »

« Rarissima incisione in rame, colorata, del periodo dell’occupazione francese, presumibilmente dell’ultimo, cioè dal 1809 al 1813, data la maggior durata dello stesso»


Neanche mi sogno di contraddire il Professor Rutteri, penso solo che forse il disegno sia un poco precedente alla pubblicazione: a me sembra che il Borgo Teresiano sia ancora incompiuto.


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