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dialetto:falsiamici

Vocabolario Triestino - Italiano

Falsi amici

In linguistica si chiamano falsi amici quelle parole od espressioni che in una lingua hanno un significato ed in un'altra ne hanno uno diverso, pur avendo notevoli somiglianze ortografiche e/o fonetiche.

Anche tra il triestino e l'italiano ci sono di questi falsi amici; è bene conoscerli per evitare fraintendimenti. Qui sotto ne riportiamo un elenco, probabilmente incompleto.

Parola Significato
Àra!Potrebbe essere un invito ad un contadino poco solerte ad arare avanti il terreno, oppure la risposta alla domanda enigmistica “Un altare palindromo?”. Ma in dialetto, molto più frequentemente vuol dire guarda, sta attento! E la frase “Ara che ara!” potrebbe essere la frase di un triestino che, stupito, vede per la prima volta un aratro in lavoro oppure l’esclamazione davanti ad un pregevole reperto archeologico. In ogni caso la sua traduzione sarebbe “Guarda che ara!”
ArmelìnNon è l'ermellino, mustelide dalla pregiata pelliccia, con il suo nome pronunciato con una “e” particolarmente aperta come succede spesso in triestino. È l'albicocca. Il passaggio dal genere femminile al maschile per il frutto è un'operazione comune; si vedano, ad esempio, in questa pagina pero e susin.
Bagno Se in una calda giornata d'estate un triestino dice vado al bagno“, non vuol dire che va alla toilette a rinfrescarsi; in italiano la traduzione corretta della frase triestina è “vado al mare”.
BiècoNon è un aggettivo che sta ad indicare uno sguardo poco amichevole, è un pezzo di stoffa usato, anche se non necessariamente, per rattoppare.
CapoCome in italiano sta ad indicare qualcuno che ha una certa autorità, ma non solo; come la parola signore in italiano, può essere un modo per rivolgersi a qualcuno: “La scusi capo, dove xe piaza Goldoni?” si potrebbe tradurre con “scusi signore, dove è piazza Goldoni?”.
Oltre a questi significati non possiamo dimenticare che “capo” nei bar di Trieste sta per cappuccino, che è un caffè macchiato col latte, a differenza del resto d’Italia dove la parola intende un caffè con molto latte e servito in una tazza. “Un capo in bi”, poi, significa un cappuccino in un bicchiere.
CòsaIn dialetto, con la s aspra, sta per “che cosa”. L'italiano “cosa”, oggetto indeterminato, (detto con la s dolce) in dialetto si rende con roba.
CucàrIn italiano “cuccare” ha molti significati: ingannare, cogliere sul fatto, rubare, rimorchiare un ragazzo o una ragazza. In triestino “cucar” vuol dire sbirciare oppure sporgere. “El ga cucà nela camera” non vuol dire che ha fatto sesso nella stanza, ma che ha sbirciato dentro.
DèiNon sono quelli dell'Olimpo, per i quali forse si potrebbe usare il termine dii. Se è un sostantivo si riferisce alle dita, della mano o dei piedi; questi ultimi sarebbero, ad esempio, “i dei dei pie”. E nell'esempio vediamo che, come in italiano, dei può essere anche una preposizione articolata.
Potrebbe essere però anche un esortazione: “dei!” non è l'inizio di un'imprecazione rivolta agli dei di una religione politeistica, ma un'esortazione e sta per “orsù”, “suvvia”.
DesìoIn italiano desio o disio è una forma poetica per dire desiderio; Dante nel canto VIII del Purgatorio scrive

Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;

In dialetto desio è invece una gran confusione, un gran disordine. I xe vignui a ripararme una spina che spandeva e, co i xe 'ndai via, i ga lasà un disio” si tradurrebbe “sono venuti a ripararmi un rubinetto che perdeva e quando se ne sono andati hanno lasciato un gran disordine”.
FalòpaIn italiano è il bozzolo del baco da seta dentro al quale la crisalide è morta e, andando in putrefazione, ha macchiato la seta rovinandola. Un termine tecnico molto particolare. Vale anche per millantatore, bugiardo. In dialetto, però, sta per grosso sbaglio: go fato una falopa, ho commesso un grosso sbaglio.
ForèstaSecondo i vocabolari della lingua italiana è una vasta superficie di terreno ricoperta da piante arboree fittamente distribuite; in dialetto il termine si sta diffondendo con questo significato come prestito dalla lingua italiana, ma il termine usato in dialetto è bosco. Attorno a Trieste non esistono foreste, esistono boschi e Boschetto è un bosco, un tempo di non buona fama, tra la via Marchesetti e la strada per Longera.

Foresta, però, in dialetto, ha un suo significato diverso e comune all'area veneta: è un aggettivo e vuol dire non originaria del posto. In italiano potremmo dire forestiera. E la frase “'ndar in bosco co 'na foresta” potrebbe significare, vista anche la fama del Boschetto, appartarsi in un bosco con una forestiera…
FrègolaIn italiano è quello stato smanioso, precedente l'accoppiamento, che dimostrano gli animali, dai pesci in su. In triestino sta per briciola; “eser in fregola” sta, come in italiano del resto, per essere in uno stato smanioso, che non è detto debba precedere l'accoppiamento.
GòmitoIn italiano è l’articolazione tra il braccio e l’avambraccio e in dialetto di dice còmio. Gòmito, in un dialetto abbastanza stretto e che ormai si sente di rado, sarebbe, invece, il vomito.
LasagnaOggi ha assunto anche in dialetto il significato di rettangoli di pasta che si usano nel pasticcio, come nella lingua italiana. Ancora, però, in triestino, il termine lasagne indica le tagliatelle e più in generale, la pasta a striscioline larghe e sottili e le lasagne al forno possono essere tagliatelle variamente condite e passate in forno.
MareL'acqua del porto di Trieste non è il mare ma “el mar”; mare, al femminile, è la madre.
MatoIn italiano avrebbe le due t e “mato” in triestino vuol senza dubbio dire anche matto, pazzo: “se no i xe mati no li volemo” se non sono pazzi non li vogliamo. Ma “mato” è anche sinonimo di tale; “quel mato che speta el tram” non indica un pazzo che aspetta il tram, ma semplicemente quel tale.
NàserÈ certamente la forma dialettale per nascere, ma la frase “cosa nasi qua?”, non è l'interrogativo di un'ostetrica che entra in una sala parto; vuol dire semplicemente “cosa succede qua”.
NegàrDovendo negare qualcosa, si dirà “dir de no”, perché negar in dialetto vuol dire annegare, sia in senso proprio che figurato.
OntaNon è un’offesa da lavare col sangue in un duello. Se è un sostantivo sta per bastonata; se è un aggettivo femminile, sta per unta, macchiata o sporca di olio o grasso.
PàreIn italiano è la terza persona singolare del presente indicativo del verbo parere. “Che te ne pare?” in dialetto sarebbe “cosa te par?”. In dialetto la parola pare è un sostantivo e, come in molti altri dialetti, sta per padre, ma non va assolutamente usato per un ecclesiastico, per il quale si userà sempre il titolo di padre.
Pasarèta
Paserèta
Non è un diminutivo di pàssera, il comune uccellino, che farebbe paseroto come in italiano. Non è nemmeno il modo per indicare un pesce pàsera di piccola taglia che farebbe piuttosto paserìn. È invece una bevanda gassata ed aromatizzata o, ormai quasi esclusivamente, l'epiteto di un vino frizzante di scarsa qualità: vin de pasareta.
PerIn dialetto la parola per ha due significati; è, come nella lingua italiana, una preposizione, ma è anche il sostantivo paio. E la frase un po' misteriosa “un per per un” sta a significare “un paio per ciascuno”.
PercòsaNon è una bastonata per la quale si userebbe, piuttosto, il termine “onta”. È un avverbio (o una locuzione avverbiale se si scrive staccando per e cosa) che significa “per qual motivo, perché”.
PèroNon è l'albero, che in dialetto si dovrebbe dire “perèr”, ma il frutto; quindi “el pero” sta per “la pera”.
PiàdaIn italiano la “piada” è un cibo di strada, cantato anche da Giovanni Pascoli in una sua omonima poesia. In dialetto è una pedata, un calcio.
Più frequente, in italiano, è il suo uso al diminutivo “piadìna”; con l'accento sdrucciolo, però, in dialetto “piàdina” è la terrina.
PilaNo go pila“ non vuol dire che non ho più una batteria per accendere la lampada tascabile, ma che non ho soldi.
PìnzaAnche in dialetto ha il significato italiano di un utensile atto ad afferrare, ma sotto Pasqua, ed ormai con i prodotti industriali, ogni giorno dell'anno, la pinza è anche un dolce tipico dalla forma a cupola e la superficie segnata da tre tagli a raggiera, fatto di pasta lievitata condita con zucchero, uova e qualche aroma.
PrecìsoUna bilancia, in italiano, è precisa se ripetendo più volte la pesata otteniamo sempre lo stesso risultato; diremo che è esatta se ripetendo più pesate otteniamo un valore medio che è quello che dovremmo ottenere. In dialetto “preciso” sta piuttosto per identico, talvolta rafforzato da compagno o spudà. Se due gemelli sono indistinguibili diremo che “i xe precisi” oppure “I xe compagni precisi” o anche “precisi spudai”; quest'ultimo può avere un significato spregiativo o di disapprovazione.
PulìtoIn dialetto non si dice che una cosa è pulita, si dirà, piuttosto, che “la xe neta” o “netada”, o “lavada”.
Pulito in triestino può essere un avverbio di modo e vuol dire “bene”. Ad esempio “Come va suo fio a scola?” “Pulito”.
Può avere anche il significato di un'esclamazione. Davanti ad una situazione che al momento non ci prospetta una via di uscita diremo “Pulito ciò!” che si potrebbe tradurre con “Ben messi siamo!”
RusàrNon vuol dire emettere rumore rauco e fastidioso mentre si dorme che in dialetto si dice ronchizàr. Vuol dire strofinare, sfregare. Certamente se go rusà la machina sul muro (ho grattato l’automobile su un muro) ci sarà stato un rumore fastidioso, ma non si stava dormendo, o almeno si spera!
E siccome quando due persone si scambiano effusioni ed affettuosità, cercano un contatto l'uno con l'altro, rusar o meglio nella forma rilessiva rusarse, vuol dire anche pomiciare.
Molte persone, infine, cercano di accarezzare il potente di turno per averne dei favori ed ecco che rusarse diventa anche ruffianarsi.
Tanti significati, quindi, ma ronfare mai…
SbaràrIn dialetto non significa soltanto sbarrare, ma anche sparare e si deve capire dal contesto. “I ga sbarà” potrebbe voler dire che hanno sbarrato, ad esempio l'accesso ad una via, ma anche che hanno sparato. Attenzione che sbarar vuol dire sparare solo con armi da fuoco; in senso metaforico, ad esempio “spararle grosse”, resta anche in dialetto sparar.
ScandàlIn dialetto non ha il significato che ha la parola scandalo nella lingua italiana. Significa piuttosto baccano, confusione disordine. Che scandal che fa i muleti che zoga in strada significa “che confusione che fanno i bambini che giocano in strada”.
SgionfoPotrebbe sembrare la parola italiana sgonfio che si ottiene spostando la i davanti all'ultima o), ma in realtà indica l'esatto contrario. Infatti sta per gonfio. E così anche tutti gli altri termini: sgionfar sta per gonfiare, sgionfada sta per una mangiata che mi ha gonfiato la pancia, e così via. Il contrario resta, come in italiano, sgonfiar.
SmarìrSmarrire in italiano vuol dire perdere per cause accidentali. In dialetto, usato per lo più al riflessivo, smarir vuol dire stingere. L'italiano smarrire si renderà con perdere.
SpìnaIn dialetto può essere con lo stesso significato dell'italiano.
Si usa, però, al maschile, “spin” per definire la lisca del pesce.
Spina può essere anche, come in italiano, la parte terminale di un filo elettrico con la quale ci si connette alla rete attraverso una presa.
In dialetto, però spina è anche il rubinetto dell'acqua e la spina ioza vuol dire che il rubinetto dell'acqua perde.
Strucar[se]Struccare o, più comune, struccarsi, in italiano sta per levare il trucco.
In triestino “strucar una naranza” non vuol dire togliere il trucco ad un arancio, ma spremerlo per estrarne il succo.
Strucarse, invece, sta per pomiciare, starsene abbracciati stretti scambiandosi effusioni amorose.
SusìnNon è l'albero di susine, ma il frutto stesso. E può essere anche un bernoccolo.
TopolinNon è un piccolo topo che in dialetto si direbbe sorzeto ma ciascuno degli elementi di una popolare struttura balneare della costiera di Barcola
ZercàrIn dialetto la zeta sostituisce spesso la c, per cui zercar sta per cercare. “Zerco dove che go imbusà i ociai” si traduce con “cerco dove ho posato impropriamente gli occhiali”. Ma c'è anche “zerca el sugo” che non vuol dire di cercare dove si è nascosto il sugo, ma piuttosto “assaggia il sugo”.

Per facilitare la ricerca nel vocabolario, riportiamo qui sotto i riferimenti alle pagine del vocabolario Triestino - Italiano del sito

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dialetto/falsiamici.txt · Ultima modifica: 18-02-2024 16:38 da sono_piccolo_ma_crescero

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