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La ridistribuzione senza fini di lucro dei contenuti di questa pagina, anche se in forma parziale, deve citare il sito di provenienza www.atrieste.eu, i nomi degli autori, professori Fabio Francescato e Bruno Pizzamei, ed il fatto che si tratta della rielaborazione per il web di un ipertesto sviluppato dagli autori nel 1999 per conto del comune di Trieste e da questo distribuito gratuitamente nelle scuole. Non è ammessa la ridistribuzione con fini di lucro senza esplicita autorizzazione degli autori e dell'acquirente dell'opera.

RUGGERO TIMEUS

In una pagina di Trieste nei miei ricordi Giani Stuparich così ricorda l’amico Ruggero: “Eravamo molto amici; temperamenti diversi, ci trovavamo però uniti in quella ch’io chiamerei curiosità del mondo all’infuori della scuola; i limiti della scuola non ci bastavano, volentieri li oltrepassavamo per scorrazzare nel libero campo del pensiero e dell’arte moderna. Carducci non era incluso nel programma d’italiano del Liceo: noi eravamo due adoratori del Carducci, leggevamo tutte le sue opere e tutte le sue prose. Ci scambiavamo i romanzi francesi e i romanzi russi. Ora egli veniva a casa mia, ora andavo a casa sua. La sua famiglia era numerosa, di modestissimi mezzi, ma di tradizione aristocratica: il padre istriano di Portole, educatore e figlio di educatori, la madre appartenente a vecchia famiglia patrizia triestina. […] Ma anche nella natura ci trovavamo affiatati. Le nostre gite in Carso o sui monti dell’Istria, in tutte le stagioni, […] tempravamo in accordo le nostre due indoli aspre e spasso contrastanti. Dove Ruggero diventava un altro, cioè pienamente se stesso, ammansito e luminoso, era nel piccolo borgo paterno, a Portole. L’aveva nel sangue, nell’anima, nel cervello la sua Istria; e la visita che gli feci durante le vacanze, le bellissime ore che passammo assieme, mi si inquadrano ancor oggi nella felice armonia dell’uomo con la sua terra”.

Nella stessa pagina Stuparich ricorda anche il primo incrinarsi nei rapporti tra i due amici: “Al mio ritorno da Firenze io ebbi una violenta spiegazione con Ruggero Fauro. Ruggero Timeus aveva preso il nome di Fauro per poter collaborare all’Idea Nazionale e sottrarsi alle vendette dell’Austria; era stato mio compagno di ginnasio e di liceo, aveva frequentato con me il gruppo repubblicano, ma più tardi, studente all’Università di Roma, s’era orientato decisamente verso il nazionalismo, diventandone uno dei più accesi sostenitori”.

In realtà Ruggero Timeus si era avvicinato agli ideali repubblicani e mazziniani non senza una posizione critica personale: nel 1910, quando aveva 18 anni, sul giornale L’Emancipazione, vicino alla Democrazia Sociale Italiana, erano comparse due sue lettere-articolo, La nostra debolezza e Idealismi e realtà, in cui aveva polemizzato contro l’impotenza dei vecchi patrioti, tutti pieni di retorica nostalgica e di vuote idealità, incapaci di cogliere i problemi reali della società moderna e di andare al di là della organizzazione di “lezioni di storia veneta ed istriana, in dialetto” rivolte al popolo! Rimaneva comunque ben ferma la condanna del vecchio partito liberalnazionale, paralizzato dalla paura di affrontare i veri problemi della città per non minacciare la propria unità: la questione sociale, quella religiosa e i risvolti economici delle rivendicazioni irredentiste per le terre adriatiche. Tutti temi che il movimento socialista aveva finito per far propri, ma in prospettiva opposta alle rivendicazioni nazionali portate avanti dagli italiani!

Nello stesso anno la collaborazione di Timeus alla Voce, favorita da Scipio Slataper, che in quel periodo risiede a Firenze e scrive per la rivista, permette a Ruggero di partecipare ad un dibattito ben più ampio: escono in dicembre due numeri “doppi” dedicati interamente alla questione dell’irredentismo nei quali compaiono, oltre agli interventi di Timeus e di Slataper, scritti di autori quali Angelo Vivante, Giuseppe Prezzolini, Alberto Spaini, Benito Mussolini, Giovanni Papini, Gaetano Salvemini.

Nello scritto L’irredentismo e gli slavi dell’Istria Timeus voleva prima di tutto porre all’attenzione dell’opinione pubblica italiana - in quel periodo studiava all’Università di Graz, alla Facoltà di Lettere - la situazione in cui si trovavano gli italiani in Istria, minacciati dall’espansionismo slavo, che non si accontentava di “propugnare i legittimi suoi postulati”, ma mirava con tutti i mezzi “apertamente ad assorbire gli italiani e far dell’Istria una provincia esclusivamente slava”.

Davanti a questo pericolo i vecchi irredentisti non potevano più basarsi su “idealità vaghe, contrastanti con la necessità del momento”, ma dovevano rendersi conto che solo l’intervento dei “fratelli dell’altra sponda”, potevano salvare gli italiani dell’Istria dalla minaccia di essere cacciati “a mare”. In sostanza Timeus sosteneva che solo una guerra tra l’Italia e la monarchia asburgica poteva portare a quei risultati che a parole il vecchio irredentismo affermava di voler perseguire!

Negli anni successivi Timeus venne definendo in modo sempre più netto il suo distacco dall’“antico irredentismo patriottico”, erede dello spirito unitario risorgimentale e democratico. Già nel 1911 iniziò i rapporti con il settimanale romano L’Idea Nazionale: la guerra di Libia e le guerre balcaniche lo videro, assieme ad altri triestini quali Mario Alberti, Spiro Xydias, Attilio Tamaro, entusiasta sostenitore di una politica espansionistica su tutto il litorale adriatico, volta a fare di Trieste italiana la “porta orientale” per uno sviluppo imperialistico che la nazione italiana doveva ereditare da Roma e dalla Repubblica di San Marco. Sulla scia del gruppo nazionalista romano, di Federzoni, di Corradini, Timeus abbraccia in pieno l’idea di un insanabile dissidio tra nazionalismo e democrazia, e del diritto della nazione più forte di imporsi con ogni mezzo nell’agone mondiale: “Come teorico […] credo che la civiltà procede non per gli accordi, ma per la lotta delle razze”.

Nel 1914 pubblica il suo scritto più noto, quel volume Trieste che in un qualche modo sintetizza la sua analisi sulla storia e sui destini della città. Il celebre incipit, tante volte citato anche strumentalmente come manifesto ideologico – “Trieste non ha storia” - indica senza mezzi termini il rifiuto di ogni passato “non italiano”, qualsiasi debito della città nei confronti degli Asburgo: “La sua vita di organismo spirituale, autonomo, originale, vivente di una vita sua, non ha un secolo”. Trieste nasce con Napoleone, con la fine del mondo feudale e nasce borghese, industriale, commerciale nazionale. Ora, agli inizi del Novecento, la sua italianità è minacciata dal “barbaro nemico”, da quel popolo slavo che vuole buttare a mare gli italiani con l’aiuto del governo austriaco. Le sue pagine sono piene di accenni ad una lotta naturale e inevitabile che porta le nazioni – viste come organismi – in quadro teorico un po’ superficiale nel quale vanno a braccetto il darwinismo sociale ed un esasperato volontarismo spiritualistico. Ogni idealità universalistica è ormai da tempo abbandonata e Timeus, con la sua usuale irruenza verbale vuole togliere ogni equivoco: “Noi gettiamo in faccia a tutti il nostro sogno d’un impero. Vogliamo conquistare: che ci importa delle giustizie nazionali e delle convenienze internazionali o morali”.

Il suo irredentismo imperialistico era senza dubbio una eccezione nell’opinione pubblica italiana a Trieste, ma, come scrivono Angelo Ara e Claudio Magris, “questa affermazione pura, ma esaltata e fanatica del sentimento nazionale, per quanto isolata, ha le sue radici in quella particolare psicosi di città assediata che stava penetrando nel gruppo italiano”.

Il 24 maggio 1915 si arruolò volontario nell’Esercito italiano. Venne assegnato all’81° Reggimento Alpini e combatté in Carnia con il Battaglione Tolmezzo. Cadde sul Pal Piccolo il 14 settembre 1915 e alla sua memoria fu conferita la medaglia d’argento al valor militare.


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