Ritorna alla pagina indice Vai al forum


La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

PAOLO RETI

“Ho conosciuto Reti in giugno-luglio 1944. La nostra è stata quindi una breve amicizia, ma egualmente profonda. Era ponte tra noi la fede, la fede cristiana. Ricordo che mi inviò in carcere la “Vita di Cristo” del Ricciotti, che era uscito da poco. Così, a breve distanza di tempo, percorremmo le medesime pagine che ci aiutarono a superare, a vincere, la prova comune. Da quella lettura compresi quanto intimo era fra noi il legame”.

Così don Marzari ricordava l'amico, a quattro anni dalla sua morte.

Paolo Reti nacque a Fiume nel febbraio del 1900 e seguì gli studi di ingegneria. A Fiume entrò per la prima volta in contatto con il Partito Popolare e con la realtà politica e sociale del movimento cattolico. Fu per lui una esperienza decisiva cui sarebbe rimasto fedele per tutta la vita.

Dopo aver lavorato per qualche anno in Inghilterra tornò a Trieste, dove lavorò dapprima nell'azienda del padre e poi nei Cantieri Riuniti dell'Adriatico. Nel 1939 venne trasferito a Genova, all'Ansaldo, ma i suoi rapporti con Trieste rimasero negli anni successivi sempre molto stretti.

In Liguria strinse subito rapporti con il movimento antifascista e questo lo portò ad intervenire per favorire la fuga in Corsica di un parente del generale Montgomery, sir Gordon Thomas Gore, che era evaso da un campo di prigionia tedesco.

Paolo Emilio Taviani ricordò nel suo Pittaluga racconta - Romanzo di fatti veri (1943-1945) quella vicenda: “L'aveva procurato [il motore] ai cospiratori voltresi un dirigente dell'Ansaldo, Paolo Reti, triestino. Egli aveva interpellato Trossi, e questi Pittaluga. Un dirigente dell'Ansaldo, che collaborava con i partigiani - Ernesto Manuelli - l'aveva protetta e favorita […]. Un gioiello - disse Reti. E fu messo al posto del vecchio e rumoroso motore del gozzo da pesca”.

Quel motore e quella fuga furono all'origine di tutte le sue traversie. Come sottolineò Taviani: “Il motore, quel dannato motore doveva ancora mietere le sue vittime. Nel gennaio del 1944 la situazione di Reti divenne insostenibile. Abbiamo saputo che le SS stanno indagando su di lui. Sanno qualcosa di quel motore - Loreto avvisò Trossi. Trossi avvertì Reti, che tuttavia insisteva a restare.”

Alla fine gli amici e i compagni di lotta riuscirono a convincerlo. Reti inviò la moglie e le figlie a Trieste e si recò a Milano, da dove, nelle vesti di un rappresentante di orologi, tenne i rapporti tra il CLNAI e il CLN triestino. A Trieste i suoi riferimenti fidati erano don Marzari, Gianni Bartoli e il vescovo Santin; a Milano Enrico Mattei, Piero Mentasti e Mario Ferrari Aggradi.

In uno dei suoi ultimi viaggi, verso la fine dell'inverno, Reti riuscì a far inoltrare, attraverso la Svizzera un documento di grande importanza, il piano per la sincronizzazione delle operazioni di sbarco degli alleati, che era stato predisposto da un generale italiano. Agli inizi di febbraio si recò per l'ultima volta a Milano, dove aveva l'incarico di trattare con i dirigenti del CLNAI la questione della italianità di Trieste e della Venezia Giulia.

Qualcuno aveva però parlato e le SS e gli uomini della famigerata banda Collotti erano ormai sulle sue tracce. La casa venne ripetutamente perquisita e la moglie e le figlie vennero interrogate. Il cappellano delle carceri riuscì ad avvertire il vescovo del pericolo imminente che stava per colpire Reti e gli amici più fidati, che sapevano della trappola che gli era stata tesa, cercarono di avvertirlo lungo il tragitto per Trieste. Tutto fu inutile: a Barcola venne arrestato. “Interrogato, Paolo non parla” – scrive Gianni Bartoli – “non confessa, non svela nomi”.

Dopo aver avuto un breve colloquio con la moglie – le venne imposto di non rivelare a nessuno questo “favore”, pena la morte - Reti venne condotto in Risiera. Di quei giorni si sa poco o nulla: testimoni parlarono di una sua fede incrollabile anche nei momenti più terribili e della sua richiesta al vescovo di alcuni libri di meditazione in occasione della Settimana Santa.

Il vescovo Santin cercò in ogni modo di salvargli la vita, ma fu tutto inutile. Il 6 aprile 1945 gli giunse il biglietto testamento di 12 martiri: “Siamo nella Risiera di San Sabba, avvertire il vescovo, le famiglie […] Forse domani” – scrisse Dante Stoini – “non saremo più”.

Poche ore dopo Reti venne fucilato a San Sabba assieme ad altri 11 carcerati.

Alla sua memoria fu conferita la medaglia d’argento.


Collegamenti ad altre pagine